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pp. 41-42

  1.  

 

Sono felice quando mi sento vivere (A. B.).

Una donna è libera se è sincera, se riesce a dire veramente di sé, veramente quello che prova, se riesce a mettere poco scarto tra quello che pensa e quello che fa. Ma questa sincerità-libertà non è facile perché non dipende solo da me. Questa sincerità dipende anche dal desiderio di sincerità di chi ascolta (A. B.).

In un certo senso, per le donne, la sincerità è questione di vita o di morte, dato che la parola autentica di una donna (per me autentica significa che non tradisce l'esperienza della donna che la racconta) fa sì che si ristabilisca un principio di realtà vicino all'esperienza sensibile della vita quotidiana di ciascuna. Questa parola autentica ha una grande carica di libertà, è una parola che conta, non solo perché può essere una parola bella, una parola d'arte, ma perché serve a spiegare la vita, perché mette le cose del mondo in ordine all'esperienza di una donna (A. B.).

Ci sono grossi momenti di felicità nello scrivere, nei quali hai l'impressione di aver scritto per una volta una frase completamente sincera, che si avvicina a te così tanto, così priva di riguardo nei tuoi confronti, da farti male; e questo dolore ne è sempre il segno (Ch. W.).



pp. 50-51




Per tutto il periodo fascista le donne sono considerate minorenni, dalle canzoni che parlano di loro come «bambine» alla donna «eterno fanciullo» di D'Annunzio, e vengono ridicolizzate se «pretendono di sposare la scienza anziché un uomo».

Dal canto suo Giovanni Gentile sostiene che la donna «è del marito, ed è quel che è in quanto è di lui», e per questo elogia il ritorno «alla sana coscienza della donna che è donna e non è uomo, col suo limite e quindi col suo valore». A suo avviso «parlare di spirito non libera la donna dalla sua naturale sessualità, ma ve la incatena ... con la materialità greve e massiccia che la donna trascinerà seco per tutta la vita come il suo destino».

Eppure, a dispetto di una visione così riduttiva dell'altro genere, e proprio mentre va ripetendo fino all'esasperazione che la donna non deve comportarsi in modo velleitario, «innaturale», Mussolini chiama le donne a scendere in piazza, fiere nell'austera divisa - gonna nera a pieghe, casacchina bianca, calze bianche fino ai 14 anni, poi camicia nera con cravatta, basco sulle ventitre al posto del fez - e pronte a farsi contare e inquadrare in una sorta di esercito speciale alle sue dirette dipendenze.

Si tratta, inutile dirlo, di una contraddizione evidente, che non vale per altro a mascherare l'anima radicalmente antifemminista del fascismo.