Alla vigilia di elezioni regionali che peseranno non poco sull’immediato futuro della Puglia, è utile una riflessione, con qualche elemento di bilancio, riguardo a quella che è stata definita, di volta in volta secondo l’ampiezza del punto di vista, “primavera barese” o “primavera pugliese”. L’uso abbastanza intercambiabile delle due definizioni, nell’accezione giornalistica e nel dibattito politico, sembra rispondere alla percezione che la ‘rivoluzione elettorale’ avvenuta in Puglia nel 2004 ha conosciuto il suo momento trainante nella vicenda della città capoluogo di regione.
Quali sono le ragioni della schiacciante vittoria della coalizione di centrosinistra guidata da Michele Emiliano, in una città come Bari, reputata fino a quel momento irrimediabilmente ‘di destra’? Emiliano ha vinto ‘a sinistra’ o ‘al centro’? Ha conquistato il Comune grazie alla sua personale capacità di porsi come garante di interessi diversi e molteplici oppure perché lo ha sospinto un movimento d’opinione fortemente orientato sul piano programmatico? Si capisce bene come non sia irrilevante la risposta a queste domande; e tuttavia manca finora una discussione approfondita nella sinistra barese.
D’altra parte, la questione è decisamente complessa e non si può dare una riposta univoca. Fino al momento del voto dello scorso giugno, nel centrosinistra barese prevaleva – al di là dell’ottimismo entusiastico di tanti sostenitori (poi rivelatosi profetico) – l’auspicio di arrivare al ballottaggio e di giocarsi lì la partita finale. Lo stesso staff di Emiliano riteneva che la situazione fosse di sostanziale parità, e che tutto sarebbe dipeso da un paio di migliaia di voti ancora incerti. Invece dalle urne è scaturita la vittoria al primo turno con uno scarto di oltre venticinquemila voti. Il risultato è dunque stato per molti sorprendente. Per spiegarlo, proviamo a descrivere una serie di fattori concomitanti.
Il primo fattore è un contesto generale che si è mostrato nettamente favorevole al centrosinistra, a partire da una dinamica di dimensioni nazionali. La crisi di consenso del blocco berlusconiano è apparsa evidente. Questo contesto si è riprodotto su scala regionale: la vittoria in tutte le Province e nei Comuni di Bari e Foggia costituisce un risultato clamoroso, che non può essere interpretato come una sommatoria di singole motivazioni locali. Si è trattato di una sonora bocciatura del governo delle destre nel territorio pugliese, le quali avevano a lungo dominato, mentre il centrosinistra è stato riconfermato alla guida delle Province di Bari (nonostante la travagliata amministrazione Vernola) e di Foggia (in quest’ultimo caso, nel 2003). Del tutto spiegabile e perfino onesta, per converso, è apparsa la sconfitta del centrosinistra nel Comune di Brindisi, dopo il crollo ignominioso dell’amministrazione Antonino; ma tanto più significativa è la contestuale vittoria alla Provincia di Brindisi, strappata a quella stessa destra che contemporaneamente si riprendeva la città. Non va trascurato poi il dato del Comune di Foggia, dove il centrosinistra si è presentato diviso e litigioso, ma è riuscito ugualmente a cacciare all’opposizione una destra a prima vista inamovibile. Insomma, l’elettorato premiava dappertutto il centrosinistra, tranne là dove (Brindisi città) questo si era suicidato malamente. Dunque il successo di Bari non è arrivato come un episodio isolato, ma come parte di una significativa tendenza regionale oltre che nazionale. D’altronde, non si può escludere una valutazione per così dire inversa: il caso Bari non è stato soltanto l’esito di una propensione preesistente in tutto il territorio pugliese, ma ha contribuito più di ogni altra esperienza locale a determinare quell’esito. In altri termini, l’importante e combattuta vicenda della designazione di Emiliano come candidato sindaco, che aveva suscitato interesse e partecipazione in tutta la regione, ben al di là dei confini del solo capoluogo, ha avuto la capacità di diffondere come un’idea forza la convinzione che un metodo nuovo poteva imporsi, e che, se finalmente la partita si giocava alla grande a Bari, ce la si poteva fare dappertutto. Un effetto trainante, per l’appunto.
