Utopia di un Parco dal Centro Studi Torre di Nebbia
di
Piero Castoro

Chiunque abbia provato a difendere un pezzo di natura dall’assalto cieco di quanti sono abituati a vedere solo l’affare privato che si cela nella distruzione, spesso ormai irreversibile, di bellezze, di luoghi e di paesaggi; chiunque abbia svolto un’opera di volontariato in qualche campo della vita sociale; chiunque insomma si sia trovato ad agire volontariamente e a livello di base, in modo “spontaneo” o strutturato, anche ben lungi dall’attribuire consapevolmente una valenza politica al proprio impegno, si è trovato prima o poi a porsi il problema del confronto col potere politico o con la dimensione politica in senso specifico.
Problema maledetto perché sempre mettersi in relazione con la sfera politica e con gli attori politici dei problemi sociali o ambientali significa forzare un po’ la natura dell’impegno volontario e di base. Ciò che sembrava semplice si rivela complicato o impossibile a risolversi. Ciò che nitidamente si poneva come questione urgente risulta perfettamente rinviabile, magari con il riferimento alle “necessarie mediazioni” tra gli organi decisionali e tra le “parti sociali”. Insomma si tratta di entrare in un tempio dai riti assai particolari. Tutto sembra ad un tempo, possibile e impossibile, ogni contorno sfuma, aspetti lessicali diventano cruciali, altri aspetti, sostanziali, sembrano svanire. E, fatale, spesso compare la prospettiva dello “scambio”. Non si tratta semplicemente di sentirsi chiedere il “voto”. La cosa è più sofisticata e va dalla stesura di delibere, documenti, interpellanze sul problema in oggetto e fatte passare come proprie dal consigliere di turno all’erogazione “contrattata” di fondi con relativo invischiamento nell’iter di pratiche e coinvolgimento burocratico-istituzionali-politici. È un percorso che spesso non lesina umiliazioni o tentativi di adescamento, non di rado vincenti. È anche, in grandissima misura, un percorso inevitabile. Chiunque si ponga sul serio in una prospettiva di intervento concreto nella realtà non lo può evitare, non può sottrarsi al confronto con tale sfera. Può, forse, tentare di restare sopra le parti. Questo è soprattutto l’atteggiamento dei gruppi e delle associazioni del volontariato in campo sociale, ad esempio. Scelta rispettabile, anche se a volte va a scapito di una chiarezza di posizioni non solo sul piano degli schieramenti politici ma dei contenuti stessi. Un’altra via dell’impegno volontario, è quella di rinunciare all’equidistanza dai partiti e dal palazzo ed entrarvi autonomamente, correndo i molti rischi che ciò comporta. Se si guarda alla storia dei verdi italiani, per esempio, e di molte liste (non solo civiche) a livello comunale, si vedrà facilmente che molti dei rischi preventivabili non sono stati affatto evitati. Tutto ciò che di peggio si poteva attendere lo abbiamo avuto: improbabili riciclaggi, massima ingenuità da un lato e massimo cinismo dall’altro, scissioni strumentali, fusioni opportunistiche, involgarimento e banalizzazione di questioni complesse e capitali, ecc. Non occorre insistere.
Alla vigilia di queste nuove elezioni regionali la discussione in atto, almeno nel movimento dei Comitati Territoriali dell’Alta Murgia si è venata, nelle riflessioni più consapevoli, di interrogativi circa la reale possibilità di agire limpidamente ed efficacemente sul piano di una articolata e ormai decennale attività politica e culturale, in una regione e in un territorio come i nostri, tesa alla costruzione dal basso del Parco nazionale. Oltre qualche rara e meritevole eccezione, uno dei problema capitali, è rappresentato dalla fragilità culturale e civile che spesso, senza registrare tra i diversi schieramenti differenze sostanziali sulle scelte che contano, contraddistingue la nostra classe politica sia a livello locale e, soprattutto, regionale. Esempi, in tal senso, non mancano e, solo per citare l’ultimo episodio ancora fresco, potrebbe bastare il riferimento all’ultimo regalo che Fitto ci ha consegnato subito dopo aver approvato la legge che consente di procedere, in barba alle norme di tutela delle aree protette, all’apertura di nuove cave nel parco nazionale dell’Alta Murgia, ovvero l’autorizzazione ad impiantare in un’area SIC e ZPS, un parco eolico di (per ora) novanta pali (per saperne di più: www.altramurgia.it). Oltre alle imprese, sponsorizzate da alcuni noti impresari di cave, il più strenuo sostenitore di questo imminente e nuovo scempio ambientale della Alta Murgia è rappresentato dall’Amministrazione di centro-sinistra di Minervino Murge che, insieme alla Regione Puglia, ha ignorato completamente le Osservazioni molto pertinenti e circostanziate fatte da una decina di associazioni pugliesi. La stessa via crucis seguita per l’iter istitutivo è purtroppo costellata ancora oggi, con l’istituzione ufficiale del parco sancita nel luglio 2004, di comportamenti ambigui e scelte demagogiche e scellerate, mascherate dalla necessità di mediare tra le parti sociali ed economiche, con il risultato di favorire, nei fatti, la logica dell’erosione e dello sfruttamento senza limiti del patrimonio ambientale e antropico ad opera di lobby affaristiche. La prova più evidente è rappresentata dalle tante ferite inferte al territorio operate in dispregio di programmi annunciati o delle stesse “regole” che, solo a parole, si continuano ad invocare. Il caso degli accordi di programma messi in atto nel territorio di Altamura, con la complicità della stessa Amministrazione di centro-sinistra, che pur ha aderito all’istituzione del parco, conferma purtroppo quanta strada occorre ancora fare per segnare una svolta vera nella gestione e nell’uso del territorio.
È possibile sfuggire ai veleni della politica, sia standone distanti sia, e di più, sfidandola sul suo proprio terreno? Nessuna risposta finora venuta dalla realtà – non dalla teoria – garantisce niente. Chi è stato fuori ha spesso finito per lavorare per il famoso Re di Prussia o per seminare illusioni sulla neutralità e pulizia della “società civile” e sull’utilità di una delega alle istituzioni. Chi in politica è invece entrato a volte ha visto snaturarsi le ragioni che lo avevano motivato, i contenuti stessi del proprio impegno e ha rischiato l’omologazione tra i politicanti contestando i quali era, per così dire, “sceso in campo”.
L’incontro tra l’impegno volontario, e di base, e i partiti continua purtroppo a somigliare a quello narrato da una vecchia storiella, tra una raganella e uno scorpione sul bordo di un fiume:

