In 10-11 anni di emergenza ambientale in Puglia, nulla purtroppo sembra essere cambiato e vani sono risultati i tentativi del commissario straordinario, il presidente della Regione Fitto, per fronteggiare l’emergenza rifiuti.
La produzione complessiva dei rifiuti nella regione Puglia è in aumento e la produzione pro-capite è ben lontana dagli obiettivi fissati dal V programma comunitario di azione in materia di ambiente (300 kg/ab*anno). In Puglia, nel 2002, ogni cittadino ha prodotto mediamente almeno 450 kg/abitante*anno (13,5 kg in più per abitante rispetto al 2001) e non esiste, ad oggi, una strategia chiara e efficace per contrastare questo fenomeno. Sono ben 3milioni e 938mila le tonnellate di rifiuti speciali complessivi (esclusi quelli provenienti dalle attività di costruzione e demolizione) prodotte nel 2001: davvero preoccupante l’incremento subito rispetto all’anno precedente (anno 2000: 2milioni e 681mila tonnellate).
In aumento non è solo la quantità dei rifiuti ma anche la loro pericolosità.
Significativo, infatti, è anche il dato relativo alla produzione di rifiuti speciali pericolosi: si assiste ad un vero e proprio raddoppio passando dalle 76.436 t del 2000 alle 131.509 t del 2001.
In completo stallo risulta la raccolta differenziata: dal 6,4% del 2002, si è arrivati appena al 8,6% del 2003 e, se nelle altre regioni d’Italia si intravedono gli obiettivi fissati dal decreto Ronchi (15% nel 1999; 25% nel 2001; 35% nel 2003), la Puglia è ancora fanalino di coda in ogni classifica. Il livello di raccolta differenziata risulta nei cinque ambiti provinciali così attestarsi: Bari 10,2%, Lecce 8,4%, Taranto 7,6%, Foggia 7,4%, Brindisi 3,8%.
Drammatico risulta lo stato di attuazione del piano regionale dei rifiuti: soltanto una lunga lista di cose da fare. Chi sa quando! E pronta ad essere modificata a piacimento del commissario delegato.
Nel frattempo gli unici impianti dello stravagante sistema integrato di gestione dei rifiuti pugliese risultano essere le 22 discariche in esaurimento sparse in tutta la regione e per cui sono già pronte le ordinanze di sopraelevazione e di ampliamento. È attualmente in funzione un solo impianto di pretrattamento per la riduzione della pericolosità dei rifiuti da smaltire in discarica, quello presso la discarica del Comune di Giovinazzo (Ba) a servizio dei comuni ricadenti nel Bacino di utenza Bari2 che, tuttavia, soddisfa solo il 20% del fabbisogno di trattamento dei rifiuti prodotti in quel bacino.
Soltanto 4 gli impianti di compostaggio (Molfetta e Modugno in provincia di Bari, Ginosa e Manduria in provincia di Taranto) che funzionano al 50% delle loro potenzialità, trattando appena il 10% dei rifiuti complessivi prodotti nella regione. E tra questi, due - quello di Molfetta e Modugno - sono frequentemente al centro di intricati procedimenti giudiziari che ne interdicono il funzionamento. In particolare, l’impianto di compostaggio del Comune di Molfetta (realizzato con fondi del Ministero dell’Ambiente - 15 miliardi di lire - e attualmente gestito dalla “Ing. Orfeo Mazzitelli SpA” di Dante Mazzitelli), risulta essere sotto sequestro disposto dalla Procura di Trani dall’ottobre 2003.
L’impianto, dimensionato per trattare 80 t/die di rifiuto tal quale, ha operato, sulla base di un’autorizzazione rilasciata - forse incautamente - dalla Provincia di Bari, per il trattamento di ben 270 t/die di rifiuto selezionato. Non si hanno notizie sulla quantità e qualità del compost prodotto né sulla destinazione finale del prodotto, ma pare quanto meno opportuno avanzare perplessità rispetto all’esito dei trattamenti effettuati sia per il sottodimensionamento della struttura (rispetto ai quantitativi che la Provincia avrebbe autorizzato a smaltire), sia per l’elevata quantità di materiale stoccato nel piazzale da cui si originano emissioni odorose nauseabonde, che creano notevoli difficoltà agli operatori agricoli dei terreni adiacenti l’impianto. Risulta, addirittura, che nell’impianto siano state smaltite almeno 20mila tonnellate di rifiuti provenienti dalla Regione Campania senza alcuna autorizzazione e senza i necessari accorgimenti.
