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Grecia, la ghiotta

Nell'antichità ellenico-romana il cibo aveva una posizione primaria in tutti gli aspetti della vita.




Era nel mito, nei sacrifici, nei riti religiosi e in quelli giuridici; era metafora dell’amore o della dissolutezza, era la preoccupazione di governanti e governati; significava opulenza e potere, ma anche frugalità e indigenza.
Veniva celebrato nella parodia e nella poesia, putroppo spesso inspiegabilmente trascurate, di cui parla - colmando la lacuna -
Letizia Lanza, studiosa di classicità greca e romana, in un libro molto dotto, ma nel contempo gustosamente scherzoso: Ludi, ghiribizzi e varie golosità (Supernova).

Pesci, dolciumi, specialità sotto sale, erbaggi, salsamenta, uova, fichi, eccetera, diedero origine, nella seconda metà del V secolo - periodo in cui Atene importava i più raffinati alimenti da svariate località - a una vera e propria letteratura gastronomico-culinaria a firma di Miteco, Eraclide, Glauco, Egesippo, Epeneto, Artemidoro, che hanno lasciato il loro appetitoso segno (ancorché purtroppo la loro produzione sia andata perduta) tanto quanto le commedie di Aristofane e Menandro, di Platone e Archestrato
Quest’ultimo, tra l’altro, lamentava che erano pochi gli uomini in grado di distinguere il cibo per natura pregevole da quello che vale poco, mentre in generale il concetto greco di ripartizione era il seguente: il pane nero per il povero, il pane bianco per il ricco.
Il classismo non è mai stato superato (ahinoi!, però speriamo che non lo sarà mai nemmeno il classicismo), ma è bizzarro pensare come oggi sia consigliato (a tutti: ricchi e poveri) di abbandonare le farine raffinate e consumare pane integrale.

Non manca il vino, in questa ghiotta discettazione di Letizia Lanza, croce e delizia del genere umano, eterno oggetto di amore e odio, di lode e dileggio, presente da protagonista nelle tradizioni del mondo antico.

 

in:  “guide.superEva”, sito web