ANALISI TESTUALE: BOCCACCIO (DECAMERON)

 

Luigi De Bellis

 
 

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GIORNATA VI
NOVELLA 10






La novella di Boccaccio presenta, riguardo ai temi di cui stiamo parlando (forme di cultura non. scritta, incontri e scambi tra culture, cioè tra modalità di linguaggio diverse), varie possibilità di lettura.

1. Un primo livello, il più immediato, è quello della testimonianza di costume, sia pure deformata dal carattere di «invenzione» che la novella ha. Come altre volte, Boccaccio fornisce qui una testimonianza attendibile non quanto ai dati di cronaca (inventati), ma su comportamenti e umori certamente presenti nella realtà.

Notiamo:

- la novella esprime un punto di vista «cittadino» , da cui deriva l'immagine dei contadini di Certaldo, contrassegnati dalla goffaggine e dalla credulità («stolta moltitudine» che guarda le reliquie «con ammirazione reverentemente» );
- la polemica contro la questua rientra in un atteggiamento ostile ai frati che era assai diffuso, in correlazione proprio con la loro presenza capillare, nella Toscana del Trecento e che si riscontra in tutto il Decameron; polemica attenuata, in questa novella, sia dalla «comicità» del personaggio sia dal fatto che i frati di sant'Antonio appartenevano a un ordine già screditato, che aveva fama di essere particolarmente ingordo.

2. Un secondo tipo di lettura può partire dalla presentazione del frate, di cui si dice che era «ottimo parlatore» e che, pur non avendo «scienzia», «chi conosciuto non l'avesse, non solamente un gran retorico l'avrebbe stimato, ma avrebbe detto esser Tulio medesimo o forse Quintiliano», e analizzare quindi la predica, che è il pezzo su cui si incentra la novella, come esempio di eloquenza «carnevalesca». Boccaccio consapevolmente rovescia la serietà della retorica, di cui cita nel ritratto del frate i maestri (e ricordiamo l'importanza che alla retorica era stata attribuita, in rapporto al diritto e alla politica), in un esercizio di bravura buffonesca («comica» ), fondata sugli equivoci e sui doppi sensi oppure sul non-senso, sul suono della parola che inganna l'ascoltatore ingenuo.

3. Nella predica di fra Cipolla è possibile rintracciare anche un altro procedimento del linguaggio boccaccesco.

È stato notato che il gioco linguistico di frate Cipolla presuppone, oltre ai contadini di Certaldo, un interlocutore diverso, che sia in grado di capirne i meccanismi e quindi di divertirsi: per esempio, quando il frate nomina le strade e i quartieri di Firenze come se fossero remote regioni d'Oriente, si rivolge implicitamente a un pubblico che conosce quelle strade e che quindi può essere suo complice nella beffa; ad un pubblico cittadino, smaliziato, sono indirizzate le battute che alludono alle truffe dei frati. Questo pubblico «nascosto» è costituito, nella finzione narrativa, dai due giovani amici beffatori e, nella realtà, dai lettori stessi.

Lettori-spettatori: infatti Boccaccio costruisce una pagina di linguaggio teatrale, in cui alcune battute hanno una ragione d'essere soprattutto se le immaginiamo rivolte a noi da un palcoscenico. La contiguità tra predicazione e teatro stimola in questo senso l'invenzione linguistica dello scrittore.

2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it