La grande illusione dell'idrogeno
di Silvio Boccardi

Il prezzo del petrolio ha quasi raggiunto i 50 dollari al barile a causa della guerra in Iraq e dell'instabilità politica in Venezuela. Paesi in rapido sviluppo, come l'India e la Cina, richiedono sempre più petrolio sul mercato, contribuendo all'aumento del prezzo e all'incremento di inquinamento atmosferico ed effetto serra globale. Un'altra preoccupazione è quella che le riserve mondiali di petrolio sfruttabili sono vicine all'esaurimento: tra il 2020 ed il 2040 si raggiungerà il picco massimo della produzione di petrolio ed in seguito la produzione via via calerà provocando il rapido incremento del costo del petrolio, ben più di quanto le guerre in medio oriente abbiano provocato in passato e stiano provocando oggi (un interessante excursus sull'argomento riserve petrolifere può essere trovato nel volume di Jeremy Rifkin Economia all'idrogeno, Mondadori 2002, anche in edizione e-book sul sito ebook.mondadori.com). Questi avvenimenti, insieme ai frequenti blocchi del traffico per inquinamento atmosferico urbano, hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica una forma di energia finora ignorata: l'idrogeno. Si badi bene che ho usato di proposito il termine forma e non fonte in quanto l'uso che viene proposto dell'idrogeno è quello di "immagazzinatore" di energia e non di combustibile.
L'idrogeno, infatti, può essere considerato fonte di energia soltanto nel caso lo si utilizzi in centrali nucleari a fusione. Ad oggi non esistono centrali nucleari a fusione in fase produttiva sebbene siano in corso diversi progetti scientifici per la messa a punto di impianti funzionanti. Queste centrali ricavano energia dalla reazione nucleare che fonde quattro atomi di idrogeno per generare un atomo di elio; il gas prodotto è un gas inerte, che non reagisce chimicamente con altre sostanze, quindi non è tossico e non è neppure radioattivo. La reazione nucleare consente, in teoria, di produrre circa 600 miliardi di joule da un grammo di idrogeno, pari a 166.000 KWh (un grammo di gasolio produce 0,012 KWh). Per avere un'idea della dimensione dei numeri può essere utile confrontarli con i consumi quotidiani: l'ISTAT ha rilevato che a Bari nell'anno 1998 il consumo pro capite di energia elettrica per i soli usi domestici è stato di 1.093 KWh (fonte: ISTAT "L'ambiente in città", gennaio 2001).

La combustione dell'idrogeno.
Esistono altri due tipi di utilizzo dell'idrogeno: in motori a combustione interna (simili ai motori a scoppio) e nelle cosiddette celle a combustibile (la traduzione più corretta di "fuel cell" sarebbe pila a combustibile) che non bruciano l'idrogeno ma lo combinano con l'ossigeno per mezzo di un processo elettrolitico producendo energia elettrica. In teoria, la combustione di un grammo d'idrogeno può produrre circa 0,12 kWh e circa 9 grammi di vapore acqueo.
La principale differenza tra il motore a combustione interna e la cella a combustibile è che il primo, come un comune motore a scoppio, produce energia meccanica dall'espansione dei gas combusti ed il secondo produce elettricità che alimenta un motore elettrico. La seconda differenza è che nel motore a combustione la combustione dell'idrogeno miscelato all'aria dà origine anche ad ossidi di azoto (NOx) che sono tossici per l'uomo. Dobbiamo infatti ricordare che l'aria dell'atmosfera è composta per il 75% da azoto (N), che, alle alte temperature che si producono nella camera di scoppio, reagisce con l'ossigeno.
Ma l'idrogeno non è presente in natura in forma libera. Pur essendo l'elemento più diffuso nell'intero universo, l'idrogeno è presente sulla terra esclusivamente in composti chimici, tra i quali i più abbondanti sono gli idrocarburi e l'acqua, e da questi deve essere estratto.