È da oltre un anno, ormai, che i comuni dei bacini Ba1 e Ba2 sono costretti a smaltire in discarica la frazione umida intercettata dalla raccolta differenziata avviata, a fatica, in quasi tutti i Comuni. È da oltre un anno che si aspetta la bonifica dell’impianto, necessaria perché i processi di compostaggio riprendano in modo sicuro e regolare
Quanto agli inceneritori, sono due gli impianti attivi nella regione: quello di Taranto e quello di Massafra che, da quanto risulta, brucia Cdr prodotto dalle centrali Enel in Veneto.
La pianificazione in materia di rifiuti nella Regione Puglia
Lo smaltimento dei rifiuti è un problema la cui soluzione presuppone, di necessità, la partecipazione ampia e la condivisione piena delle scelte da parte delle comunità locali.
Occorre, a tale proposito, richiamare l’art. 2 del ‘decreto Ronchi’, che stabilisce che “la gestione dei rifiuti costituisce attività di pubblico interesse disciplinata al fine di assicurare un’elevata protezione dell’ambiente e controlli efficaci”.
È la pianificazione a livello regionale, provinciale e “di ambito” lo strumento deputato – attraverso il confronto e la partecipazione dei cittadini – a regolamentare l’attività di gestione e smaltimento dei rifiuti, individuando strategie di intervento, tipologie e localizzazione degli impianti condivise, al fine di garantire l’interesse pubblico.
In Puglia il primo vero piano regionale per lo smaltimento dei rifiuti urbani risale al 1993 e fu il risultato di un’operazione di rivisitazione di una precedente proposta di piano mai discussa e mai approvata, risalente al 1988. Il Piano del 1993 prevedeva un drastico ridimensionamento del fabbisogno impiantistico previsto nella bozza del 1988 e in particolare stabiliva:
- indici di raccolta differenziata crescenti dal 10 al 29% (media sul ventennio: 19%);
- la realizzazione di: 18 discariche (una per bacino), 16 impianti di trattamento biologico (per il compostaggio e la biostabilizzazione), 5 inceneritori con recupero di energia, 3 impianti per la produzione di Cdr.
Nel corso del 1994 la Regione Puglia fu dichiarata in stato di emergenza ambientale e negli anni che seguirono poco si fece per dare attuazione alla pianificazione allora vigente.
L’attuale pianificazione regionale in materia di rifiuti solidi urbani, risale al marzo 2001 (decreto commissariale n. 41 del 6 marzo 2001), quando il commissario per l’emergenza ambientale in Puglia approvò il “Piano regionale di gestione dei rifiuti e di bonifica delle aree inquinate”, successivamente modificato e integrato nel settembre 2002 con il decreto commissariale 296.
Il piano risultante e attualmente vigente prevede:
- un indice di raccolta differenziata pari al 40,9%;
- 15 bacini di utenza (il precedente piano ne individuava 18);
impianti di biostabilizzazione in testa alle discariche di bacino, in cui la principale novità sta nella scelta di sottoporre a trattamento biologico tutto il rifiuto “tal quale”;
- una drastica riduzione degli impianti di compostaggio;
- la triplicazione degli impianti per la produzione di Cdr.
Va detto che, nel medesimo piano, continua ad essere ignorato, come nel decreto 41, il tema della combustione: infatti, il ciclo di trattamento delle frazioni combustibili termina con la produzione di CDR (combustibile da rifiuti) che, stando a quanto previsto, dovrebbe poi essere conferito ad impianti privati di produzione di energia o, in assenza di questi, ad ‘impianti dedicati’, realizzati da Comuni associati in autorità di gestione. Il Piano, tuttavia, non individua né i primi né i secondi.
Corre l’obbligo, infine, segnalare la non trascurabile istituzione, per ciascun bacino di utenza, delle Autorità per la gestione dei rifiuti urbani prodotti nel bacino medesimo. Ad essa il compito di disciplinare le fasi di gestione dei rifiuti urbani, giungendo alla definizione di una tariffa unica.
Prospettive future: i nuovi impianti voluti dal presidente Fitto.
