La salute mentale in Puglia.
Analisi e proposte(1) dalla Sezione Pugliese di Psichiatria Democratica
di
Mariella Genchi

A partire dall’esperienza di Franco Basaglia e dalle lotte del movimento che portò in Italia all’abolizione dei manicomi, il lavoro in psichiatria è fondato sull’attenzione ai diritti delle persone: diritto alla cura, ma anche a vivere la propria diversità senza essere discriminati ed esclusi; diritto alla salute mentale, ma anche critica dei nuovi dispositivi che, in nome della salute e della sicurezza, riducono gli spazi di autonomia delle persone, trasformate in astratti fattori di rischio, calcolati statisticamente e da gestire attraverso interventi massificati. In particolare, combattere l’esclusione sociale significa garantire l’effettivo diritto dei pazienti ad accedere a ciò che è fondamentale nella vita di ogni persona: avere relazioni sociali ed affettive, abitare, lavorare.
Dalla legge di riforma 180 del 1978, integrata nella legge 833 che nel 1979 istituì il Servizio Sanitario Nazionale, e da allora mai abrogata (nemmeno dalla legge 502 sull’aziendalizzazione), la nostra principale preoccupazione è stata di garantire servizi di salute mentale capaci di rispondere alla domanda di aiuto e di offrire un ventaglio di opportunità per la realizzazione di una piena cittadinanza dei pazienti. Impegno che diventa oggi tanto più urgente e necessario, quanto più si ripropone drammaticamente il nesso tra povertà (economica, sociale, culturale) e malattia.

Rimanere disoccupati, avere un lavoro precario, non avere accesso al mondo del lavoro – esperienze che purtroppo colpiscono un numero crescente di persone – significa perdere un ruolo sociale o non poterne avere uno; significa perdere diritti o non potervi accedere; significa perdere un’identità o non poterla costruire; significa in sostanza vivere una condizione d’insicurezza personale e sociale, di grande precarietà e marginalità, di solitudine.

Non è dunque possibile lavorare per la salute mentale dimenticando le condizioni di vita reale delle persone; non è possibile arroccarsi nel proprio ruolo limitandosi a erogare tecniche moderne e raffinate, che se poi non funzionano è “per colpa della malattia”.

È invece fondamentale sviluppare una salute mentale di comunità che miri a esplorare e a valorizzare le reti naturali (amici, parenti, vicini di casa); che stimoli il protagonismo dei pazienti e dei familiari; che punti sulla risorsa umana dei volontari e dei non professionisti; che sviluppi una reale integrazione con i servizi socio-sanitari, attraverso pratiche di collaborazione e di coinvolgimento di altre figure professionali, esterne alla psichiatria.

Questo lavoro, che in Puglia si è sviluppato attraverso importanti esperienze personali e d’équipe, diventa oggi sempre più difficile, a causa delle politiche nazionali (ricordiamo le proposte di legge Burani Procaccini di abrogazione della legge 180) e regionali, che remano in una direzione opposta: profondamente impregnate di neoliberismo, tali politiche tendono infatti ad “alleggerire” lo Stato da tutti i residui del Welfare, trasformando l’assistenza, la riabilitazione, l’integrazione sociale dei pazienti in ghiotte occasioni di mercato, spesso foraggiate dallo stesso denaro pubblico e, al tempo stesso, sottratte alla programmazione e alla verifica dei servivi pubblici.

In Puglia è in atto un feroce attacco all’assistenza psichiatrica pubblica, che si traduce in una manovra massiccia d’impoverimento dei servizi territoriali per la salute mentale, a vantaggio di una proliferazione di strutture residenziali, la cui gestione è affidata sempre più al privato imprenditoriale.

La Legge Regionale n. 30/98 di organizzazione dei Dipartimenti di Salute Mentale, che sancisce l’apertura su 12 ore dei Centri di Salute Mentale (CSM), è ancora oggi sostanzialmente inapplicata: i CSM in quasi tutta la regione sono aperti solo 6 ore al giorno, e non sono rispettati i parametri dell’organico di 1 operatore per ogni 1.500 abitanti, previsti dal Progetto Obiettivo Nazionale “Tutela della Salute Mentale”.
Non solo la legge non è applicata, ma rischia di essere stravolta da decisioni – talvolta già assunte, come nell’ASL LE/2 – che tendono ad accorpare più CSM, mentre la legge prevede 1 CSM per un bacino di utenza da 75mila a 120mila abitanti.

