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Il dolore della memoria

di Luca Benassi

“È la tensione fra pudore e superstite
ma necessario slancio vitale,
ad innescare la poesia alta
e vera di questi testi”.
Mauro Ferrari

Letizia Lanza si occupa di civiltà antiche. Laureata in Lettere Classiche a Padova e perfezionata in Scienze dell'Antichità (indirizzo filologico) a Urbino, persegue da anni una ricerca portata avanti in prospettiva storico-femminile. Ha collaborato con la Fondazione Scientifica Querini Stampalia Onlus di Venezia per l'organizzazione di una serie di interventi sul rapporto Antico/Moderno (Seminari Piero Treves 1995-96. Atti, Venezia, 1999). È nella redazione della rivista veneziana Nexus svolgendo attività di consulenza sull'antico e collabora con l’associazione "L'Araba Felice" per la quale ha già curato nel sito web (www.arabafelice.it) le schede di Ingeborg Bachmann, Sara Copio Sullam, Christine de Pizan, Clotilde Tambroni e Virginia Woolf. È tra le voci di letteratura contemporanea nel sito www.letteraturaalfemminile.it/letizialanza.htm. Il suo indirizzo web figura nella Libreria delle Donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) e fa parte della Fondazione Luciano Bianciardi. Sul rapporto letteratura e femminilità ed in particolare sul femminile nell’antico ha pubblicato, tra le altre cose: Scritti di donna, (Venezia, Supernova, 1995), Vipere e demòni. Stereotipi femminili dell'antica Grecia, (Venezia, Supernova, 1997), Donne greche (e dintorni). Da Omero a Ingeborg Bachmann, (Venezia, Supernova, 2001), Grecità femminile. L'altra Penelope, (Venezia, Supernova, 2001), Diabolica. Da oggi a ieri (Venezia, Supernova, 2004).

Letizia Lanza non è una poetessa, non ha pubblicato prima alcun libro di poesia, e i suoi rapporti con la lirica avvengono attraverso l’occhio della studiosa e della critica di professione. Poi qualche cosa è scattata dentro: una molla caricata negli anni, formatasi all’ombra di letture appassionate, ha scaricato la tensione accumulata in un colpo solo. Ed è germinata poesia. Non interessa sapere il perché, l’evento biografico (che però sappiamo tragico) che ha fatto scattare la molla; né se e quando Letizia scriverà ancora. Quello che importa è che la tensione si sia scaricata forgiando il linguaggio in poesia. L’animo umano tende all’assoluto, al metafisico lasciando un segno che possa travalicare la propria finitezza fisica e mortale. È questo un piccolo miracolo che inizia la Storia: che cosa sono i menhir o i graffiti rupestri se non il tentativo dei nostri progenitori di lasciare e lasciarci un segno? Un simbolo che possa rappresentare un sistema di paure, emozioni e aspettative attraverso la pietra, elemento di per sé idoneo a sorpassare i componenti naturali della società preistorica, essere umano compreso, soggetti a un breve ed inevitabile deperimento? La pietra diventa segno, linguaggio e poesia. Si rimane stupiti ogni volta che questo miracolo si compie, oggi come allora, e qualcuno scolpisce la carta di parole; di fronte ad esse proviamo quel timore e gioia insieme, quel senso del sacro che ci fanno sentire appartenenti al genere umano e alla sua Storia. La poesia buca i secoli, crea ponti inaspettati in grado di congiungere anime lontanissime nel tempo, ma accomunate dallo stesso senso di assoluto. I due testi di Letizia Lanza ci portano a questa tensione radicale ed archetipica, sviluppata attraverso una metrica frammentata e abbagliante: piccoli cortocircuiti di parole che esplodono in deflagrazioni sonore. Il vuoto della pagina si riempie di luce, la porta stretta della speranza.


NEVER MORE


Non più

ludominitanti

frecce dorate


- gioia di luce -


appuntate oramai

a breve terso ricamo

di esistenza.


Inaridìo nihilo

di rigagnolo –

e di fiume

immenso.

 

ASCOLTO


Lucciole di voce

nel fitto

di magma

abissale.


Lacrime

di pece,

cobalto

d'illusione.


Vacuità

di ascolto.



da noi donne (giugno 2005)