Chi non
ricorda il celebre tormentone di Natale in casa Cupiello di Eduardo
De Filippo, tante volte trasmesso in televisione quando il teatro ancora
aveva spazio nei canali (pochi) televisivi? In unItalia in bianco
e nero era facile identificarsi nelle parole pronunciate dal grande
Eduardo che raccontava con tono dimesso e familiare il rito dellallestimento
del presepe. Io faccio il presepio, perché quando avevo
i figli piccoli lo facevo
Sapete, era unallegrezza
E anche adesso che sono grandi, io ogni anno debbo farlo
Mi sembra
di avere sempre i figli piccoli
sapete anche per religione.
E bello fare il presepio. Tutta la famiglia è riunita
intorno alle scatole dove ogni anno, finite le feste, vengono riposte
le statuine. I piccoli involti dal contenuto fragile e prezioso passano
di mano in mano e delicatamente vengono svolti. Immancabilmente ci si
accorge che i delicati oggetti non sempre sono in buono stato, ad una
statuina manca una gamba, un pastore è monco, un classico poi
la pecora a tre zampe, ma non cè da preoccuparsi, questi
personaggi possono ancora godere di una lunga vita, in unItalia
pre-consumistica non si butta via nulla ed è sufficiente poggiarli
strategicamente nei pressi di un cespuglio o di uno sperone di roccia
per nascondere le menomazioni. Mi sa tanto che anche in questItalia
post-consumistica dei disoccupati, degli atipici, dei flessibili, dei
co.co.co. e di tutti quelli che ricchi non siamo e che quindi non beneficeremo
dei tagli alle tasse, dovremmo ricorrere agli stessi stratagemmi
.Sistemati
i personaggi, le abitazioni e le botteghe, si passa agli altri dettagli,
il muschio, i cespugli, gli alberi, lo specchio che funge da laghetto
attenti a non romperlo, sette anni di disgrazia! La farina (o il polistirolo
o la neve spray?), la carta lucida del cielo stellato, in un angolo
più lontano i re Magi che solo allEpifania finalmente conquisteranno
una posizione centrale davanti alla grotta, la stella cometa appesa
col fil di ferro ben nascosto sopra la Natività e finalmente
la sistemazione della luci per illuminare questa scena suggestiva, sempre
la stessa ogni anno, eppure sempre diversa.
Come sottrarsi, in questi giorni, a questo rito ritornato in auge dopo
qualche decennio di appannamento? Come sottrarsi alla classica passeggiata
a Napoli tra le bancarelle e le botteghe artigiane che espongono oggetti
di unantica tradizione riveduta e corretta non senza una contaminazione
qua e là made in Cina?
Sono alle prese con la figlia che si ostina a volere allestire un presepe,
non confinato nella sua camera, con i personaggi di una nota marca di
ovetti di cioccolata. Difficile convincerla che non può accostare
la sua paccottiglia di plastica, neanche nobilitata dal fatto di essere
un po retrò, accanto alla mia Natività in terracotta,
opera di un abile quanto autodidatta artigiano molfettese.
Il presepe ha una storia molto antica che si fa comunemente risalire
a San Francesco e precisamente alla notte di Natale del 1223 a Greccio,
quando il santo fece rivivere con personaggi reali, pastori, contadini,
nobili e gli stessi frati, in uno scenario naturale, la nascita di Betlemme,
episodio poi descritto da Giotto negli affreschi della Basilica Superiore
ad Assisi. Il termine presepe deriva dal latino praesaepe-is o praesaepium-ii
recinto chiuso, mangiatoia in origine usato per definire solo la grotta
con la Natività e poi col tempo ampliatosi fino a definire uninsieme
articolato e complesso avente come centro tematico la Natività.
