La Baracca de piasseta

 

La Baracca della piazzetta

Poemetto in sette canti

 

Dove si narra come qualmente avendo il Municipio di Mantova nel p.p. anno 1898 decretato la distruzione della fatidica Baracca de Piasseta, alcuni volonterosi gnivrim (ebrei) scongiurassero per allora l’immane pericolo minacciante la Keilà (Comunità Ebraica)

 

Canto 1

 

L’alter gioren vers le tre

vegni de casa ;

fava un fred indiavolà

e me tut intabarà

ripensava fra de

al problema d’ogni dì

che tormenta quela gent

ch’en al verd ogni moment

quand in mesa a un gran mapel

de mispat col cinturel

ved Franchett in confusion

far parole coi caplon.

“Che macà sarà success?”

digh fra me col cor sospes,

e domandi al bon Tampusc

cos’è mai tutt quel ghirush.

- Se me propria ho ben capì, -

me risponda ‘sto gnivrì,

- el Consiglio Comunal

ne minaccia un gran brutt mal.

Dis la gent che ha decretà

per dar pan ai disperà

d'atterar in sul moment

anca a nom dell’intendent

la Baracca de Piasseta

dov’è el fiol de la Ninetta. -

La notizia malcontenta

fa la gent assai furenta:

è un girar de e de là

un mandar in chelalà

quei porsei dei assessor

vera banda d’agressor:

gh’è chi siga fra la gent,

chi borbotta in mesa ai dent,

chi le gambe non pol tegnar,

chi fastidi se fa vegnar,

chi bestemmia, chi ragiona,

senza dirne una de bona,

quand in mesa a tutt quel ghett

salta su Angilin Franchett:


- O bon popol de Sion,

tutt el to bakaiekon

per salvar la gran baracca

a sens non val un acca.

Se te pias el parer

me tel digh senza mister:

nominem fra el bel e el bon

una scelta commission

che vestida del mognet

vaga subit dal Prefett

a contarghe el gran bordel

che minaccia poch de bel. -

La proposta lì butada

vegna subit accettada

ed in men che non vel digh

con amor de veri amigh

a gran voti vegna elet

el fior fior de tut el ghett.

One Finzi e Camerin

coi dols, ma moscardin:

Castelet del bonumor

gran kazan e parlador

con Francheti Guglielmin

che a gran passi va a pianin:

chi comanda el peloton

è la Checca de Maron.

Nel veder lì tuti unì

sta cinquina de gnivrì

che con gran disinvoltura

s’incamminen in questura,

el bon popol de Sion

perda quasi la ragion

e commoss, dirottament

quasi piansa dal content.

Intratant che ‘sti surot

pensen tuti i kalomot

che diran a gnor Prefett

con parlar ben franch e nett,

ve dirò la cronistoria

tramandada con gran gloria

de sta piazza benedeta

che se ciama la Piasseta.

 

 

L’altro giorno verso le tre

esco da casa;

faceva un freddo cane

ed io tutto imbacuccato

ripensavo fra di me

al problema quotidiano

che tormenta quelle persone

che sono sempre senza soldi

quando in mezzo a un gran mapel (casino)

di mispat (poliziotti) col cinturone

vedo Franchett in confusione

discutere coi vigili.

“Che macà (disgrazia) sarà successa”

dico fra di me col cuore sospeso,

e domando al buon Tampusc

cos’è mai tutta quella ghirush (confusione).

- Se ho veramente capito bene, -

mi risponde questo gnivrì (ebreo),

- il Consiglio Comunale

ci minaccia una cosa molto brutta.

Dice la gente che ha decretato

per dare lavoro ai disperati

di abbattere seduta stante

anche a nome dell’intendente

la Baracca de Piasseta (Piazza Concordia)

dove sta il figlio della Ninetta. -

La brutta notizia

rende la gente assai furiosa:

è un muoversi di qua e di là

un mandare in chelalà (alla malora)

quei porci degli assessori

vera banda di delinquenti:

c’è chi strilla in mezzo alla gente,

chi borbotta fra i denti,

chi non riesce a tenere ferme le gambe,

chi si fa venire la nausea,

chi bestemmia, chi discute,

senza dire nulla di sensato,

quando in mezzo a tutto quella confusione

interviene Angilin Franchett:

- O buon popolo di Sion,

tutto il tuo bakaiekon (pignisteo)

per salvare la grande baracca

secondo me non vale un acca.

