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pp. 19-21

 

 

In realtà - si è detto - è del tutto necessario riuscire a cogliere il significato del dramma attico come prodotto del suo tempo, anzi, per meglio dire, come documento della politica "occidentale" ateniese nel corso del V secolo.

Così, per fare solo un esempio, si devono ricordare gli interessi di Atene in occidente, che vanno dalla Sicilia al golfo adriatico, dalla Sibaritide al golfo partenopeo. Si tratta di «interessi commerciali, di rifornimento granario e d'importazione di materie prime, quali quelli che, nell'Etruria padana, portano al rapido potenziamento degli empori di Adria e di Spina, in questo periodo vere e proprie poleis hellenides dai connotati atticizzanti. Interessi prevalentemente diplomatici, come quelli che ispirano i celebri trattati con Reggio e Leontini e Segesta, o spingono a intese amichevoli, per transito nel Canale d'Otranto, con l'elemento messapico. Interessi decisamente espansionistici, quali quelli che conducono alla fondazione 'panellenica' di Turî e alla rifondazione 'attica' di Napoli, e di lì al tentativo di soppiantare Taranto nel controllo della Siritide e Siracusa nel controllo del golfo partenopeo. Interessi più marcatamente imperialistici, come quelli che presiedono, già nell'età della crisi dei valori, al disegno ambizioso della spedizione in Sicilia, quasi ch'essa potesse sortire un duplice intento: risollevare le sorti dell'ormai declinante politica d'espansionismo in Occidente (dopo il fallimento dell'esperimento turino e l'insuccesso dell'avventura partenopea); ripercuotere in ambito metropolitano, nel conflitto contro Sparta, il peso d'una grande vittoria in area transmarina»(1).

In realtà le ripercussioni - che ci saranno - saranno soltanto negative: da un lato, la sconfitta di Sicilia segnerà il crollo dei progetti espansionistici di Atene in occidente, da un altro lato, essa verrà a decidere le sorti della guerra del Peloponneso con un anticipo di dieci anni.

In qualche modo, dunque, la parabola della politica occidentale d'Atene abbraccia tre generazioni, venendo perciò a coincidere con l'epoca dei tre maggiori tragici: il momento di passaggio tra Temistocle e il primo Pericle coincide con la stagione di Eschilo, il momento del così detto imperialismo pacifico - o del secondo Pericle - è più o meno la stagione di Sofocle, mentre quella di Euripide si trova a coincidere - e a dover sopportare - la pesante eredità periclea. Così, se da un lato l'interesse di Eschilo si polarizza soprattutto sull'area adriatico-padana (e sulla Nilotide) per farsi portavoce della così detta democrazia marinara, che è tipica del momento in cui Atene sta potenziando il suo impero e, impegnata com'è nella lotta contro la Persia, ha vitale necessità di garantirsi in occidente il rifornimento di grano e di materie prime, da un altro lato il filocimoniano(2) Sofocle concentra la sua attenzione sulle aree occidentali di diretto espansionismo non solo commerciale, ma anche politico, vale a dire, oltre all'area adriatico­padana, la Sicilia, il golfo di Napoli e la Magna Grecia in genere. Dal canto suo, infine, Euripide si volge all'occidente non tanto per propagandare le mire espansionistiche di Atene, quanto piuttosto per denunciare, con i suoi versi dilemmatici e/o distruttivamente critici, la precarietà del suo impero, dove sempre più imminente si fa il rischio di autodistruzione a causa della gravosa eredità lasciata da Pericle, del conflitto peloponnesiaco e, soprattutto, degli avventati programmi siciliani.

È quindi evidente come il problema delle mire occidentali di Atene nel V secolo sia al centro di un acceso dibattito politico che, sia nella rivisitazione dei tragici, sia nella riflessione storiografica, si collega strettamente a quello, più ampio e tormentato, che investe la democrazia e l'imperialismo...

 



 

 

pp. 169-171


 

Come si è visto, l'unica strada percorribile per le fanciulle "bene" di Atene è quella del matrimonio, il quale, di fatto, viene a configurarsi sotto molti aspetti come «un addomesticamento culturalmente regolato e socialmente accettato»(1): o, per meglio dire, arriva a configurarsi, da un lato, come una violenza legalizzata(2), da un altro lato, come una sorta di rito sacrificale(3). In effetti, «sacrificio e suicidio, due modi della morte violenta, possono far emergere, quando questa colpisce un'adolescente destinata al matrimonio, gli aspetti pericolosi e funesti della transizione matrimoniale - non per omologia, ma con un'eco metaforica». Così anche nei drammi - e nella stessa Antigone sofoclea - «più che la perdita della "verginità", certamente lamentata nel rito matrimoniale arcaico, il paragone tragico fra la morte della fanciulla e le nozze nell'Ade tende a mettere in luce la violenza inerente al passaggio verso la maturità femminile e alla sottomissione ad un nuovo "padrone"»(4).

A questo punto sembra quasi un paradosso ricordare come Senofonte, nell' Economico (7-10), prospetti tutta una serie di norme per il buon funzionamento dell'oikos, cioè della coppia, e faccia raccontare ad Iscomaco come lui sia riuscito ad educare la quattordicenne sposa, perché diventasse come la voleva, e come era giusto che fosse: in grado, cioè, di attendere bene alla casa(5), curando l'amministrazione spicciola [...] e svolgendo tutta una serie di mansioni, quali badare alla servitù, filare e tessere, cucinare, mettere al mondo ed accudire i figli: svolgendo insomma - vera apicula industriosa - tutte quelle attività "interne" per le quali la divinità stessa ha fin dalle origini predisposto la natura della donna!

 

 

 

 

pp. 222-223


 

Non è quindi possibile dire, con Rossanda, che il dramma di Sofocle intende produrre una «forma di riparazione e ristabilimento di valori diversi ma senza una gerarchia da superiore a inferiore» in modo tale che, conservando in sé «il ricordo dell'atto di dominio come iniquo», possa rendere il genere femminile portatore di «un principio "oltre il tempo"» e di «una legge in nome della quale sfidare la legge». Né tanto meno si può dire che l'Antigone sofoclea «non può essere che donna, perché rappresenta la persona, l'io, il sempre, rispetto alla collettività, lo stato, l'oggi; l'informalità dell'eterno rispetto alla formalità limitata del presente». E neppure che «per Sofocle il valore è lei; lei, per usare un termine moderno e inappropriato, il personaggio positivo [...], ed è un valore perché donna»: a tal punto che «non sempre, anzi raramente, la differenza dei sessi sarà marcata nella cultura da due principi di valore, insubordinati l'uno all'altro, necessari e conflittuali, come si può leggere in Sofocle»: le scelte conservatrici operate dal tragico - in perfetta sintonia, del resto, con il razzismo sessuale degli ateniesi, comunque dominante - queste scelte, dunque, non sembrano in alcun modo autorizzarlo(32).