Oggi è comunemente chiamato presepe linsieme di scenografie
con figure mobili, non in senso meccanico, ma sistemabili in altre scene,
che ha la sua apoteosi nel presepe napoletano. A sua volta il presepe
affonda le sue radici nelle scene dipinte sin dai primi secoli di diffusione
del Cristianesimo. Nel III secolo nel cimitero di Santa Agnese e nelle
catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla a Roma ignoti artisti
interpretavano le narrazioni dei vangeli di Luca e di Matteo che raccontavano
la nascita di Gesù nella mangiatoia, lannuncio ai pastori,
i Magi venuti da Oriente. Liconografia originale si arricchisce
di nuovi elementi simbolici: il bue e lasino diventano simboli
del popolo ebreo e dei pagani; i Magi, fissati da S. Leone Magno in
numero di tre si prestano ad una duplice interpretazione, le tre età
delluomo e le tre razze in cui si divide lumanità
(semitica, giapetica e camita); gli angeli sono esempio di creature
superiori, i pastori simbolo dellumanità da redimere. Dal
IV secolo la Natività diventa uno dei temi dominanti dellarte
religiosa e di grande diffusione come dimostrano unopera divisa
in cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo conservata
nel duomo di Milano, i mosaici della Cappella Palatina di Palermo, i
mosaici del Battistero di Santa Maria a Venezia e quelli di Santa Maria
Maggiore e Santa Maria in Trastevere a Roma. Dal XIV secolo gli artisti
più famosi sono chiamati ad affrontare questo tema in dipinti,
affreschi, vetrate, sculture, ceramiche, argenti ed avori che impreziosiscono
le chiese e le dimore di nobili o facoltosi committenti borghesi dellintera
Europa.
Risale
al 1280 (o 1289 secondo altre fonti) il primo esempio di presepe giunto
fino a noi ed è quello scolpito da Arnolfo di Cambio le cui statue
superstiti sono conservate nella cripta della Cappella Sistina di Santa
Maria Maggiore a Roma. Da allora spesso nelle chiese, durante il periodo
natalizio, vengono sistemate delle statue di terracotta davanti a fondali
dipinti che riproducono un paesaggio che fa da sfondo alla Natività.
Questa consuetudine era diffusa soprattutto in Toscana, ma si diffuse
ben presto anche in altri regni della penisola. Successivamente il presepe
fu allestito non solo nelle chiese e nei monasteri, ma anche nelle case
dei nobili e di ricchi borghesi, non solo in occasione delle feste natalizie,
ma divenne un prezioso oggetto darredamento. Si diffusero, così,
un po ovunque delle botteghe artigiane che inaugurarono una produzione,
in molti casi di altissimo livello, che a partire dal XVI, XVII e XVIII
secolo ebbe i suoi centri maggiori a Roma, Genova, in Puglia, in Sicilia
e soprattutto a Napoli dove ancora oggi è vivissima questa tradizione.
Accanto agli allestimenti più ricchi e pregiati si diffusero
presepi popolari, in materiali poveri come largilla, la cartapesta,
il legno, la cera, ma pur sempre suggestivi e segno di una religiosità
e una devozione umile, ma molto forte.
A Roma
la prima testimonianza è quella, già menzionata, di Arnolfo
di Cambio, successivamente si era diffusa lusanza di allestire
presepi in chiese e monasteri. Un culto ed una venerazione particolare
erano tributati alla statua del Bambinello esposta nella chiesa dellAracoeli
che si diceva fosse stata intagliata da un frate francescano in un tronco
di ulivo proveniente dal Getsemani. Nel corso del 600 la nobiltà
romana cominciò ad esporre nei propri palazzi presepi sontuosi
in linea con limperante stile barocco, commissionati ad artisti
famosi, come quello realizzato da Bernini per il principe Barberini.
La consuetudine si mantenne per tutto il 700 e vide protagonisti
non solo i nobili e gli alti prelati , ma anche le chiese e i monasteri
come è testimoniato dalle natività di San Lorenzo, Santa
Maria in Trastevere e Santa Cecilia. Nell 800 la realizzazione
di presepi si diffonde anche a livello popolare grazie ad una produzione
artigianale di basso costo di statuine in terracotta realizzate con
stampini in gesso, tuttavia sono sempre le famiglie più facoltose
quelle che possono permettersi i presepi più imponenti che hanno
come scenari scorci della campagna romana, caratterizzata dalla presenza
di pini ed ulivi e resti di monumenti dellantichità. Questi
allestimenti erano motivo di vanto ed orgoglio ed erano mostrati non
solo a parenti ed amici, ma anche a cittadini, pellegrini e viaggiatori
stranieri, che erano sempre numerosi a Roma, che erano richiamati da
rami appesi ai portoni dei palazzi che fungevano da insegne. Qualcuno
esibiva anche presepi parzialmente meccanici, vero miracolo tecnologico.