Se vuoi conoscere il mio parere

io te lo dico senza farne mistero:

nominiamo immediatamente

una commissione valida

che col vestito del mognet (festa)

vada subito dal Prefetto

a raccontargli il gran casino

che non promette nulla di buono. -

La proposta buttata lì

viene subito accettata

ed in men che non si dica

con concordia da veri amici

viene eletto a grande maggioranza

il fior fiore di tutto il ghetto.

One Finzi e Camerin

coi piedi dolci, ma elegante:

Castelet del bonumor

gran kazan (predicatore) e oratore

con Francheti Guglielmin

che a gran passi va piano piano:

chi comanda il plotone

è la Checca de Maron.

Nel vedere lì tutti uniti

questa cinquina di gnivrì (ebrei)

che con gran disinvoltura

s’incamminano verso la questura,

il buon popolo di Sion

quasi perde la ragione

e commosso,

quasi piange a dirotto per la gioia.

Mentre questi surot (individui)

pensano a tutti i kalomot (panzane)

che diranno al Signor Prefetto

con un linguaggio molto schietto e preciso,

vi farò la cronistoria

tramandata con gran gloria

di questa benedetta piazza

che si chiama la Piasseta (Piazza Concordia).

 

 


 

Canto 2°

 

Consultando i document

de l’archivio notaril

ho trovà che nel tresent

sta piasseta era un asil,

un asil de santità,

mesto, tacito, severo,

dova i goi con cavanà

gheven fat un cimitero.

De ‘ste antiche e ignote carte

per tegnirme al vero sens,

ve dirò che in quella parte

gh’era il Dom de San Lorens.

Quand un soffio de progress

è spirà sul mond antich

el curato s’è dimess

e la Ciesa ha fat sorich.

E quel vecc Bet-a-kaim

s’è d’un subit trasformà

in un sit dova i gnivrim

imbroiaven con kochmà.

Pien de lader, d’agressor,

de zonot e de rufian,

de balos, de truffador,

saltimbanch e sarlatan,

se n’è accort la Polizia

e per tor ogni discordia

l’ha ciamada, mama mia,

la Piasseta de Concordia.

Dova adess gh’è la baracca

una volta gh’era un pos,

a parer del vecc Saracca

melanconich e noios.

Per da dré de ‘sto macom

tuti faven a l’amor,

roba propria de Sedom

che nel dirla g’ho rossor.

Per difender la moral

‘sto brut pos è sta stopà

e con stile medioeval

la Baracca han fabbricà.

 

 

Consultando i documenti

dell’archivio notarile

ho trovato che nel trecento

questa piazzetta era un ospizio,

un ospizio religioso,

mesto, tacito, severo,

dove i goi (cristiani) con cavanà (devozione)

avevano fatto un cimitero.

Per restare a quello che dicono

queste carte antiche e sconosciute,

vi dirò che da quelle parti

c’era la Chiesa di San Lorenzo.

Quando il vento del progresso

è spirato sul mondo antico

il curato s’è dimesso

e la Chiesa è diventata una topaia.

E quel vecchio Bet-a-kaim (cimitero)

s’è rapidamente trasformato

in un luogo dove i gnivrim (ebrei)

imbrogliavano con kochmà (astuzia).

Pieno di ladri, di rapinatori,

di zonot (prostitute) e di ruffiani,

di balordi, di truffatori,

saltimbanchi e ciarlatani,

se n’è accorta la Polizia

e per togliere ogni discordia

l’ha chiamata, mamma mia,

la Piasseta de Concordia (Piazza Concordia).

Dove adesso c’è la baracca

una volta c’era un pozzo,

secondo il vecchio Saracca

malinconico e noioso.

Dietro a questo macom (luogo)

tutti facevano all’amore,

una cosa proprio da Sodoma

tanto che arrossisco nel raccontarla.

Per difendere la morale

questo brutto pozzo è stato chiuso

e in stile medioevale

hanno costruito la Baracca.

 

 


 

Canto 3°

 

Su quattro pilastri di legno tarlato

leggera elegante si eleva dal suol,

quaranta ingegneri la scienza han studiato

per farla più bella del fulgido sol.

Il tetto lucente d’argento ci pare

che inorba coloro che passan di là,

ma disen i critich nel so ragionare

che quel non è alter che ferro zingà.

Di giorno, di notte, là sola soletta

troneggia gloriosa siccome un altar,

superbo ornamento de l’umil Piazzetta

le done ghe van assai spess a pissar.

Dal dolce suo aspetto si spande serena

un'onda benigna di pace immortal,

e quando nel cielo la luna è già piena

la gent per guardarla non dopra el fanal

a l’ombra ospitale del patrio suo tetto

già visser contenti mercanti signor;

già piena di giacche e coperte da letto

gh’è sta per tanti anni Maron a Vapor.