- Mi dai un passaggio sulla schiena fino all’altra sponda? - chiede lo scorpione.
- Fossi matta – risponde la raganella, - tu mi pungeresti uccidendomi!
Non sono mica matto nemmeno io – dice a sua volta lo scorpione, - se ti uccido muoio anch’io annegato –.
La raganella infine si convince e si carica lo scorpione sulla schiena incominciando a nuoto la traversata del fiume. Giunti però nel mezzo lo scorpione d’istinto punge l’ingenua e generosa bestiola.

- Pazzo, perché l’hai fatto? -
Grida questa - moriremo entrambi –

- lo so, ma è nella mia natura. Non posso farci niente – dice lo scorpione mentre sprofonda insieme alla raganella morente.

Così la politica, spesso, con l’impegno spontaneo. Lo avvelena, uccidendolo, ma avvelena e uccide un possibile passaggio di sponda, uno spazio e un orizzonte nuovi.
Sappiamo, fuor di storiella, che nella realtà le cose sono più mescolate, più complicate. C’è ancora della raganella in qualche ambito e soggetto politico; c’è più spesso dello scorpione nel vasto arcipelago del volontariato e dell’ambientalismo, anche quello meno coinvolto dalla politica.
Ogni tanto però capita di essere stimolati da nuove e motivate forme di coinvolgimento, come verifichiamo nel caso della candidatura di Nichi Vendola. E allora si torna a sperare nella possibilità che la politica possa rapportarsi seriamente anche ai movimenti e alle associazioni di base per tentare, senza tradire il ruolo cui ognuno è chiamato a rivestire, di traghettare e raggiungere insieme la sponda al di là della palude in cui ancora ci troviamo, grazie all’attività che ha caratterizzato complessivamente l’operato dell’Amministrazione Fitto.
Quello che prevale, da un’attenta analisi della situazione attuale, è l’idea di una politica pianificatoria a cui manca la capacità o la volontà di saper gestire e promuovere, con unitarietà, coerenza e chiarezza, una gestione oculata di un comprensorio oggi ancora umiliato da condizioni di illegalità diffuse, da indifferenze, da forme di distruzione selvaggia, prima fra tutto l’attività di spietramento che continua a macinare e a desertificare il più grande polmone verde della Provincia di Bari. Un parco nazionale che si vuole di pace, istituito con cinque poligoni militari ancora operanti, con ampie superfici inquinate e che attendono di essere bonificate…