Una manovra che apparentemente intende garantire l’apertura dei CSM sulle 12 ore, ma che di fatto mira a tenere aperto 12 ore un solo CSM centralizzato in ogni ASL, e a ridurre a meri “ambulatori” psichiatrici i servizi oggi presenti sul territorio. Questo modello organizzativo risponde unicamente a una logica di tagli della spesa, privilegiando la risposta all’emergenza/urgenza psichiatrica.
L’apertura su 12 ore di un unico CSM, sul territorio di un’intera ASL, smantella la rete dei servizi, trasformando la salute mentale in un guscio vuoto. Ridotti a semplici ambulatori, gli altri servizi del DSM possono, infatti, funzionare solo come erogatori di prestazioni medico-specialistiche e infermieristiche. In questo modo, viene snaturato il senso stesso della Riforma psichiatrica, con la riproposizione di un modello operativo fortemente medicalizzato e centrato sull’ospedale.

Questa politica della Regione Puglia e delle Aziende Sanitarie è un attacco frontale al lavoro territoriale, inteso, prima di tutto, come una cultura dei servizi che pongono al centro della loro pratica i diritti e i bisogni delle persone e della collettività, combattendo ogni forma di esclusione sociale e di stigma.
Per questo, i servizi devono essere luoghi non solo accessibili, fruibili, accoglienti, ma anche spazi d’incontro e di scambio, nei quali costruire processi e percorsi concreti di emancipazione dei pazienti, attraverso la promozione di esperienze di socializzazione, di associazionismo dei familiari e degli utenti, di formazione e accesso al lavoro, e attraverso la creazione di cooperative di utenti e di gruppi di auto-mutuo-aiuto.

Queste realtà sono presenti da anni in Puglia, ma sono ormai diventate “pratiche di resistenza”, che si oppongono faticosamente al processo di “desertificazione” del territorio, purtroppo inevitabile se non saranno garantite ai servizi adeguate risorse umane e finanziarie, in ottemperanza non solo alla legge regionale, ma anche al progetto obiettivo nazionale “Tutela per la salute Mentale” 1998/2000, e all’accordo tra gli Assessori alla Sanità delle Regioni del 2001, che prevede l’assegnazione ai Dipartimenti di Salute Mentale del 5% dei fondi regionali.

A fronte dell’impoverimento dei Centri di Salute Mentale, si assiste al fiorire di un numero esorbitante di strutture residenziali. Dai dati della ricerca “Progress” sulle Strutture residenziali psichiatriche in Puglia, nel 2002 risultava un totale di 1505 posti letto, dei quali 1258 con un’assistenza sulle 24 ore, 187 sulle 12 ore e 60 in gruppi appartamento, nonché 660 posti semiresidenziali, ossia per i Centri Diurni.
In Puglia, i posti letto di residenzialità psichiatrica superano di molto i parametri definiti dal Progetto obiettivo nazionale, che stabilisce 1 posto letto per ogni 10.000 abitanti; mentre nella nostra regione abbiamo 3,59 pazienti per 10.000 abitanti, con punte massime, nella ASL LE/2, di 8,68 pazienti per 10.000 abitanti e, nella BA/5, di 6,72 per 10.000 abitanti.

L’escalation delle strutture residenziali – verificatosi soprattutto negli ultimi anni, con una logica di “mercato” avulsa dalla programmazione dei DSM – è l’espressione di una totale assenza di controllo da parte dell’Amministrazione regionale, che di fatto sta avallando e favorendo lo svilupparsi di una nuova manicomialità diffusa. Non a caso, nella ASL LE/2, all’altissimo numero di posti letto nelle residenze, fa riscontro lo stravolgimento dell’organizzazione territoriale dei Centri di Salute Mentale, ormai ridotti a funzionare come ambulatori medico/infermieristici.

Bisogna arrestare e invertire questa pericolosa tendenza, che ripropone come risposta ai bisogni degli utenti e delle famiglie, al posto delle esperienze che promuovono salute mentale, nuove forme di isolamento e di contenimento della malattia.