Più tardi essa accolse nel nobil suo seno

colui che nomossi Bagnino Maron

e poscia che questi di bezzi fu pieno

g’ha dat el so post a Pacin dei piton.

Al buon Pace Finzi è success la Virginia,

la donna più grossa e più grassa del ghett,

e infine a gran passi la magna Vicinia

l’ha data in consegna a Guglielmo Franchett.

Con questo superbo ed ardito campione

la vecchia Baracca ebbe gloria ed onor,

guarnita di ferro e di vecchio lattone

oggetto d’invidia divenne ai signor.

Il lusso e la fama di tal monumento

fulmineo percorse villaggi e città:

g’andava a vederla con gran turbamento

la bassa plebaglia e la gran nobiltà.

Ma pieno d’invidia e di basso livore

lo stolto Consiglio vendetta giurò,

e messo in un canto ogni vano timore,

di farla atterrare vilmente votò.

Ma quei parrucconi commisero un fallo

a non fare i conti col caro Franchett:

sentite, sentite, che razza di ballo

ci fece ballare ‘sto furb d’abreiet.

 

 

Su quattro pilastri di legno tarlato

si eleva dal suolo leggera elegante,

quaranta ingegneri hanno studiato la tecnica

per farla più bella del sole splendente.

Il tetto lucente sembra d’argento

che abbaglia coloro che passano di là,

ma dicono i critici nel loro ragionare

che quello non è altro che ferro zincato.

Di giorno, di notte, là sola soletta

troneggia gloriosa come un altare,

superbo ornamento dell’umile Piazzetta

le donne ci vanno assai spesso a urinare.

Dal suo dolce aspetto si spande serena

un'onda benigna di pace immortale,

e quando nel cielo la luna è già piena

la gente per guardarla non usa la lanterna

all’ombra ospitale del suo tetto paterno

già vissero contenti ricchi mercanti;

già piena di giacche e coperte da letto

per tanti anni c’è stato Maron a Vapor.

Più tardi essa accolse nel suo nobile seno

colui che si chiamava Bagnino Maron

e dopo che questi fu pieno di soldi

ha ceduto il suo posto a Pacin dei tacchini.

Al buon Pace Finzi è successa Virginia,

la donna più grossa e più grassa del ghetto,

e infine a gran passi il gran Consiglio

l’ha data in consegna a Guglielmo Franchett.

Con questo campione superbo ed ardito

la vecchia Baracca ebbe gloria ed onore,

ornata di ferro e di lamiera vecchia

diventò per i ricchi oggetto d’invidia.

Il lusso e la fama di questo monumento

si diffuse subito per villaggi e città:

andava a vederla con grande emozione

tanto il popolo umile che la grande nobiltà.

Ma pieno d’invidia e di basso rancore

lo stolto Consiglio giurò vendetta,

e messa da parte ogni inutile paura,

vigliaccamente votò di farla abbattere.

Ma quei parrucconi commisero un errore

a non fare i conti col caro Franchett:

sentite, sentite, che razza di ballo

li fece ballare questo scaltro ebreo.

 

 


 

Canto 4°

 

Quand quei boni sinch gnivrim

en davanti del Prefet

tuti neri e sciafelim

el saluten con rispett,

e vedend una poltrona

lì se senten a la bona.

Dop un mucc de compliment

non savend incominciar

se sbirlocen umilment

e non fan che sbadaciar:

Bonumor picciando el tacch

tol un pissegh de Tabacch.

La figura del kalom

Guglielmin non la vol far

e solenne in quel macom

incomincia el parlar,

coma quel che sa a memoria

el mestier de l’oratoria.

- Eccellenza, maestranza,

che perdona el gran ardir:

dopo tutt me g’ho speranza

che lu ascoltarà el me dir

senza tante introduzion

de proverbi e paragon.

Che ne daga el sostegn

in ‘sta nera divergenza;

me conossi el gran insegn

che distingua eccellenza:

oh! prefett, prefett, prefett,

un malan minaccia el ghett:

el Consiglio malcontent

la Baracca vol disfar,

ma con tuto el talent

la Baracca voi salvar,

vòi salvarla dal furor

de le man de i assessor.

Sol per quest son vignù

con ‘sti neri malmasai

che davanti chì de lu

fan con me i paramai

e la preghen in Torà

che lu faga ‘sta misvà.