L'estrazione dell'idrogeno dagli idrocarburi
Il processo per mezzo del quale dagli idrocarburi può essere estratto l'idrogeno, prende il nome di "steam reforming". L'idrocarburo più semplice, dal quale è possibile partire per la produzione di idrogeno, è il metano (CH4). Questo, reagendo con l'acqua ad alte pressioni e temperature, produce idrogeno e ossido di carbonio: una molecola di metano combinata con una molecola d'acqua (H2O) produce una molecola di ossido di carbonio (CO) ed tre di idrogeno (H2). Quindi, per estrarre l'idrogeno dal metano, si deve immettere energia e si produce un composto tossico come l'ossido di carbonio. Il processo non può fermarsi qui: una ulteriore reazione ad alta temperatura e pressione moderata, con l'ausilio di catalizzatori, combina l'ossido di carbonio con l'acqua. Da una molecola d'acqua e una di ossido di carbonio si produce una molecola di anidride carbonica (CO2) ed una di idrogeno. Il processo, allora, produce la stessa quantità di gas serra (anidride carbonica) della combustione diretta del metano. Considerando l'energia che si è dovuto impiegare negli impianti di "estrazione", l'idrogeno così prodotto genera più gas serra per unità di energia immagazzinata. Se ne deduce che lo "steam reforming" sposta il problema dei gas serra dall'utilizzatore del combustibile al suo produttore: invece di produrre anidride carbonica nei motori delle nostre automobili, ne produrremmo di più negli impianti di produzione dell'idrogeno.
Quindi questo processo produttivo può essere utile solo a spostare l'inquinamento dalle città ai siti di produzione dell'idrogeno: a livello globale il problema dell'inquinamento atmosferico e della produzione di gas serra non sarebbe affatto risolto. Non solo, questo processo non sarebbe neppure di aiuto a superare l'attuale crisi energetica, perché le fonti primarie di energia resterebbero il petrolio ed il gas naturale, ai cui prezzi sarebbe legato l'idrogeno così prodotto.

L'estrazione dell'idrogeno dall'acqua
Un'alternativa è quella di estrarre l'idrogeno dall'acqua (H2O). Il processo elettrochimico che permette la separazione dell'idrogeno dall'acqua ha il nome di elettrolisi. Il 70% della superficie terrestre è ricoperto d'acqua; il volume totale dell'acqua presente sulla Terra è circa 1,4 miliardi di Km3. L'estrazione di idrogeno dall'acqua renderebbe questo combustibile virtualmente inesauribile (anche praticamente, se si considera che la sua combustione produce nuova acqua). La sua distribuzione sul pianeta è molto più omogenea rispetto a quella dei combustibili fossili, fatto che renderebbe l'approvvigionamento di combustibile scarsamente influenzabile dalle crisi politiche mondiali (come la grande crisi petrolifera del 1977) e ridurrebbe l'interdipendenza energetica delle nazioni. I maggiori produttori di petrolio del pianeta si trovano in zone di dubbia stabilità politica (Russia, Venezuela) ed in Medio Oriente (Iran, Iraq, Arabia Saudita). L'utilizzo massiccio dell'idrogeno per l'approvvigionamento di energia ne ridurrebbe sensibilmente il peso internazionale e potrebbe accentuare l'instabilità politica dei governi.
Le apparecchiature che consentono la scissione dell'acqua nei suoi elementi idrogeno ed ossigeno prendono il nome di elettrolizzatori. Per produrre 1g di idrogeno (e 8g di ossigeno) bisogna spendere 286 kJ di energia elettrica. Per avere un'idea di cosa in pratica significhi il ciclo produzione e combustione dell'idrogeno dall'acqua si tenga conto che il rendimento tipico degli elettrolizzatori è intorno al 70%: da un litro d'acqua è possibile produrre 1,3 m3 di idrogeno con un dispendio di circa 6,3 kWh di energia elettrica; l'idrogeno così ottenuto, combusto in una cella elettrolitica, produrrebbe 2,2 kWh di energia elettrica. Se ne deduce che non è conveniente utilizzare fonti energetiche non rinnovabili (i combustibili fossili) per la produzione di idrogeno, perché circa due terzi dell'energia che questi potrebbero produrre andrebbe perduta nel ciclo produzione-combustione.
