Primarie e democrazia
di
Imma Barbarossa

Sono tra quelle/i che hanno sempre avuto diffidenza nei confronti delle cosiddette primarie: mi hanno sempre fatto venire in mente le “convention” (ormai non riusciamo ad esprimerci diversamente) americane, i palloncini, i gadget, le bande, folle di persone agghindate con le foto dell’eligendo, risate, grida, applausi a qualsiasi cosa venga detto. E sul palco, dulcis in fundo, un candidato con immancabile famiglia perbene, gli occhi lucidi, il bacio alla moglie “senza della quale non sarebbe arrivato dov’è” e lei pronta a sussurrare che è un uomo meraviglioso, buon padre e marito affettuoso. Ma al di là degli aspetti folklorici, che a noi schizzinosi della vecchia Europa fanno problema, le primarie americane non sono certo il massimo di democrazia: le folle plaudenti sono in realtà convocate per ratificare gli accordi dei “grandi elettori”, dei loro potenti sponsor, delle potenti lobbies. Ci troviamo dunque con questo stato d’animo (e con questo giudizio tra l’estetico e l’etico-politico) a parlare di primarie, ad averle volute, quasi “imposte” democraticamente, ad averle praticate, a difenderne e sostenerne il responso. Il nome di Nichi Vendola – mi piace ricordarlo – fu avanzato dalla delegazione del PRC che prendeva parte alle riunioni dei partiti ex Ulivo, ex Gad, ora Unione (mi sarebbe piaciuto L’Unità, ma forse avrebbe suscitato paure e sospetti; pazienza, non si può avere tutto nella vita); quel nome – è bene ricordarlo – suscitò attestazioni formali di stima, anche perché si pensava che fosse un ballon d’essai di Rifondazione, tanto per far vedere che aveva un candidato da far valere. Come è noto, le cose non sono andate così. Certo, se le primarie fossero state quelle dei cosiddetti grandi elettori, le cose sarebbero andate diversamente. Ricordo che il 13 dicembre 2004, essendo io una “grande elettrice”, mi trovai alla Fiera del Levante davanti a uno scenario a dir poco paralizzante: si trattava in realtà di politici/politici, quasi esclusivamente di genere maschile, tra cui qua e là spiccava qualche donna. I politici/politici, (alcuni dei quali avevano già consigliato per iscritto sulle testate locali a Vendola di farsi da parte), continuarono a consigliare “affettuosamente” a Vendola di farsi da parte, sostenendo – ovviamente – che Rifondazione meritava tutto il rispetto, era presente nelle giunte con incarichi di rilievo, ma non poteva permettersi di rappresentare la coalizione, ecc., ecc. Le cose sono andate come sono andate, e sarei ipocrita se non riconoscessi in questa vicenda il ruolo decisivo delle associazioni prevalentemente baresi, ma in genere di tutta la Puglia. Un ruolo decisamente politico, per nulla rivendicativo, anzi tutto propositivo. Il loro merito, a mio avviso, è stato quello di aver detto con semplicità – ma anche con tenace caparbietà e in maniera unitaria – una cosa molto ovvia: solo un candidato realmente alternativo a Fitto (ma soprattutto a quello che Fitto rappresenta in Puglia) avrebbe non dirò vinto perché non sappiamo come andrà, ma avrebbe potuto mobilitare entusiasmi e passioni in una popolazione troppo abituata a considerare la politica come una faccenda di addetti ai lavori. Il lavoro delle associazioni ha permesso la partecipazione straordinaria di ottantamila uomini e donne che – come è stato sottolineato – in una fredda domenica di gennaio, sono andati pazientemente alla difficile ricerca dei luoghi dove esprimere la loro opinione. Questa è la storia. Ora qualche considerazione politica. In primo luogo sul lavoro delle associazioni. Chi legge avrà certamente notato che non ho usato il termine “società civile”, ma quello di associazioni. Infatti, società civile mi pare un termine generico che assume anche valenze di carattere populistico e persino qualunquistico e/o anche carattere di lobby. La “gente”, in un certo senso, con le sue richieste spesso corporative, con le rivendicazioni individualistiche, con le proteste che puntano a volte a mettere tutti/e e tutti i partiti sullo stesso piano e che – lungi dal determinare un rapporto democratico e politico tra