Cosa fare? Quali le priorità?
Non è difficile elencare, come da troppo tempo facciamo in mille modi, quello che ci sembra opportuno cominciare realmente a fare. A partire dalla effettiva nomina e insediamento dell’Ente parco, in direzione, però, di una gestione partecipativa cui chiamare i tanti soggetti di base operanti sul territorio e che sono in grado di offrire le proprie competenze accumulate in anni di lavoro, di ricerca e di impegno sostenuti dalla passione e dalla necessità di salvaguardare e valorizzare questo cuore interno della Puglia e del Sud.
Si tratta di innescare un processo in grado di costruire gradualmente e in maniera autocorrettiva le risposte giuste. Gli elementi fondamentali di questa azione non potranno non comprendere alcune essenziali strategie di intervento: 1) un piano di tutela, bonifica e manutenzione del patrimonio naturale e storico architettonico; 2) un vasto programma di riconversione delle pratiche agricole correnti basate ormai quasi esclusivamente su di una monocultura cerealicola perennemente in crisi; 3) la creazione di una offerta turistica non tradizionale e non speculativa che, evitando gli stereotipi del turismo consumistico di massa, proponga soluzioni originali in grado di soddisfare una domanda turistica il piú possibile articolata e ricca di stimoli eterogenei.
A partire da questa prospettiva, quindi, diventa possibile proporre per l'Alta Murgia un progetto ambientale in cui i criteri informatori della progettazione diventino le leggi biologiche di produzione e di scambio; i materiali per eccellenza l'aria, la vegetazione, l'acqua, il silenzio, lo spazio ecc.; gli elementi fondanti, invece, i manufatti e i luoghi della memoria (masserie, jazzi, casali, siti archeologici, fontanili, castelli) con tutto il loro carico di sapienze tecnologiche, le componenti paesistiche ed ambientali (le doline, le gravi, i boschi), le opere infrastrutturali e la fitta rete di percorsi gerarchizzati già esistente (sentieri, tratturi, vicinali, carrarecce, carrozzabili, statali); le aziende produttive agrituristiche, le attività agro-silvo-pastorali, razionalizzate e orientate verso produzioni biologiche di qualità da commercializzare attraverso consorzi, attente ricerche di mercato e operazioni di marketing…
Si fa strada, quindi, un'idea progettuale che possa ad un tempo produrre una natura in via di estinzione e nuove forme di abitare. Questa idea progettuale, lo ripetiamo ancora una volta, non può essere coltivata senza l'assunzione di scelte oculate e coraggiose ma, soprattutto, senza il coinvolgimento nel processo di tutti gli attori sociali; senza il confronto con l'imprevedibilità e il divenire con tutte le loro contraddizioni.
Nichi Vendola, come noi, sa bene che lo scontro in atto non è tra utopia e realtà ma tra le diverse utopie che tentano di inserirsi nella realtà. Allora, la sua candidatura e, soprattutto, la sua elezione a Presidente della Regione Puglia, potrà certo alimentare, nel senso auspicato, le utopie coltivate in terra di Puglia (e di Lucania), utopie che si presentano ormai da tempo come crude necessità non più rinviabili (cessi la guerra ma anche lo spietramento); utopie che mirano a salvare qualcosa che altrimenti muore e ad avviare un nuovo processo in grado di produrre dialogo e agonismo vero nelle comunità.
Insomma, se una delle funzioni principali della politica è la “mediazione”, che questa si faccia oscillare solo e sempre a beneficio delle collettività e di chi non ha voce, come la natura e le generazioni future. Queste sono le responsabilità che noi riconosciamo alla politica e solo se la politica si saprà appropriare di questo ruolo essa potrà esercitare la sua autorità e meritare il nostro consenso.
Per quanto ci riguarda, siamo pronti, all’indomani dell’esito elettorale, a offrire il nostro contributo, ad essere ascoltati come parte attiva di un processo (l’Amministrazione Fitto non lo ha mai fatto, avendo preferito prestare il suo orecchio solo alle “ragioni degl’altri”), di un territorio che abitiamo e che ancora amiamo, solo al fine di continuare a dar corpo alla nostra utopia e di realizzare, in quest’area straordinaria, il primo parco rurale d’Italia.

Numero speciale elezioni amministrative 2005