Nuovamente deduciamo che a livello globale l'idrogeno da solo non riuscirebbe a risolvere il problema dell'inquinamento e del riscaldamento globale (effetto serra) ma può essere di aiuto nell'allontanare l'inquinamento dalle città. Il discorso cambierebbe se l'energia utilizzata per produrre l'idrogeno fosse generata dalle cosiddette fonti rinnovabili come l'energia solare, quella eolica, quella idroelettrica, quella geotermica (l'Islanda è da questo punto di vista una nazione fortunata) e quella delle maree. Il giorno in cui queste fonti di energia fossero economicamente paragonabili a quella dei combustibili fossili si decreterebbe la fine dell'era del petrolio.

La conservazione dell'idrogeno
Una volta prodotto, l'idrogeno deve essere conservato e trasportato. Non ha molto senso trasportare l'idrogeno per produrre nuovamente energia elettrica: tanto varrebbe allora trasportare direttamente l'energia elettrica con le attuali reti di distribuzione. Ha senso, invece, se l'idrogeno deve essere utilizzato come fonte di energia mobile come quando è utilizzato come combustibile nei mezzi di locomozione. In tal caso l'idrogeno può essere utilizzato per alimentare le celle a combustibile che producono elettricità per mettere in movimento i motori elettrici delle automobili della prossima generazione.
Per capire quanto l'idrogeno sia infiammabile, lo confrontiamo con la benzina e con il metano. Perché una miscela aria-benzina prenda fuoco, la concentrazione di benzina non deve essere inferiore a 1% e non deve essere superiore al 7,6%; per il metano il limite inferiore è il 5,3% e quello superiore il 15%. L'intervallo di infiammabilità dell'idrogeno è molto più ampio ma ha un limite inferiore di concentrazione del 4% ed uno superiore del 75%. Al di sotto della soglia minima non c'è carburante a sufficienza per innescare la reazione di combustione ed al di sopra della soglia massima non c'è ossigeno a sufficienza. Quindi l'idrogeno prende fuoco quattro volte meno facilmente della benzina ed è poco più infiammabile del metano. Inoltre l'idrogeno è estremamente più volatile di benzina e metano disperdendosi nell'atmosfera molto più rapidamente e, a causa della sua leggerezza, si disperde verso l'alto, senza formare accumuli pericolosi a terra. Le automobili alimentate a GPL (Gas Propano Liquido) non possono essere parcheggiate in rimesse al chiuso perché questo gas, più pesante dell'aria, tende ad accumularsi a terra con rischi di esplosione; per l'idrogeno basterebbe una normale griglia di aerazione.
Data la scarsa densità dell'idrogeno, questo deve essere conservato in modo da ridurne il volume. Alla temperatura di 0°C e alla pressione di una atmosfera l'idrogeno ha una densità di 0,09 kg/m3; nelle stesse condizioni la benzina ha una densità di 710 kg/m3 e il metano 0,72 Kg/m3. Un kg di idrogeno è in grado di sviluppare ben 120 MJ di energia mentre la stessa massa di benzina produce 43,5 MJ ed il metano 50 MJ. Ne deduciamo che un m3 di combustibile genera 10 MJ nel caso dell'idrogeno, 35500 MJ nel caso della benzina e 36 MJ nel caso del metano. Quindi, a parità di energia trasportata un serbatoio di idrogeno è enormemente più grande di uno di benzina. Ed è proprio questo il maggiore problema da superare.
Come per tutti i gas, il volume può essere ridotto aumentando la pressione o diminuendo la temperatura. I serbatoi per il metano delle automobili attualmente in circolazione hanno una capacità di circa 85 litri e operano a pressioni di 220 atmosfere; il peso del metano in tale caso è di circa 15 kg ma quello del serbatoio si aggira intorno ai 100 di acciaio. Per contenere l'idrogeno in stato gassoso le pressioni che si devono raggiungere si aggirano intorno alle 700 atmosfere: a queste pressioni sono indispensabili materiali speciali. Abbassando la temperatura è possibile contenere l'idrogeno con maggiore facilità. La temperatura alla quale l'idrogeno passa allo stato liquido è di -253°C: in queste condizioni però la bombola, pur contenendo una densità di energia quasi doppia, deve essere costantemente refrigerata consumando parte dell'energia contenuta limitando nel tempo l'utilizzo del suo contenuto.
Allo stato di ricerca pura, sono allo studio dei sistemi di immagazzinamento che sfruttano le capacità di alcuni metalli di assorbire l'idrogeno come una spugna, incorporano l'acqua all'interno della propria struttura: i risultati non sono ancora soddisfacenti per un uso comune.