In Puglia, rischiano di scomparire esperienze avanzate di cooperative di lavoro dei pazienti, a cui le stesse ASL sottraggono commesse, e risulta ancora inapplicata la Legge 68/99 sul collocamento obbligatorio al lavoro dei diversamente abili.

Le forme più autonome di gestione dei centri diurni, condotte dalle associazioni dei familiari e utenti, e le uniche esperienze di gestione mista pubblico/privato-sociale delle strutture residenziali, presenti nella provincia di Taranto, potrebbero essere cancellate dalla logica di mercato imperante nelle ASL, che vuole sempre appaltare al presunto “miglior offerente”. Assistiamo alla progressiva riduzione dei fondi della socializzazione, come per esempio nella ASL BA/4, peraltro gestiti, in questi ultimi anni, direttamente dalle ASL, senza tener conto delle programmazioni dei servizi e dei bisogni dell’utenza.

Tali procedure evidenziano la grande contraddizione delle ASL, che da un lato, in modo sempre più rigidamente gerarchico, verticistico, controllano il flusso finanziario di spesa pubblica, dall’altro operano sempre più frequenti e onerose forme di esternalizzazione e di privatizzazione dei servizi sanitari. In questo contesto, la totale discrezionalità dei direttori generali, conferita dall’aziendalizzazione delle aziende sanitarie locali, chiude ogni spazio di dissenso e di critica costruttiva, in assenza peraltro di qualsiasi tipo di controllo e di verifica sulla qualità delle prestazioni da parte degli organi regionali competenti.

Sulla base di questa analisi, sottoponiamo all’attenzione del candidato Presidente On. Nichi Vendola, le seguenti indicazioni programmatiche per lo sviluppo in Puglia delle politiche di Salute Mentale:

  1. Assegnazione di almeno il 5% del Fondo Sanitario Regionale ai Dipartimenti di Salute Mentale;
  2. Immediata applicazione della Legge regionale 30/98 con urgente adeguamento del personale per consentire l’apertura dei CSM almeno 12 ore;
  3. Istituzione sperimentale (almeno uno in ogni ASL) di CSM aperti 24 ore e non solo per l’urgenza, dotati di posti letto;
  4. Sviluppo delle forme alternative di assistenza, come l’affido eterofamiliare, a cui assegnare specifiche risorse finanziarie;
  5. Realizzazione di gruppi-appartamento, con assegnazione di una quota di alloggi ATER ai pazienti psichiatrici;
  6. Sostegno all’istituzione e attività delle Cooperative di lavoro di tipo B;
  7. Presa in carico da parte dei DSM dei pazienti detenuti nelle carceri e negli OPG (Legge 230/99)
  8. Concreta applicazione del Regolamento regionale per il collocamento al lavoro dei disabili (Legge 68/99) ed istituzione di un tavolo regionale di concertazione tra i diversi soggetti interessati (Province, Comuni, Sindacati, Associazioni delle Imprese, ecc.);
  9. Creazione di Centri sociali integrati nel territorio accessibili anche ai pazienti psichiatrici, tendenzialmente autogestiti (Legge Regionale 17/2003 applicativa della Legge 328/2000);
  10. Iniziative di sostegno alle associazioni di utenti psichiatrici e dei loro familiari;
  11. Assegnazione di risorse ai DSM per la realizzazione e lo sviluppo delle reti sociali naturali e formali all’interno dei Piani Sociali di Zona.

Queste proposte, che non hanno certo la pretesa di rispondere ai molteplici bisogni di utenti, familiari e operatori che hanno posto la tutela dei diritti al centro delle loro preoccupazioni, nascono da una storia trentennale di alleanze e di lotte antiistituzionali in Puglia, e costituiscono la base certa per un impegno di lavoro comune con la futura amministrazione regionale presieduta da Nichi Vendola.

1) Rielaborazione del documento presentato dalla sezione pugliese di Psichiatria Democratica, in occasione dell’incontro programmatico del candidato presidente on. Nichi Vendola, tenutosi il 19 febbraio 2005 a Bari presso la Fiera del Levante.

Numero speciale elezioni amministrative 2005