La storia politica europea e globale di questi ultimi quattro anni è stata contrassegnata da una straordinaria ondata di movimenti sociali nati quasi improvvisamente, ma non dal nulla. Il vuoto politico e culturale lasciato dagli anni '80, infatti, non ha portato né allo sfilacciamento del desiderio per la politica, né ad una generalizzazione dell'assopimento di chi ritiene di non avere più bisogni. Il “movimento dei movimenti” nato a Seattle sotto il segno di una contestazione diffusa del modello “neo-liberista” riusciva, in un colpo solo, a far ritrovare il desiderio per la politica e a creare uno spazio “altro” per poter rivendicare i propri bisogni, oltre che quelli di tutto il pianeta. Bisogni sempre più minacciati dalle dinamiche dell'economia globale. La presa di parola diretta di quel movimento riuscì a sollevare entusiasmi al punto che, durante le giornate drammatiche di Genova, tutto il mondo non poteva più evitare di fare i conti con l'enorme corpo sociale sparso per la città, a volte in fuga dalla polizia, a volte presente e fermo dinanzi ad essa, a volte giocoso, a volte silenzioso…a volte, spesso, nelle caserme o negli ospedali. La storia dei movimenti, dopo il '68, dopo il '77, si fermava anche al 2001. Genova 2001, appunto.
Ma cos'è un movimento? Foucault avrebbe detto che un movimento può dirsi tale solo se riesce ad essere uno specchio critico per i partiti. Uno spazio senza gerarchie e senza ruoli, di contestazione, di contro-condotta, di messa in discussione della democrazia rappresentativa, di presa di parola diretta e, quindi, anche di decisione politica. Uno spazio, in poche parole, rivoluzionario perché autonomo. Frutto di un insieme di individui e di singolarità che esercitano un comune sentire verso qualcosa. Non un progetto istituzionale. I movimenti nati dal basso e non dalle stanze adorne del “ceto medio riflessivo”, della società civile, non aspirano a governare. Semmai aspirano ad esercitare la democrazia diretta, a ripensare radicalmente il sistema delle cose presenti. Ma «che fare»?, si diceva qualche decennio fa, se all'improvviso, attraverso l'uso delle primarie, si candida a presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola?
Il ruolo di Rifondazione Comunista, infatti, è stato visibile e presente in tutti gli anni a cavallo tra la sua fuoriuscita dal governo ulivista sino a qualche mese prima delle ultime elezioni europee. Anzi, per molto tempo, Rifondazione Comunista ha predicato l'uso della disobbedienza civile annoverandola tra le modalità attraverso cui può essere possibile l'esercizio della democrazia ed è stata con i movimenti in più momenti. Rimane, però, un partito che ha governato e che governerà. A differenza della parte restante del movimento che partito non era e non sarà. Tutto ciò porta ad un numero elevatissimo di contraddizioni e di “differenze” che, soprattutto in questi ultimi mesi e soprattutto dopo il dibattito su violenza e non violenza lanciato sulle colonne del manifesto vale la pena affrontare.
La forza pluralista presente nei primi anni del movimento dei movimenti non esiste più. Al contrario sembra esservi solo una frammentazione assoluta e non solo per il divario sempre più ampio che si è venuto a generare tra “istituzionalisti” e “non istituzionalisti” ma anche e soprattutto perché il dibattito lanciato sulle colonne del manifesto ha alimentato un'attribuzione di stigma nei confronti delle frange cosiddette “violente” del movimento. Ma cosa è violento? Il conflitto sociale? Sicuramente no. Non resta che pensare, allora, all'autonomia. Anche l'autonomia, però, non è violenta. È solo un altro modo di praticare la decisione politica. Un modo, però, che confligge con le parti restanti del centro-sinistra, con il governo dei “buoni” e, quindi, in quanto tale deve essere allontanata. “Violenta”, appunto. Questo ha generato il dibattito su violenza/non violenza caldeggiato e voluto da Rifondazione proprio nei mesi che hanno preceduto il loro accordo con Prodi. E questo non si può dimenticare facilmente. Francesco Caruso, infatti, ha perfettamente ragione quando dice che per come stanno andando le cose avremo, presto, “una parte del movimento al governo ed un'altra in carcere”.
Ma torniamo al presente e alla candidatura di Vendola e richiediamoci: “che fare”? Questa candidatura, infatti, ripropone con forza l'attraversamento di tutte le contraddizioni del movimento e del suo rapporto con i partiti. Ed è proprio dalle contraddizioni che, forse, vale la pena ripartire.
Se riuscissimo ad andare oltre la rappresentanza di cui Nichi gode, cosa gli diremmo come rete no-cpt nazionale e, quindi, come movimento che, in quanto tale, non diventerà mai partito?
Di partire dalle lotte, potrebbe essere una prima risposta. Di de-istituzionalizzare le istituzioni potrebbe essere una seconda. Le lotte, in Puglia e non solo, per chiedere la chiusura dei centri di permanenza temporanea per migranti sono state fatte, si fanno e si faranno ancora. Dall'esperienza di Bari-Palese e del campeggio no-border, agli innumerevoli presidi passando per le manifestazioni dinanzi al Regina Pacis…in questi anni il movimento è stato vivo e presente sul territorio.
Al movimento non interessa che si possa trovare una modalità “altra” di “gestione” dell'immigrazione e dei suoi apparati custodialistici. Non intendiamo scrivere una nuova legge, né trovare modalità più dolci o “legali” per governare le contraddizioni del nostro presente. Chi governa, però, puo fare qualcosa. Provare a spostare l'ago della bilancia e dire: “Prima il movimento e poi i partiti”. Che vuol dire questo nella pratica? Vuol dire che, così come è stato fatto nei comuni di Mestre e Cosenza, si può anche governare dicendo “No!”. De-istituzionalizzare le istituzioni significherebbe, nel concreto, aprire i saloni della Regione Puglia ai “clandestini” anche se non è una pratica legale per dire “No!” alle espulsioni di massa e per dire, anche, che nessuna persona è illegale…Proprio come si farebbe a Mestre o a Cosenza.
È difficile intervenire in questo periodo sostenendo tutto questo. La prima cosa che ci si sente dire è, “prima di tutto”, occorrerebbe vincere le elezioni. E quindi sarebbe meglio tacere. Ma chi scrive non deve tacere, “soprattutto” adesso perché se è vero che la Puglia sta vivendo una nuova primavera non può e non deve farlo recidendo e stigmatizzando i fiori selvaggi, singolari e spontanei che, in tutti questi anni, hanno cercato di mantenere alta la tensione sui luoghi comuni e sugli stereotipi che sembrano avere inghiottito, da alcuni anni a questa parte, molti esponenti della sinistra europea e non. Insomma: “Prima il movimento e poi i partiti”!