Giungiamo alla conclusione che, allo stato attuale delle conoscenze tecnologiche, un serbatoio di benzina contiene a parità di volume una ben maggiore quantità di energia che non una bombola di idrogeno.

Le automobili sperimentali
Quasi tutte le case automobilistiche hanno già in commercio automobili con motore elettrico alimentato da batterie, primo stadio per l'auto ad idrogeno. Alcune hanno già creato alcuni prototipi alimentati ad idrogeno con risultati promettenti. È stata però anche intrapresa la strada del motore a combustione interna.
Come abbiamo già avuto modo di osservare il motore a combustione interna che utilizza il combustibile idrogeno non è del tutto pulito perché produce gas tossici come gli ossidi di azoto e ossido di carbonio. Si è intrapresa questa strada perché non esiste oggi una rete di distribuzione dell'idrogeno per autovetture e ci vorrà del tempo per crearne una sufficientemente diffusa. Si pensa quindi di introdurre gradualmente questo carburante producendo modelli che possano utilizzare due tipi di carburante (i cosiddetti motori bi-power), oltre all'idrogeno anche benzina o metano. In quest'ottica, la BMW ha presentato nel 2001 la 745h, un modello che consente l'utilizzo sia di benzina che di idrogeno. La casa bavarese ha equipaggiato questo modello con due serbatoi: quello della benzina consente una autonomia di 650 km, quello dell'idrogeno di 300 km.la potenza è di 135 kW e può raggiungere la velocità di 215 Km/h. Per confronto, il modello 745i alimentato solo a benzina ha una potenza di 254 kW, una autonomia di 1000 km ed una velocità massima di 250 km/h. Per questo tipo di modelli il dato più significativo è la potenza del motore che quasi si dimezza dal modello tradizionale a quello ad idrogeno.
Non solo nei lunghi viaggi possono incontrarsi difficoltà di rifornimento con il solo idrogeno; anche in città i distributori di idrogeno sono oggi del tutto assenti. Un'altra via intermedia è quindi stata studiata per le utilitarie. Le automobili con motore elettrico sono già state timidamente introdotte in ambiente cittadino con progetti come l'ELETTRAPARK del comune di Torino. In questo caso le auto traggono la fonte di energia da batterie che vengono ricaricate dalla rete elettrica durante la sosta. La FIAT ha studiato un prototipo intermedio che abbina alle tradizionali batterie l'alimentazione ad idrogeno per mezzo di una "fuel cell". Si tratta della Seicento Elettra modello equipaggiato con un motore elettrico: la "fuel cell" interviene quando il livello di carica delle batterie è basso. Questo modello ha una autonomia di 220 km, una potenza di 30 kW ed una velocità massima di 130 km/h; il serbatoio contiene 1,6 kg di idrogeno per una capacità di 68 litri ad una pressione di 380 atmosfere. Il modello tradizionale ha una potenza di 40 kW, una velocità massima di 150 km/h ed un'autonomia di 460 km (ciclo urbano).
Un modello non "ibrido" è stato sviluppato dalla Mercedes. Si tratta della Classe A Fuel Cell che, alimentata da un motore elettrico che prende energia direttamente dalla fuel cell, ha una potenza di 65 kW, una velocità massima di 140 km/h ed un'autonomia di 150 km.
Le prestazioni di queste automobili sono ancora distanti da quelle dei tradizionali motori a benzina, soprattutto nella potenza e nell'autonomia ma si spera di poter presto ridurre il divario soprattutto in fatto di autonomia. Il problema dell'autonomia è il più rilevante perché una ridotta autonomia impone un maggior numero di impianti di rifornimento sulla rete stradale e perché gli stessi tempi di rifornimento dell'idrogeno sono più lunghi: per la FIAT Seicento fare il pieno di idrogeno porta via circa dieci minuti.