Il 31 dicembre 2003, Fitto, in veste di commissario per l’emergenza rifiuti, ha bandito dieci gare per la progettazione, la realizzazione e la gestione pluriennale di 33 impianti per il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Alcuni di questi impianti – 6 per la precisione – sono impianti per la produzione di CDR e/o termovalorizzatori. Risultano doverose alcune considerazioni in ordine al contenuto di tali decreti:
- con essi, il commissario introduce di fatto una variante al Piano regionale, inserendovi esplicitamente alcuni termovalorizzatori;
- la scelta sulla tipologia impiantistica da realizzare (in parte con fondi pubblici) è di fatto demandata ai proponenti e al commissario: saranno solo loro a decidere se realizzare un impianto per la produzione di CDR oppure un termovalorizzatore e con quale tecnologia;
- nonostante il Piano regionale stabilisca - talvolta molto precisamente - la localizzazione degli impianti, con i decreti tutto torna in discussione: sarà il commissario ad effettuare la scelta, sulla scorta delle proposte dei vari concorrenti, ai quali è posto unicamente il vincolo di ottenere l’assenso preventivo del Comune prescelto per l’insediamento; i cittadini e le associazioni, i Comuni vicini, le autorità di gestione, non sono direttamente chiamate ad esprimersi;
- le procedure di VIA sono relegate a una fase successiva a quella di gara: questo comporta un ridimensionamento consistente dell’intera procedura, da cui potranno emergere esclusivamente soluzioni di mitigazione degli impatti; non potranno essere valutate le alternative (tecnologiche e localizzative) né tanto meno l’ ‘alternativa zero’.
Non esistono garanzie rispetto alla proprietà dell’impianto al termine del periodo di gestione affidato all’azienda vincitrice della gara: il bando specifica, infatti, che al termine del periodo di gestione della azienda aggiudicataria subentri la stazione appaltante, i.e. il Commissario delegato. Ma tra 15 anni, quando cesserà il periodo di gestione e il commissariamento sarà stato sicuramente revocato, la proprietà del sito – che allora dovrà essere sottoposto ad interventi di bonifica – a chi sarà riconosciuta ?
I criteri per il dimensionamento non sono specificati e nell’assegnazione dei punteggi di gara il “peso” maggiore è assegnato alla tariffa proposta, seguita dal valore tecnico, dagli aspetti temporali e da “aspetti innovativi del servizio di gestione”.
Se queste sono le responsabilità del commissario, non si possono sottacere quelle delle Autorità di gestione dei bacini. Ad esempio, quella del BA1, non ha ritenuto opportuno svolgere alcun ruolo attivo nelle procedure di gara, nemmeno quello di armonizzazione le proprie necessità con le proposte del bando. Con ciò si è di fatto demandato interamente ai concorrenti proponenti e all’autorità monocratica del commissario la scelta della tipologia impiantistica e della localizzazione.
Il risultato? Nonostante i ricorsi e le contestazioni popolari, Fitto sceglie di realizzare due inceneritori molto vicini tra loro: uno a Trani e l’altro a Bari e, mentre per il bacino Ba1 il numero dei progetti in gara (quello per l’impianto per la produzione di Cdr a Molfetta e quello per la realizzazione dell’inceneritore a Trani) consentiva una scelta, per il bacino Ba2 la gara è stata vinta dall’unico concorrente rimasto in gioco, quello che proponeva l’inceneritore a Bari. Si, perché gli altri due, che proponevano la realizzazione di un impianto per la produzione di Cdr a Giovinazzo, sono stati esclusi per mancanza di conformità alle prescrizioni del bando della documentazione richiesta.
È solo per questo motivo e non per particolari pregi progettuali, garanzie di affidabilità, o strategie territoriali di area vasta, che Fitto ha deliberato la realizzazione dell’inceneritore a Bari, confermando tutti i limiti delle procedure di gara.
Come era già palesemente evidente, la scelta, che sarebbe dovuta essere una prerogativa dell’amministrazione pubblica (una scelta tutta politica) è stata brutalmente privatizzata, scippata alla popolazione, agli organi democratici deputati a scegliere e decidere. Adesso tutti gli attori che avrebbero dovuto rivendicare allora la loro autonomia, la loro sovranità, la loro capacità e diritto alla scelta propongono ricorsi, “delegando” ancora. I giudici questa volta, a cui spetterà l’ultima parola.
Una nuova Campania?
Le premesse ci sono tutte: le discariche, oggi unica tecnologia di smaltimento esistente in Puglia, sono in esaurimento. Le procedure di gara per la realizzazione di nuovi impianti sono state espletate, ma il loro esito dovrà passare al vaglio della giustizia amministrativa e i tempi sembrano essere ancora molto lunghi. In ogni caso gli impianti messi a gara nel dicembre 2003 saranno realizzati non prima del 2008 (stima ottimistica) e fino ad allora non sono state elaborate strategie per governare la fase transitoria che, stando al cronoprogramma di attuazione della pianificazione regionale in materia di rifiuti, dovrebbe essere ormai cessata. Sembra che non sia stata adeguatamente considerata l’alta tensione sociale che si sta generando tra le comunità locali che dovranno ospitare gli impianti, né sono stati promossi momenti di vero confronto e di concertazione.