Il tipico presepe romano prevedeva un paesaggio agreste, una grotta
in sughero sovrastata da un volo di angeli disposti su nove cerchi concentrici,
attorno alla Natività pastori con le greggi, case modeste e locande
di campagna, resti di archi e acquedotti.
In Sicilia
larte presepiale si esprime con grande ricchezza e varietà
per stili e materiali impiegati. Un gruppo marmoreo del 1494 conservato
nella chiesa dellAnnunziata di Termini Imerese è comunemente
considerato il primo presepe dellisola. Nella chiesa di San Bartolomeo
a Scicli si conserva un presepe ligneo di fattura napoletana del 1576,
molto rimaneggiato in epoche successive, che segna il passaggio dalle
figure in pietra a quelle in legno a tutto tondo, caratterizzate dalla
teatralità e dalla chiara impronta naturalistica. Nella prima
metà del 600 si diffonde luso di statue di legno
di piccole o grandi dimensioni montate allinterno di presepi allestiti
nelle cappelle private dei nobili. Successivamente i presepi vengono
allestiti nei palazzi e nelle ville delle famiglie aristocratiche, le
statuine crescono di numero ed aumentano gli elementi decorativi che
fanno di questi presepi delle vere e proprie opere darte da esibire
ed ammirare. Non fu più usato solo il legno, ma vennero impiegati
materiali preziosi: loro, largento, la madreperla, lavorio,
il corallo. Queste preziose natività erano collocate allinterno
di teche di vetro, su antiche casse davanti a sontuose specchiere che
mostravano anche il lato posteriore e moltiplicavano gli effetti. La
ricchezza e la ricercatezza nel gusto e nello stile erano affidati non
solo alla preziosità dei materiali, ma anche alla raffinatezza
della lavorazione a bulino delle pietre pregiate. Questo tipo di lavorazione
era diffuso soprattutto nel territorio di Trapani e molti di questi
rari e raffinati oggetti sono conservati nel museo Pepoli di Trapani.
Unaltra zona rinomata per i presepi è quella di Palermo
dove si diffonde una particolare tecnica favorita da una fiorente apicoltura,
la ceroplastica. Questa tecnica era ben nota e praticata nei monasteri
sin dal medioevo, ma è a partire dal 500 che si producono
statuine destinate alla nobiltà locale. La ceroplastica uscì
dai monasteri e si diffusero botteghe di cirari che si specializzarono
nella produzione di Natività. Questi presepi si fecero sempre
più ricchi negli addobbi e negli allestimenti, alcuni dei quali,
di particolare pregio sono oggi conservati al Victoria and Albert Museum
di Londra. In seguito al presepe si andò sostituendo il solo
Bambin Gesù adagiato o seduto fra decorazioni varie di pizzi,
fiori di carta o di stoffa, fichi dIndia e spighe. Nacquero, così,
i Bbammiddari, artigiani specializzati nellesecuzione
di Bambinelli, che insediarono le loro botteghe tutti in una strada
che ancora oggi ne reca il ricordo nel nome. Questarte purtroppo
è caduta in oblio ed è scarsamente conosciuta, tanto che
unamica ha potuto comprare da un rigattiere per pochi euro un
Bambinello di cera sdraiato sotto una campana di vetro. Altre zone della
Sicilia, come Caltagirone, vedono invece la diffusione dei presepi in
terracotta, di una particolare tecnica di lavorazione dellargilla:
sottilissime strisce di questo materiale erano sovrapposte sul corpo
nudo della statua per rendere i panneggi delle vesti. Unaltra
tecnica molto interessante era diffusa nellisola, quella della
tela e colla. In legno erano scolpiti la testa e lo scheletro
della statuina su cui si appoggiavano morbidamente drappeggiate delle
strisce di tela imbevute di colla e gesso.
A Genova,
a partire dalla fine del 500 si diffonde la consuetudine di allestire
presepi con figurine intagliate nel legno, dorate e dipinte che riproducono
in scala ridotta le sculture in marmo, le pale daltare e i quadri
della Natività delle più importanti chiese della città.