Le prospettive future
L'idrogeno non può essere considerato la soluzione al problema della progressiva riduzione delle riserve petrolifere né del riscaldamento globale dell'atmosfera. Perché questo sia possibile è necessario produrre idrogeno da fonti energetiche alternative al petrolio. Quelle attualmente di-sponibili sono l'energia nucleare, quella idroelettrica, quella geotermica, quella eolica e quella solare. Gli impianti nucleari italiani sono tutti in fase di smantellamento e, in osservanza ai risultati del referendum dell'8 novembre 1987, non è possibile costruirne di nuovi. Per produrre idrogeno senza produrre anidride carbonica restano soltanto gli impianti idroelettrici, geotermici, eolici e solari. Data la scarsa altezza delle maree in un mare chiuso come il mediterraneo dovremo scartare anche questa fonte di energia.
Gli impianti eolici sono costituiti da grandi eliche che girano sotto la spinta del vento e che mettono in rotazione un generatore di corrente. E' lo stesso principio sfruttato nelle dinamo delle biciclette per fornire energia elettrica alle lampadine. Si tratta di impianti che non possono funzionare costantemente perché dipendono dalle condizioni atmosferiche. Per funzionare hanno bisogno di una velocità del vento non inferiore ai 10 m/s; sopra i 25 m/s vengono fermate per motivi di sicurezza. La potenza di tali impianti dipende dal numero di torri che vengono installate; per motivi di efficienza, queste devono tenere una distanza minima tra loro e ne consegue che la potenza dipende dalla superficie occupata dall'insieme dell'impianto. Mediamente la potenza di tali impianti è di 10 W/m2. L'impianto di Casone Romano (FG), il più grande in esercizio in Italia, consiste di 10 torri monopala per una potenza di 3,5 MW totali che in un anno possono produrre 6 GWh. Come impatto ambientale, questi impianti hanno solo il rumore generato dalla rotazione delle pale e il loro effetto visivo; a causa del rumore devono essere situati a non meno di 500 metri dalle aree residenziali.
Gli impianti solari sono di tre tipi: a pannelli termici, termodinamici o fotovoltaici. La potenza di tali impianti dipende dalla latitudine e dalle condizioni climatiche medie dei luoghi dove sono installate ed è discontinua per l'alternarsi del giorno e della notte. Gli impianti a pannelli termici sono generalmente utilizzati per la produzione di acqua calda ed hanno quindi una rilevanza minore nel bilancio energetico complessivo. Alle latitudini italiane, la potenza irraggiata dal sole è di 1400 W/m2 al di fuori dell'atmosfera e circa 700 W/m2 a terra con il cielo sereno (a causa dell'assorbimento e della riflessione dell'atmosfera).
Il progetto Archimede, collaborazione tra Enel ed Enea, prevede la costruzione di un impianto solare termodinamico per la produzione di energia elettrica tramite riscaldamento di un fluido speciale alla temperatura di 550 °C per mezzo di specchi che convogliano i raggi solari. A sua volta il fluido surriscaldato mette in moto una turbina che genera energia elettrica. L'area complessiva di 360 specchi è di 200.000 m2, ma tutto l'impianto occupa 400.000 m2. La potenza prodotta è di 20 MW quindi 50 W/m2 alla massima insolazione. Considerando l'alternarsi del giorno e della notte e le condizioni climatiche variabili nell'arco dell'anno a Priolo Gargallo (SR), questa centrale sperimentale è in grado di produrre 59 GWh all'anno. La fase di "industrializzazione" è prevista per l'anno 2005.
L'altro modo di produrre energia elettrica, il fotovoltaico, prevede l'utilizzo di speciali pannelli in materiale semiconduttore che, irraggiati dalla luce, liberano elettroni. La resa delle celle fotovoltaiche attuamente in commercio è di circa il 14%, quella delle celle sperimentali raggiunge il 23%. Questo significa che per ogni chilowatt di radiazione che colpisce una cella fotovoltaica si possono produrre tra i 140 ed i 230 W di energia elettrica. L'energia elettrica prodotta dalle celle fotovoltaiche non può essere direttamente utilizzata, sia per la variabilità del flusso, che impone degli accumulatori, sia per la necessità di trasformare la corrente continua in corrente alternata a 230 V, comunemente in uso nelle nostre case. Questa necessità riduce ulteriormente l'efficienza globale dell'impianto fotovoltaico che può arrivare mediamente al 10% con una potenza che si aggira intorno ai 70 W/m2. In Italia sono già sfruttate, dove sono disponibili, le fonti di energia geotermica come nelle centrali di Larderello, Travale e Monte Amiata, tutte in Toscana). Queste forniscono circa 1,5 % della produzione elettrica nazionale (fonte Enel: http://www.enel.it/visitacentralihtml/VisitaCentralihtml/geotermica/geotermica.asp). Queste centrali sfruttano il calore delle profondità della terra che a contatto con l'acqua produce vapore ad alta temperatura e pressione. Quest'ultimo mette in moto una turbina che produce energia elettrica. Anche l'energia idroelettrica è sfruttata in Italia soprattutto nelle regioni alpine. Questa ha però un impatto ambientale notevole per la creazione di bacini artificiali con conseguenze soprattutto geologiche. Nel 1999 in Italia erano in esercizio centrali idroelettriche capaci di una potenza pari a 20.759 MW, che hanno prodotto 51.636 milioni di kWh, pari al 19,4% della produzione totale (fonte Enel: http://www.enel.it/visitacentralihtml/VisitaCentralihtml/idroelettrica/idroelettrica.asp).