Il secondo fattore da prendere in considerazione è il deficit di consenso con cui la destra si è presentata alle elezioni, dopo nove anni di governo a Bari. Il disfacimento si è svelato con chiarezza negli ultimi anni dell’amministrazione Di Cagno Abbrescia, contrassegnati da conflitti interni dirompenti fra i partiti della coalizione. E tuttavia ciò non sembrava sufficiente a pronosticare una sicura sconfitta del centrodestra, vista la sua forza radicata e, di contro, la storica debolezza della sinistra. Ma la delusione per i nodi lasciati irrisolti nei lunghi anni di governo di destra era cresciuta in profondità. Non è bastata la politica di immagine del sindaco Di Cagno, l’apertura delle spiagge e l’abbellimento delle piazze di Bari Vecchia, accompagnati da un clientelismo spicciolo e fortemente selettivo. In ultima analisi hanno pesato i quartieri periferici abbandonati, l’atteggiamento ambiguo e dilatorio sulle grandi questioni di Punta Perotti e della Fibronit, la sordità rispetto al tema della legalità a tutti i livelli (la colpevole sottovalutazione della lotta alle organizzazioni criminali, l’indifferenza al tema della trasparenza amministrativa e del voto di scambio, il vistoso conflitto di interesse). A ciò si è aggiunta l’assenza di un modello di sviluppo e di un progetto credibile per l’insieme dell’economia barese, capace di dare garanzie e prospettive alle imprese, al di là di un mero rapporto immediato di scambio politico e clientelare che ha avvantaggiato i pochi affiliati in un giro ristretto. Lo sgretolamento del sistema di alleanze sociali è stato inevitabile e corposo. Ma tutto ciò non sarebbe bastato a dare concretezza all’alternativa, cioè a staccare materialmente il voto dal centrodestra o dall’astensione e a indirizzarlo verso l’altro schieramento, se non si fosse innestato come elemento di novità prorompente il fattore soggettivo: la credibilità dell’alternativa stessa, e quindi della proposta del centrosinistra.
A questo terzo fattore dobbiamo ora dedicare qualche spunto di analisi. Due sono state le novità che hanno sbloccato la lunga condizione di minorità del centrosinistra: le caratteristiche personali del candidato sindaco e la forza del percorso partecipato che ha condotto alla sua designazione. Fra i due elementi si è creata una eccezionale sintonia e interazione. Ma all’origine vi è la maturazione, nell’ultimo decennio, di un movimento di cittadinanza attiva sostanzialmente inedito a Bari, senza del quale non sarebbe stata neppure pensabile l’alternativa. Per la prima volta temi come la tutela dell’ambiente e della salute, la programmazione urbanistica, la qualità del vivere urbano, la cura della bellezza della città, il bisogno di legalità, la ripulsa delle pratiche mafiose, la riappropriazione dei beni pubblici, il dialogo interculturale sono diventati patrimonio (in simbiosi con i movimenti più generali per la pace, per i diritti dei lavoratori, per la scuola pubblica, per i diritti civili: si pensi all’evento del Gay Pride) non di esigue élites politiche o intellettuali, ma di ampi settori della società cittadina. Questo movimento è penetrato a fondo nel corpo degli stessi partiti del centrosinistra, fra gli iscritti e in una parte dei gruppi dirigenti diffusi, svecchiandone le impostazioni e stimolando una riflessione critica sugli errori del passato. Non dobbiamo dimenticare le modalità con le quali si è affermata la candidatura di Emiliano: osteggiata a lungo dalla maggioranza dei partiti politici, preoccupati dall’emergere di una figura di outsider, e imposta infine da una parallela consultazione informale che ha coinvolto in crescendo la città e che ha visto come protagoniste le associazioni. Questa candidatura ha dato voce a una profonda istanza di cambiamento e di radicalità: perché a Bari affermare il primato dell’interesse pubblico, il rispetto delle leggi, il diritto a una città equilibrata socialmente e nello sviluppo dei suoi territori, è apparsa una sfida radicale, il sogno di un’altra Bari, del tutto diversa da quella raccontata da Di Cagno Abbrescia.