Questo uso era diffuso soprattutto nelle sedi delle confraternite. Non
è chiaro quando questa usanza si trasferì dalle confraternite
alle case dei nobili, certo è che nel 700 si delinea il
tipico presepe genovese costituito da figure in legno interamente scolpite.
Le scene si fanno più complesse e per la realizzazione dei dettagli
si rendono necessari gli interventi di artigiani specializzati: argentieri,
armaioli, cesellatori, stuccatori, ebanisti, indoratori. Molto particolare
è landamento che assume la composizione con una marcata
accentuazione della orizzontalità e una singolare assenza di
profondità. Stranamente la scenografia di questi presepi liguri
ignora i giochi prospettici, così abbondanti nella tradizione
meridionale e partenopea in particolare, e tende ad assumere un andamento
processionale.
In Puglia, le più antiche testimonianze relative ai presepi appartengono
alla seconda metà del 400. Si tratta di presepi monumentali
in pietra che raggiungono la massima diffusione nel corso del 500
e vanno poi lentamente diminuendo fino a sparire quasi completamente
nel 700. Appartengono a questo fenomeno anche i presepi realizzati
nel territorio di Matera, sia perché la città e il territorio
circostante sino al 1663 facevano parte della Terra dOtranto,
sia perché non cè soluzione di continuità
dal punto di vista morfologico, fisico e antropico tra lalta Murgia
ed il materano. Analogamente a quanto avviene nella statuaria, anche
i presepi pugliesi, dal più antico conservato nella chiesa di
Santa Caterina dAlessandria, a quello della chiesa Matrice di
Putignano, sono eseguiti in pietra locale, il carparo, il calcare e
la tenera pietra leccese. La Puglia era una grande importatrice di marmi
dalla Grecia che venivano largamente usati negli arredi e nelle decorazioni
ecclesiastiche sin dal medioevo. Anche nei presepi, come nella statuaria
devozionale. La pietra non era a vista, ma vivacemente colorata, come
attestano le numerose tracce di colore evidenti negli esemplari rimasti.
Gli effetti naturalistici che il colore conferiva a queste composizione
era strettamente connesso alla loro funzione, infatti i presepi erano
collocati soprattutto nelle chiese di conventi appartenenti agli ordini
dei Minori osservanti e di conseguenza si rivolgevano a fedeli appartenenti
a ceti popolari e quindi si rivolgevano direttamente al cuore di gente
umile usando un linguaggio semplice, ma estremamente efficace. La destinazione
popolare è ulteriormente ribadita anche dalla collocazione in
chiese di grande frequentazione come le cattedrali. La disponibilità
della pietra è anche allorigine di particolari scelte iconografiche,
come il frequente ricorso allelemento della grotta che è
un elemento caratterizzante di molte parti del territorio pugliese.
Unaltra tecnica diffusa, soprattutto nel Salento, e ancora oggi
molto usata è quella della cartapesta che viene usata a partire
dall 800. Attorno ad uno scheletro di ferro e stoppa si
sistemano drappeggiati fogli di carta imbevuti di colla.
Questo fenomeno ebbe grande successo e diffusione ed interessò
non solo artigiani professionisti dalle identità ben noti e consacrati
alla storia, ma artigiani popolari, molti dei quali barbieri, che nei
ritagli di tempo cominciarono a lavorare sia la cartapesta che la creta
con stampi dando origine ad una produzione, certo di non eccelsa qualità,
ma di una varietà di forme e di una vivacità di accenti
che le rendevano particolarmente gradite ed apprezzate da una utenza
che non poteva permettersi i personaggi di maggior pregio degli artisti
più famosi. Purtroppo gran parte di quei presepi che nel periodo
natalizio erano allestiti nelle chiese e nelle case è andato
irrimediabilmente perduto, perché il presepe in Puglia è
sempre stato un bene di consumo, funzionale ai riti natalizi, e non
è mai diventato un elemento darredo domestico o unopera
darte.
