Un cammino solidale
di Daniela Curto

In epoche remote, nei più iniziali dei tempi,
quando eravamo le bestie più vulnerabili della zoologia terrestre,
quando rappresentavamo la categoria di pranzo facile sulla mensa dei nostri vicini più voraci, siamo stati capaci di sopravvivere,
contro ogni evidenza,
perché abbiamo saputo difenderci uniti e dividere il cibo fra noi.
Oggi è più che mai necessario ricordare queste vecchie lezioni del senso comune.
Eduardo Galeano


L’azione volontaria nasce con la storia dell’uomo, inizialmente come scelta del singolo e, successivamente, come forma collettiva di aggregazione spontanea finalizzata al conseguimento di scopi solidali attraverso azioni gratuite. Proprio la gratuità, intesa come momento del fare in un tempo liberato dalle costrizioni economiche e dedicato all’impegno civile e solidale, costituisce il suo elemento di unicità e caratterizzazione.

L’idea basilare del volontariato moderno si fonda sulla fusione del concetto di gruppo, di condivisione, di pluralità, con la gratuità. La sua vocazione è la sperimentazione di percorsi innovativi di lotta all’esclusione sociale, di soluzioni ai problemi della collettività, di nuovi servizi a misura delle persone. Il suo fine è quello di avere funzioni di “apripista”, libero da subordinazioni: sperimenta un servizio disegnando il percorso che seguirà chi dovrà stabilmente lavorare per rimuovere quel problema (sia esso una istituzione o un soggetto del terzo settore). Proprio per questo Luciano Tavazza, uno dei padri del volontariato italiano, era solito ammonire non siamo nati per morire soffocati nei servizi. Il volontariato è, dunque, un soggetto sociale che fa testimonianza di attività solidale sul territorio e, contestualmente - con la stessa coerenza e determinazione – fa promozione e pressione politica per la rimozione delle cause di ingiustizia e dei meccanismi di esclusione sociale.Questo fare/agire risulta molto distante dall’idea di “buona azione”, sporadica e affidata al buon cuore di un singolo, che ha caratterizzato gli inizi delle esperienze di solidarietà. Da questa solidarietà singola, che tampona le emergenze ma non si pone ancora il problema della rimozione delle cause, si passa, negli anni ’70 (quel periodo che vede in Italia, da un lato, la nascita di numerose associazioni, dall’altro, l’esplosione del fenomeno del terrorismo in tutta la sua violenza), alle esperienze organizzate. Le persone – i volontari – si mettono insieme per affrontare una situazione di sofferenza che non trova ancora risposte nella società: si organizzano intorno ad uno scopo. Il passaggio significativo che si compie in quegli anni è quello di incominciare a pensare all’azione solidale in termini di progetto, non di emergenza, di incominciare a denunciare le situazioni di esclusione ed emarginazione chiedendo, in maniera pressante, risposte politiche ai problemi sociali e portando all’attenzione del mondo istituzionale questi problemi.
Il percorso tracciato
Il volontariato italiano trova il suo caposaldo negli elementi fondanti della Costituzione della Repubblica italiana (1947). L’articolo 3 recita: “E’ compito della Repubblica (e quindi dei suoi cittadini) rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non esiste dunque solidarietà senza la rimozione degli ostacoli e delle cause che limitano la libertà, l’eguaglianza, il pieno sviluppo di ogni persona, la partecipazione: questo, per i cittadini, è dovere inderogabile da anteporre a tutti gli altri. A questa assiomatica affermazione, nel 1991, si aggiunge come traguardo fondamentale la promulgazione della “Legge-quadro sul volontariato”, che di fatto ha sancito il riconoscimento formale del volontariato all’interno dello Stato italiano, delineandone le caratteristiche e le modalità operative. Uno degli effetti importanti della legge 266, dovuto alla lungimiranza del legislatore, è l’istituzione dei Centri di Servizio al Volontariato (organismi che erogano servizi gratuiti alle associazioni di volontariato e per fare ciò sono finanziati dall’1/15 del fondo di beneficenza delle Fondazioni bancarie), gestiti dal volontariato per il volontariato, inteso come fattore di sviluppo della solidarietà organizzata. La legge 266, frutto di un lavoro congiunto di esperti di giurisprudenza e rappresentanti del mondo del volontariato di fatto segna l’ingresso del volontariato nella modernità.Alla luce di quella legge, il volontariato non può più essere considerato come “buon esempio” – significativo ma marginale –, bensì come un fattore essenziale del processo sociale. Occorre che chi intende mettere in campo azioni di gratuità non si limiti a occuparsi dei bisogni immediati o a illudersi di risolverli con un gesto di generosità, ma sappia farsi carico dei significati, degli eventi grandi e piccoli, sui quali opera. Cosicché non basta, per un volontariato autentico ed efficace anche sul piano civile, la semplice disponibilità gratuita, ma occorre una consapevolezza storica della condizione umana senza la quale ogni progetto di cambiamento rischia di essere vanificato.
Camminare interrogandosi
Nella società odierna, dominata dal concetto di mercificazione di ogni cosa – materiale e immateriale – viene propagandata una nuova, inquietante immagine della solidarietà, veicolata attraverso i mass-media. Con essa risulta vero/reale che l’odierna rappresentazione sociale della solidarietà consiste nell’eseguire un versamento postale o nell’acquistare un biglietto per assistere a eventi sportivi che hanno come protagonisti personaggi celebri. L’equazione: - denaro = buona azione, tante buone azioni = solidarietà - introduce una pericolosa teoria dell’elemosina, di delega della coscienza morale. Si mette mano al portafogli e ci si sente più buoni: poco male se i problemi si allontanano sempre di più dalla coscienza poiché forse anche quella, oggi, può essere venduta/acquistata. Si accetta l’ineluttabilità dei 6.000 bambini (30.000 persone) che muoiono ogni giorno perché contraggono malattie a causa della “qualità” della vita: è il sacrificio da fare sull’altare della modernità, della globalizzazione che azzera il tempo e lo spazio, che amplia il mercato e dilata a dismisura le opportunità di ciascuno (solo di chi è inserito nel circuito). Michael Foucault, in modo crudo ma efficace, afferma che il razzismo consiste nell’introdurre una separazione tra ciò che deve vivere e ciò che deve morire, cioè che il razzismo consta nel creare le condizioni che rendono accettabile la morte di masse indefinite di persone. Questo razzismo dell’esclusione si fonda, dunque, sulla privazione per una parte sempre più consistente dell’umanità, anche nei Paesi cosiddetti sviluppati (innalzamento della soglia della povertà), dei diritti alla vita. La globalizzazione, concentrando l’80% della ricchezza mondiale nelle mani del 20% della popolazione, ha aumentato notevolmente il numero degli esclusi, delle persone che non hanno accesso ad una qualità della vita dignitosa. La nostra è diventata una società che produce i suoi margini come cerchi concentrici che vanno sempre più allargandosi.