dirigenti e diretti, finiscono col presentarsi come utenti o fruitori potenziali di elargizioni o come esclusi a priori e quindi protestatari a qualunque costo nei confronti di un Potere rappresentato nelle istituzioni. Le istituzioni come controparte. A scanso di equivoci, quasi sempre se lo meritano, ma a maggior ragione tra i compiti di una “repubblica ideale” è anche quello della formazione alla cittadinanza e alla democrazia. Ma dicevo dei rischi della cosiddetta “società civile”, il che spiega perché ho parlato di associazioni. Infatti, quelle che “seguono” e incontrano Nichi Vendola possono a buon diritto definirsi gruppi politici; infatti, si tratta di associazioni di malati di cancro, o di familiari di malati mentali, di cittadini esposti ai pericoli dell’amianto, o di cittadini che intendono partecipare alle scelte urbanistiche delle amministrazioni, di artisti, di docenti, di impiegati nella formazione professionale o di intellettuali e professionisti che cercano un destinatario istituzionale per “comunicare” le loro ricerche, il frutto della loro professionalità. Ebbene a me è parso che si tratti di interessi che hanno carattere politico. Voglio dire che quei grumi di sofferenza, di storie individuali, quelle testimonianze messe in campo mi è parso che tendano ad “immaginare” (nel senso leopardiano del termine) un’altra realtà possibile in cui – come ha detto bene Vendola in un affollatissimo incontro – quello che viene messo in crisi non è solo la sanità di Fitto, ma il “nostro” presunto agio di persone presumibilmente “sane”. Questo per quanto riguarda i portatori di richieste di attenzione. Per quanto riguarda le associazioni che si occupano di “interesse generale” o – come si dice oggi – di beni comuni, il discorso politico è ancora più immediato. In qualche caso, si tratta di associazioni che producono veri e propri movimenti (pace, lotta alla militarizzazione del territorio, rifiuto delle discariche, ecc.).
Sicché, io penso che si sia messo in moto un circolo virtuoso tra partiti e associazioni, tra partiti e movimenti; si è avviato un percorso che ha aperto delle crepe salutari nel sistema dei partiti, anche nel sistema maggioritario lo ha scompaginato, ha messo i partiti di fronte ad un mondo che non si fa né strumentalizzare né colonizzare.
Si pone ora ai partiti una doppia questione. Intanto va precisato che non tutti i partiti sono uguali, non solo nelle proposte politiche e nei programmi, ma anche nelle pratiche o – almeno – negli obiettivi di trasformazione o di attamento dell’esistente. Quindi la prima questione che si pone ai partiti è la loro “riforma” (rifondazione?), nel senso di aprire una discussione su di sé, sulla loro forma politica, sulle loro pratiche, sull’idea della rappresentanza sociale. Ma in secondo luogo si pone una questione più alta: quella di verificare quanto la crisi della politica abbia investito non solo la ‘società di massa’ ma anche la società politica.
Alle associazioni, io credo, si pone anche una questione complessa: come superare la tentazione di far coincidere meccanicamente la brutta politica con la brutta pratica dei partiti, come trasformare il rischio dell’antipolitica nella critica della politica.

C’è come una porta di vetro – scrivevano qualche anno fa tre donne eccellenti (Ida Domnijanni, Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa): al di là si svolge la convention che sceglie il candidato alla presidenza degli Stati Uniti, al di qua c’è un fanatico taxi-driver reduce dal Vietnam (lo splendido Robert De Niro) che cerca di superare l’esclusione varcando con le armi la porta di vetro. Più caserecciamente da noi c’è la casa del grande fratello e le folle dei telespettatori “costretti” (e autocostretti) a partecipare alle vicende dietro la porta di vetro. Ecco: senza esagerare, credo che Nichi Vendola stia consapevolmente in questo percorso di attraversamento: protagonista della Convention ma anche umile compagno di chi sta nella strada. Sta a noi non stare a guardare e non rimanere nella strada come semplici o acrimoniosi postulanti.

Numero speciale elezioni amministrative 2005