La candidatura di Emiliano, insomma, è stata accolta e caldeggiata dai soggetti della cittadinanza attiva in quanto era la negazione vivente dello schema centrista-moderato troppe volte riproposto e dimostratosi fallimentare: le ipotesi di candidature alternative che venivano contrapposte al magistrato facevano riferimento a figure di politici centristi e di imprenditori della baresità ‘classica’, e si spingevano perfino a chiamare in ballo l’ex presidente della Provincia, Vernola, il quale di lì a poco sarebbe passato armi e bagagli a Forza Italia. Emiliano era la candidatura più ‘di sinistra’, quella che, a detta di molti esponenti politici, avrebbe spaventato la Bari moderata. Non è stato così. Vero è che il candidato sindaco ha assunto, a sua volta e per tempo, la veste del moderatismo, intessendo fitte relazioni con il mondo imprenditoriale e professionale e con gli ambienti cattolici conservatori; i quali hanno visto in lui la persona che avrebbe potuto traghettarli dentro una nuova vicenda della vita amministrativa barese, nella quale ci sarebbe stato spazio anche per loro e per le loro richieste. Ha aiutato, in questo senso, l’affiancamento, come candidato alla Presidenza della Provincia, del moderato Vincenzo Divella, il quale però, da parte sua, nella campagna elettorale ha fatto proprie tematiche inusuali per i moderati, come la critica alle privatizzazioni selvagge e alla flessibilità del lavoro, la difesa della pace e la riprovazione dell’intervento militare in Iraq. È vero, dunque, che il consenso intorno al magistrato barese è penetrato in quegli ambienti moderati e conservatori, indubbiamente forti a Bari, i quali, pur avendo meditato una motivata sfiducia nel centrodestra, esitavano o erano riluttanti a fare il salto dall’altra parte. Ma questa penetrazione è stata possibile perché la massa critica della forza politica e elettorale di Emiliano si era già costituita, e rendeva concreto lo scenario dell’alternativa. Emiliano era stato capace di compattare e motivare il suo elettorato di partenza, il popolo del centrosinistra: quello che si era determinato a volere a tutti i costi, finalmente, una svolta per Bari; quello che si era convinto che l’avverarsi del sogno era, stavolta, a portata di mano. È qui, in questa determinazione e passione, l’origine della vittoria del centrosinistra e di Emiliano: gli ambienti moderati e conservatori, da parte loro, sono saltati in tempo utile sul cavallo vincente, contribuendo a ridisegnarne l’immagine politica e programmatica, ottenendo dichiarazioni impegnative del futuro sindaco (per esempio a favore dello sviluppo economico e edilizio), ma senza annacquare la carica radicalmente innovativa della sua campagna elettorale.
Da questa sommaria analisi discendono due valutazioni per l’oggi.
La prima riguarda il presente e il futuro dell’amministrazione Emiliano. L’intensità delle attese riposte nel nuovo corso giustifica l’impazienza con cui si invocano risultati concreti, e qualche delusione per la lentezza e le contraddizioni che hanno segnato i primi mesi di amministrazione. Anche se, occorre puntualizzare, atti concreti e significativi sono stati compiuti. Basterebbe dire delle somme consistenti assegnate alla solidarietà sociale e alla pubblica istruzione in assestamento del bilancio 2004; o dei sessanta milioni di euro impegnati in lavori pubblici in sei mesi di amministrazione, a fronte di soli 4 milioni impegnati nei primi sei mesi dell’anno dalla giunta di centrodestra. E si potrebbero citare i primi passi, forse timidi ma irreversibili, verso l’abbattimento dell’ecomostro di Punta Perotti e verso la messa in sicurezza della Fibronit; lo sforzo di investimento sui quartieri periferici, la rimessa in discussione del Nodo Ferroviario, la delibera contro il CPT, l’apertura di un percorso di inclusione degli immigrati. D’altra parte non v’è dubbio che siano emerse le difficoltà – discendenti in primo luogo dalla complicata fase di rodaggio di una amministrazione neonata, che fa fronte a una pesantissima eredità di metodi e scelte sbagliate – e anche le diversità di impostazioni politiche e culturali.
La realtà è che questa maggioranza di centrosinistra ha assunto il governo della città, ma non ha preso il potere nella città (potere che resta distribuito fra gruppi i quali verso l’amministrazione hanno un atteggiamento rivendicativo, di condizionamento, di interlocuzione non certo disinteressata). La nuova maggioranza risponde a un elettorato composito, nel quale sono presenti sensibilità distanti e interessi potenzialmente divergenti: per esempio, da un lato la coscienza ambientalista, la volontà di nuove regole urbanistiche, la preoccupazione che la città non venga ulteriormente squilibrata da colate di cemento, dall’altro lo stimolo a rilanciare in grande stile l’attività edilizia, ritenuta una priorità assoluta per lo sviluppo produttivo e per l’occupazione.
