p. 15
Nell'intento di fornire edizioni rigorosamente diplomatiche, che riproducano la tradizione manoscritta nella più antica forma raggiungibile, Lachmann rinvia ad un secondo momento l'interpretazione, nettamente scissa dalla recensio, ed è proprio contro questo principio che Pasquali, come è noto, indirizza la sua polemica, visto che è «senz'altro un pregiudizio credere che la tradizione degli autori antichi sia sempre meccanica: meccanica è solo dove l'amanuense si rassegna a non intendere [...]. Quanto alla recensio, solo nei casi, relativamente rari, di tradizione meccanica è possibile [...] applicare i criteri, essi stessi meccanici, della recensione chiusa, formulati dal Lachmann: dove la recensione è aperta, valgono solo criteri interni» (12): lectio difficilior e, soprattutto, usus scribendi dell'autore (13), per altro già noto agli antichi grammatici, in particolare ad Aristarco (14).
E ancora Pasquali denunzia il pregiudizio di «credere che la trasmissione dei testi sia unicamente "verticale"; essa è spesso, e in testi molto letti e in testi propriamente scolastici si potrebbe dir sempre, "trasversale" o "orizzontale"; vale a dire varianti buone o cattive, anche errori che a noi parrebbero evidenti, penetrano spesso nei manoscritti per collazione. Solo le lacune sono, almeno di regola, trasmesse direttamente» (15).
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La critica testuale - è bene ripeterlo - non va intesa come gioco avventuroso, bilanciato tra rigore e approssimazione, tra scientifico e divulgativo, bensì come strumento essenziale per scoprire il vero volto dell'antico. Appunto per questo s'impone un'estrema cautela, perché la congettura non contrasti con il piano e il contenuto dell'opera, con le relazioni di tempo e di ambiente, con il livello di cultura e il pensiero dell'autore, e neppure con la tradizione indiretta, che è sempre, e nonostante tutto, di grande importanza.
Oltretutto, la registrazione sistematica e l'attento esame delle testimonianze indirette contribuiscono a fornire una documentazione quanto più oggettiva e completa della maggior o minor fortuna di cui ha goduto un autore, o una sua determinata opera nell'antichità.
Per limitarci a Sofocle, tra i sette drammi superstiti è l'Aiace - seguito dall'Antigone e dall'Elettra - a poter vantare il maggior numero di citazioni e allusioni, variamente distribuite per genere, per epoca e per ambiente, comprese nel lungo arco di tempo che intercorre tra l'epoca classica e la tarda grecità.