Ma è
Napoli la vera capitale del presepe. In questa città esso si
distacca profondamente dalla esperienza del presepe liturgico, si laicizza
ed assume un carattere mondano, grazie ad una committenza molto particolare,
non religiosa, ma principalmente costituita dai membri della famiglia
reale, infatti la diffusione del presepe in città si deve a Carlo
III di Borbone, e ai nobili che facevano parte della corte. Questi spesso
si occupavano personalmente dellallestimento del presepe, si racconta
che la regina stessa si dilettasse nella confezione degli abiti. Preparare
un presepe era un gioco per ricchi signori che iniziava molto prima
del Natale. I personaggi, che a Napoli sono chiamati tutti indistintamente
pastori, avevano teste e arti in terracotta e i corpi in fil di ferro
avvolto dalla stoppa e poi ricoperti da vestiti in stoffa che riproducevano
con grande precisione labbigliamento del tempo. Oppure erano manichini
snodabili in legno, che potevano assumere vari atteggiamenti e poi venivano
rivestiti di tessuti. Gli artisti napoletani conferiscono alla sacra
rappresentazione unimpronta naturalistica, inserendo nella Natività,
che assume una posizione sempre più marginale allinterno
della composizione, scene di vita quotidiana che vedono personaggi della
nobiltà, della borghesia e del popolo rappresentati nelle loro
occupazioni giornaliere o in momenti di svago, un brulicare di personaggi,
animali, alberi, case, grotte, fiumi, laghi, cascatelle. Il tono era
tra il serio e il faceto, agli elementi edificanti si aggiungevano quelli
bucolici e realistici, qualche volta anche quelli aulici come le rovine
di templi immaginari, che rievocavano la contemporanea cultura figurativa.
Allinterno della grande composizione si distinguevano tante piccole
scene realizzate con grande dovizia di particolari. Le botteghe degli
artigiani ripresi al lavoro, i pescivendoli con le cassette colme di
varie specie di pesci, i fruttivendoli, i macellai, i fornai, le modeste
abitazioni dei contadini, le donne intente alla filatura o a badare
agli animali nellaia, le osterie che mai avevano avuto spazio
in contesti sacri. Infatti, anche se il richiamo alloste che rifiuta
lalloggio a Maria e Giuseppe è un chiaro riferimento ai
testi evangelici, in nessun altro contesto si osa inserire questo elemento
così ridanciano e poco consono alla solennità delloccasione
che viene rappresentata. Gli artisti napoletani, invece, liberi da legami
con i canoni liturgici della tradizione, con il loro spregiudicato realismo
fanno di questa scena uno dei momenti più interessanti, vivaci
e coloriti del presepe. Cè nel presepe napoletano una curiosa
mescolanza di sacro e di profano, di toni aulici e popolari, di nobile
e di volgare. Accanto alle figure degli orientali e dei magi sontuosamente
abbigliati i popolani e i contadini a piedi scalzi e miseramente vestiti,
unumanità povera e derelitta non rappresentata come denuncia
sociale, ma come rappresentazione ironica e divertita, non tratta dalla
vita reale, ma dallo studio di pitture ed incisioni che si riallacciava
alla tradizione del realismo napoletano. Questarte del presepe
con la sua ricca scenografia, i fondali ed i siparietti si richiamava
molto anche alla tradizione teatrale, che a Napoli era molto importante.
A realizzare questi grandi presepi che in qualche caso occupavano più
ambienti contigui e vedevano limpiego di personaggi di varie dimensioni,
da quelli di 40 cm. ed oltre posti in primo piano, a quelli di 25 cm.
che posti più in fondo dovevano suggerire la lontananza, erano
chiamate maestranze di vario tipo: pittori, scultori, architetti, modellatori
di porcellana, musicisti, sarti, artigiani di Vietri e di Cerreto. Tuttavia
il presepe a Napoli non restò appannaggio esclusivo dei ricchi
per molto tempo, perché ben presto questa usanza si diffuse anche
nei ceti più umili che, ovviamente, dovevano accontentarsi di
composizioni molto più semplici e di modesta fattura. Dopo il
regno di Ferdinando IV larte del presepe cominciò a decadere,
la maggior parte dei presepi fu smontata e i pastori venduti o comunque
dispersi, di quei ricchi e sontuosi presepi è rimasto ben poco
e uneco di quello che dovevano essere si può oggi ammirare
nel museo della Certosa di San Martino.
Rigiro ancora tra le mani i pupazzetti di plastica, non so decidermi:
rischiare la crisi familiare o metterli accanto al presepe buono?
Non è tanto la plastica a sconvolgermi, è che sono proprio
brutti. Ma perché non chiamano Philip Stark a disegnarli?