La sfida sarà trovare un compromesso fra i diversi interessi che non sia una mediazione al ribasso, o una giustapposizione di iniziative a compartimenti stagni per accontentare di volta in volta le identità disaggregate di un contenitore senz’anima (pena l’esplosione sempre più ingestibile delle contraddizioni, ogni volta che i nodi fondamentali verranno inevitabilmente al pettine), ma un compromesso dinamico, capace di indirizzare lucidamente il cambiamento della città. Questa sfida richiede una qualità di direzione politica, che non può ricadere sulle spalle sia pure robuste di un individuo, ma che impone l’assunzione di responsabilità da parte di un nuovo gruppo dirigente complessivo (politico, intellettuale, tecnico), tutto da costruire nello svolgimento concreto dell’azione di governo. Un vero gruppo dirigente della primavera barese, che tenga fede all’ispirazione originaria del movimento, sapendo distinguere gli interessi fondamentali che hanno gettato le solide basi della vittoria (la massa critica) dalle alleanze aggiuntive – e reversibili – che l’hanno ampliata.
Ma la primavera barese ha bisogno di crescere consolidando la sua dimensione regionale. Ed è proprio questa la seconda valutazione che discende dal ragionamento fin qui svolto. Ci rendiamo ben conto che la lista “Primavera pugliese”, parte della coalizione che candida Nichi Vendola alla guida della Regione, è solo indirettamente figlia del movimento. Essa prende a prestito un nome per dialogare con elettori moderati cui fanno in qualche modo da garanti i sindaci e i presidenti del centrosinistra. È un appello a farsi coinvolgere in prima persona da un disgelo.
Ma la “primavera” del movimento ha continuato a produrre senza sosta i suoi effetti diretti. Da un lato la difficoltà elettorale del centrodestra non è stata arginata: ne fanno fede i risultati delle suppletive di Gallipoli e di Bari-Bitonto (particolarmente significativa la seconda, che metteva in palio un feudo della destra, dove il candidato del Polo era il figlio del senatore defunto). Dall’altro la spinta alla partecipazione popolare si è rafforzata grazie all’evento straordinario delle primarie, in cui hanno votato ottantamila pugliesi. Ed è significativo non soltanto il successo di Vendola, che in base a uno schema meramente partitico era inimmaginabile, ma anche il fatto che pure la candidatura in competizione, quella di Francesco Boccia, sarebbe stata impensabile senza la primavera barese, di cui all’inizio – prima di venire ridisegnata e depotenziata come proposta di ripiego dei partiti ulivisti – era stata espressione indiretta, su iniziativa di Emiliano.
Non c’è dubbio, tuttavia, che è Vendola la figura attorno alla quale la primavera di Bari e di Puglia si è riscoperta viva e dinamica, come si vede dall’entusiasmo suscitato in tutto il territorio pugliese e dall’adesione attiva alla sua campagna elettorale.
La continuità fra l’Emiliano del giugno 2004 e il Vendola dell’aprile 2005 è stata percepita a livello di massa, nonostante la diversa posizione assunta dal sindaco di Bari durante il percorso regionale. Ciò si deve non soltanto agli indiscutibili meriti personali di Vendola, ma anche al fatto che egli e il suo partito sono stati fra i primissimi a intuire e a favorire la nascita della “primavera”. Inoltre le analogie sono evidenti. All’inizio sia Emiliano sia Vendola erano giudicati troppo ‘di sinistra’; entrambi sono stati designati grazie a percorsi innovativi e partecipati, dei quali il secondo (le primarie) è stato lo sviluppo qualitativo del primo (la convenzione cittadina); entrambi hanno raggiunto la “massa critica” (la compattezza e la mobilitazione del popolo di centrosinistra) per poter tentare l’assalto al cielo.
E oggi la voglia di massa di conquistare anche la Regione nasce dal sentimento che l’indispensabile completamento di un ciclo è possibile, ma anche – specialmente a Bari – dalla convinzione che la vittoria di Vendola alla Regione costituirà la lettura veritiera, in qualche modo l’interpretazione autentica dell’intero processo, e aiuterà a superare le difficoltà della stessa amministrazione Emiliano.