La prosecuzione del cammino
Il mondo del volontariato non può rimanere solo attonito spettatore delle macerie prodotte dall’ideologia dominante. La sfida futura è quella di contrapporle, fortemente, la globalizzazione della solidarietà/ giustizia sociale.

L’evoluzione consiste nell’operare l’integrazione tra tutti i livelli energetici delle persone della solidarietà/giustizia: chi manifesta per la pace, chi auspica una economia sostenibile o chi si occupa dei bambini in difficoltà, ha sicuramente un denominatore comune: il sogno di solidarietà/giustizia sociale. L’elemento forte che li caratterizza e li unisce, prendendo a prestito una felice espressione che Marco Revelli adotta nel suo libro “Oltre il Novecento”, è quello di essere gli uomini che stanno nelle cose, che hanno l’opportunità di inventare un fare connotato dalla gratuità e mosso dalla solidarietà e non da un ritorno economico, un fare che si basa essenzialmente sui rapporti interpersonali più che sull’erogazione di un servizio materiale. Questi uomini solidali dovranno battersi per tutti i diritti alla vita affinché sia possibile l’affermazione di una società più equa, centrata sulle persone e non sul mercato.

Solo allora, quando non ci sarà più bisogno di volontariato, come auspicava Luciano Tavazza, questo cammino sarà concluso: nel passaggio dalla Terra Promessa alla Terra Permessa, come recita il titolo del suo ultimo libro, il suo testamento morale.

Numero speciale elezioni amministrative 2005