Insomma, nel suo undicesimo anno, si sta assistendo alla proclamazione definitiva, a dir vero già più volte annunciata, del fallimento del commissariamento per l’emergenza rifiuti.
Una procedura straordinaria nata per garantire scorciatoie per la ricerca snella della soluzione al problema e che invece si è dimostrata totalmente fallimentare così come in Calabria, Campania e Sicilia (a cui si è aggiunto nel 2001 anche il Lazio), commissariate per l’emergenza rifiuti per gli stessi motivi della Puglia.
Una procedura che ha “deresponsabilizzato” le amministrazioni locali sempre in attesa delle decisioni prese dall’alto dal commissario, che a sua volta si è disinteressato della scelta della localizzazione trasparente e partecipata degli impianti, lasciandone l’onere a chi deve costruirli.
Ma, allora, qual è la soluzione? Innanzitutto bisogna porre fine al commissariamento senza indugi e senza sotterfugi.
Prima dell’avvio della campagna elettorale Fitto si è dichiarato “soddisfatto” del lavoro svolto nel settore rifiuti e degli obiettivi raggiunti dicendosi pronto a non richiedere al governo il rinnovo dei poteri commissariali. Dichiarava di auspicare, al più, una gestione commissariale stralcio per completare la realizzazione degli impianti che aveva messo a gara nel dicembre 2003. Il governo sembrava disponibile ad assecondare le richieste del governatore, tanto che a dicembre la Puglia non compariva nell’elenco delle Regioni in emergenza ambientale per il 2005. Ma, quasi inaspettatamente, il bluff è cessato e rinnovo c’è stato anche per la Puglia circa un mese più tardi. Con una novità. Da quest’anno, infatti, anche la gestione dei rifiuti speciali sarà stralciata dalle competenze ordinarie delle province e trasferita in capo al commissario delegato.
E questo potrebbe significare, per esempio, la vanificazione degli sforzi con cui alcune province (tra tutte quella di Taranto) stanno cercando di contrastare l’ampliamento ingiustificato e smisurato di numerose discariche pronte ad accogliere rifiuti speciali provenienti da tutta l’Italia.
È necessario ritornare alle procedure ordinarie previste dalla legge e prevedere momenti significativi di confronto e concertazione con la popolazione per sviluppare un ciclo di smaltimento condiviso dalla popolazione e tecnologicamente integrato, che preveda innanzi tutto la riduzione della quantità dei rifiuti, la riduzione della loro pericolosità, il recupero di materia con una efficace raccolta differenziata e con impianti adeguati.
Soltanto a questo punto sarà opportuno prevedere le modalità per la chiusura del ciclo della frazione secca combustibile attraverso il recupero energetico. Ci si accorgerà, probabilmente, che la frazione da bruciare sarà assai limitata. Che potrà essere conveniente la sua trasformazione in combustibile (Cdr) da utilizzare in impianti già esistenti (cementifici, fonderie, ecc.); che, se proprio necessari, gli inceneritori dovranno essere in numero limitato e avere taglia medio piccola, condizione, questa, fondamentale per non decretare la morte della raccolta differenziata che nel frattempo sarà a regime.
La localizzazione degli impianti dovrà essere prevista preferibilmente in aree industriali e quanto più vicino possibile alle zone di maggiore produzione di rifiuti.
La loro gestione, inoltre, dovrà essere affidata a soggetti privati in grado di offrire adeguate garanzie e trasparenza sulla gestione, o, meglio, a soggetti pubblici competenti.
In questo scenario virtuoso, che parte da una raccolta differenziata del 40-50% a livello regionale e destina una piccola frazione residuale alle operazioni di combustione e si smaltimento in discarica, la Legambiente sarebbe assai motivata a fornire contributi utili all’implementazione del sistema.
Se invece la produzione del Cdr dovesse essere utilizzata strumentalmente per legittimare la realizzazione di impianti dedicati al recupero energetico da realizzare con il pericoloso strumento delle procedure semplificate in deroga alla pianificazione regionale, o se si dovesse puntare solo alla costruzione dei forni per bruciare la maggior parte dei rifiuti perché più conveniente (grazie esclusivamente agli incentivi statali non previsti per il riciclaggio), inficiando di fatto le raccolte differenziate e la speranza di poter contenere, se non addirittura ridurre, il quantitativo di rifiuti prodotti, allora sarà tutt’altra storia.