L'idrogeno non è la soluzione
Che l'idrogeno non sia la soluzione al problema del riscaldamento del pianeta e della progressiva riduzione delle riserve energetiche lo deduciamo dai processi per mezzo dei quali si produce idrogeno: o lo si estrae dagli idrocarburi producendo gas serra o lo si estrae dall'acqua consumando più energia di quanta ne produce la sua combustione. Nelle conclusioni del suo libro Rifkin va oltre le reali possibilità offerte dall'idrogeno. Attribuisce all'idrogeno la possibilità di creare una rete di microproduttori di energia che, come nel World Wide Web mettono in comune le informazioni e le fanno circolare, così producono energia e la mettono in comune sulla rete elettrica globale. La visione è quella di un mondo in cui il controllo sulle fonti di energia non è più in mano a pochi colossi industriali, ma "democraticamente" diffuso tra i singoli cittadini. Se basata sull'idrogeno, questa è una visione sbagliata perché il potere resterebbe nelle mani dei suoi produttori, le stesse compagnie pertolifere che già stanno investendo nella produzione di idrogeno. Questa visione può reggere solo se basata sulla produzione di energia da fonti ovunque direttamente disponibili: energia solare ed energia eolica. Tutte le altre modalità di produzione di energia non sono ovunque disponibili e necessitano di grandi impianti industriali.
L'idrogeno è, però, la soluzione ai problemi di inquinamento dei centri urbani perché da solo è in grado di eliminare le emissioni tossiche degli scappamenti delle automobili e degli impianti di riscaldamento cittadini. In questa direzione dovranno muoversi i governi, cominciando con l'incentivare lo sviluppo dell'auto ad idrogeno e la creazione di una rete di distributori di idrogeno per autotrazione; la creazione di una rete di distribuzione domestica dell'idrogeno comporterà sicuramente tempi lunghi se si tiene conto che la "metanizzazione" non ancora completa della penisola ha avuto bisogno di circa cinquant'anni di tempo. In tempi relativamente brevi si può ipotizzare di ripulire l'aria delle nostre città.

Kyoto
Con l'adesione della Russia al Protocollo di Kyoto, il patto potrà diventare operativo ed impegnativo per i paesi industrializzati. Per produrre energia ed idrogeno riducendo le emissioni di gas serra saranno a disposizione le fonti nucleare (per i paesi che intendono avvalersene), solare, eolica e geotermica. A che punto è l'Italia? L'Italia ha assunto l'impegno, con la ratifica del Protocollo di Kyoto, di ridurre le emissioni nazionali di gas ad effetto serra del 6,5% rispetto al 1990. E' una sfida impegnativa.
La potenza elettrica installata in Italia nel 2001 è stata di 76 GW di cui circa 20 GW idroelettrici, 54 GW termoelettrici, 595 MW geotermici e 400 MW eolici (fonte: Legambiente Lombardia "Fabbisogno di energia elettrica e centrali di potenza in Italia e in Lombardia" autunno 2002). Se volessimo ridurre del 5% l'attuale emissione di CO2 degli impianti di generazione termoelettrica sostituendoli con impianti solari, questi occuperebbero un'area di 1.000 km2 circa: il 20% della superficie della regione Puglia.
Lo sforzo maggiore dovrà essere fatto nella direzione del risparmio.

gennaio - aprile 2005