Se voless saver chi son,

son el fiol de la Nineta:

non ghe fogh genuflession,

complimenti de kaneta,

ma con lu me raccomandi

Guglielmin ai comandi.

 

 

Quando quei cinque bravi gnivrim (ebrei)

sono davanti al Prefetto

tutti neri (mesti) e sciafelim (umili)

lo salutano con rispetto,

e vedendo una poltrona

vi si siedono alla buona.

Dopo molti complimenti

non sapendo come incominciare

si guardano timidamente

e non fanno che sbadigliare:

Bonumor battendo il tacco

prende un pizzico di Tabacco.

La figura del kalom (stupido)

Guglielmin non la vuole fare

e solenne in quel macom (luogo)

incomincia il suo discorso,

come uno che conosce alla perfezione

l’arte oratoria.

- Eccellenza, maestranza,

voglia perdonare il grande ardire:

dopo tutto io ho la speranza

che lei ascolterà le mie parole

senza tanti preamboli

di proverbi e similitudini.

Che ci dia il suo sostegno

in questa nera (triste) controversia;

io conosco il grande ingegno

che distingue sua eccellenza:

oh! prefetto, prefetto, prefetto,

una disgrazia minaccia il ghetto:

il Consiglio insoddisfatto

vuole demolire la Baracca,

ma io con tutto il mio talento

voglio salvare la Baracca,

voglio salvarla dal furore

delle mani degli assessori.

Solo per questo io sono venuto

con questi neri malmasai (tristi sfortunati)

che qui davanti a lei

fanno con me le loro lamentele

e la pregano in Torà (sulla Bibbia)

che lei faccia questa misvà (buona azione).

Se vuole sapere chi sono,

sono il figlio di Nineta:

non mi inchino davanti a lei,

non le dico frasi di kaneta (adulazione),

ma con lei mi raccomando

Guglielmin a sua disposizione.

 

 

Canto 5°

 

Le vostre preghiere mi giungon gradite

e ve l’assicuro, parola d’onor,

farò lamentele sì forti e sentite

che non fiateranno i signori assessor.

E se il caro Sindaco, vecchio lunario,

volesse rispondermi coppe a baston,

in magna tenuta lo mio segretario

saprà svergognarlo a dispet del blason.

Ritorni al lavoro con pace e con calma,

non abbia passioni, signor Guglielmin,

commosso mi sento fin dentro nell’alma,

che non so tenermi da darle un bacin.

 

 

Le vostre preghiere mi giungono gradite

e vi assicuro, parola d’onore,

che farò rimostranze così forti e profonde

che i signori assessori non potranno ribattere.

E se il caro Sindaco, vecchio lunatico,

non mi volesse rispondere a tono,

il mio segretario in veste ufficiale

saprà svergognarlo nonostante la sua carica.

Ritorni al lavoro con pace e serenità,

non si tormenti, signor Guglielmin,

mi sento commosso nel profondo del cuore,

tanto che non so trattenermi dal baciarla.

 

 

Canto 6°

 

Grazie, grazie bon prefett,

te ringrazi del affett

e perdona se così

me te daghi del :

cosa vot che me te diga

con i amich non ghe bad miga,

me g’ho un cor cosita bon

che me tol ogni ragion.

Te saludi, Celenza,

con sincera confidenza,

e te faghi con rispett

tanti auguri per mognet.

 

 

Grazie, grazie buon prefetto,

ti ringrazio del tuo affetto

e perdona se in questo modo

io ti do già del tu:

cosa vuoi che ti dica

con gli amici non ci faccio caso,

io ho un cuore così buono

che mi impedisce di ragionare.

Ti saluto, mia Eccellenza,

con sincera familiarità,

e ti faccio con rispetto

tanti auguri per mognet (le feste).

 

 

Canto 7°

 

Quand se veden ‘sti gnivrim

da la via dei Giustizià

che con faccia de purim

sota bras vegnen in ,

tutt la folla entusiasmada

ghe va incontra in procession

e ghe dà una gran picciada

co le man e coi baston.

Po’ con aria lieta e pia,

esultante d’ambizion

corra a Scola Beccaria

a pregar con devozion.

 

Quando si vedono questi gnivrim (ebrei)

da via dei Giustiziati

che con aspetto de purim (festoso)

vengono avanti a braccetto,

tutta la folla entusiasta

va loro incontro in corteo

e dà loro delle gran pacche sulle spalle

con le mani e con i bastoni.

Poi con aria lieta e pia,

esultante per il successo

corre alla Scola (Sinagoga) Beccaria

a pregare con devozione.

 

 

ELENCO

 

 

 

SUCCESSIVA