Il futuro precario della scuola italiana
di Francesco Masi
(Esecutivo Provinciale dei Cobas-scuola Potenza)

Il compito arduo assegnatomi di elaborare una relazione introduttiva su una tematica così ampia e complessa quale l'individuazione dei nessi che legano il processo di decretazione della Legge Quadro 53 del 28 marzo 2003, che va sotto il nome di "riforma Moratti", e le prospettive di ulteriore precarizzazione strutturale nella scuola mi obbliga a procedere, più che secondo una logica di ordinata disamina analitica, per traiettorie trasversali funzionali all'enucleazione del carattere politico degli obiettivi strategici operanti nel medio e nel lungo periodo dell'iniziativa attualmente perseguita dalla compagine del MIUR e dell'esecutivo in carica.

Sciopero, diacronie, ritardi. Prove di dialogo tra sordi
Ci troviamo, in questo anno solare, a conclusione di un secondo importante ciclo di lotta che ha visto ricercatori, borsisti, precari a vario titolo, insieme a studenti e più raramente ai relativi senati accademici (isolata e contraddittoria l'esperienza di sospensione delle attività dell'università della Basilicata). Sono emerse differenze all'interno dei 75 atenei italiani, dove non sono stati superati livelli di generica critica al processo di ulteriore aziendalizzazione degli atenei promossa dal MIUR, che colpisce con pesanti decurtazioni dei capitoli di spesa l'idea stessa di ricerca "pubblica" e "disinteressata". Ma ancora una volta non si sono verificate le condizioni di una saldatura necessaria tra le lotte in corso tra segmenti diversi del sistema formativo.
La tenace resistenza di diverse centinaia di collegi docenti delle scuole dell'infanzia, della scuola primaria, delle medie, contro l'imposizione della funzione tutoriale in chiave meritocratica e gerarchizzante; contro lo scippo del tempo pieno e prolungato; contro il taglio delle ore d'insegnamento e delle cattedre, non ha ancora trovato l'indispensabile momento di saldatura né con i docenti, con gli ATA (pers. Amministrativo, Tecnico, Ausiliario) della secondaria superiore, né tantomeno con studenti e lavoratori dell'Università.
Nonostante i reiterati appelli/stampa dei COBAS, le OO.SS. confederali, sdegnosamente ignare della forte richiesta di unità dal basso che proviene da tutte le assemblee provinciali delle lavoratrici e dei lavoratori della scuola, nonché dalla straordinaria rete dei coordinamenti dei genitori che da oltre un anno si battono per la difesa del tempo pieno e prolungato e quindi di un pezzo importante dello stato sociale, preferiscono che si vada a due cortei diversi, nello stesso giorno, nelle stesse ore, nella stessa città, rifiutando qualsiasi ipotesi di confronto con i COBAS e con i sindacati di base.
La capacità soggettiva materiale di distinguere le ragioni dei precari e degli studenti delle università da quelle dei "baroni" è evidentemente oggi ad uno stadio ancora larvale, in assenza di una rigorosa critica di classe, dispiegata sul piano della struttura, dei ruoli, delle funzioni di potere; delle forme interne di riproduzione del baronato e dei privilegi corporativi che legano la gestione degli atenei agli interessi della finanza, delle imprese, dei partiti, così come delle case editrici, della sanità, della magistratura.
Tra medioevo, illusioni nepotistiche/ clientelari e postfordismo, la soggettività precaria a servizio della catena di produzione universitaria gestisce tra il 50 ed il 60% delle attività accademiche, piegata su se stessa , ma schiacciata dal decisionismo univoco del MIUR, finisce per soccombere alla potenza dei conflitti tra lobbies e non riesce a trovare autonoma modalità di proposta, impedendo per questa via prospettive di saldatura ed alleanze a breve.

La destra e la sinistra della pianta comune del valore di scambio della conoscenza.
E' urgente leggere criticamente il paradigma istituzionalmente ufficializzato di "società cognitiva" e di superare l'asfittica visione settoriale del sistema di produzione e riproduzione dei saperi (dalla "materna" all'università, all'arcipelago della formazione nelle sue varie forme e declinazioni). All'uso smodato di percorsi decisionali e normativi "blindati" da parte dell'esecutivo nell'imporre eversivamente stravolgimenti liberisti (uso a mo' di clava della legge delega) si contrappone la pressione dal basso di docenti precari, genitori, studenti, ATA, formatori, lavoratrici e lavoratori che producono "conoscenza", ricercatori che separatamente conducono lotte a volte anche disperate, ma per lo più parziali negli obiettivi e prive di sbocchi ricompositivi. Il nesso tra la precarizzazione/flessibilizzazione della forza lavoro intellettuale e le "riforme" dell'universo normativo che regolamenta l'intero mercato del lavoro si è prodotto nel corso dell'ultimo decennio, nel nostro paese, per linee di accelerazione progressiva.
Chi non ha cattiva memoria ricorderà che la prima bozza di "riforma" di Luigi Berlinguer recitava nell'intestazione "come da accordo Treu" (l'allora ministro del lavoro del governo Prodi). Il "pacchetto" portava a 17 le tipologie contrattuali di lavoro e contestualmente prevedeva la famigerata "autonomia scolastica".
Concomitante arnese dialettico dei governi di centro-sinistra della seconda metà degli anni 90 erano i cosiddetti "decreti Bassanini", che sul piano inclinato del decentramento amministrativo ci regalavano, accanto all'"autonomia scolastica", il frutto avvelenato del "dirigente manager", conduttore ed apprendista stregone d'impresa cognitiva in competizione con altri carrozzoni in rodaggio.

Frecce e traiettorie della signora Moratti (da Machiavelli a Hobbes)
La Legge 53 del 28 marzo 2003 ("Legge delega per la definizione delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale"; la c.d. "riforma Moratti"), in 7 articoli ed attraverso un percorso biennale di decretazione attuativa realizzato a colpi di maggioranza parlamentare, è coerente nell'abolire il principio costituzionale dell'obbligo scolastico; nell'abrogare in calce la L. 30 del 2000 (riforma Berlinguer degli ordinamenti scolastici, di cui conserva sostanza, riferimenti e "passerelle" tra sistema d'istruzione e formazione) e la L. 9 del '99 (prolungamento dell'obbligo a 15 anni). Altrettanta coerenza caratterizza altri aspetti della stessa legge: il salvaguardare e valorizzare la L. 62 del 2000 - la c.d. legge della "parità scolastica", capostipite della decuplicazione di iscritti e risorse alle scuole private e della clericalizzazione (che consente tra l'altro alle private di essere parte del sistema nazionale d'istruzione con il 25% di docenti "volontari"...); il DPR 275 del '99 (Regolamento dell'autonomia scolastica); la L. 144 del '99 (obbligo formativo nel sistema di formazione/apprendistato fino a 18 anni di età) e tutte le norme compatibili con i processi di "razionalizzazione" (leggi "tagli") della rete scolastica, dell'uso delle risorse, degli insegnamenti, degli organici, delle esternalizzazioni del personale ATA.
Non è possibile comprendere la portata della L. 53 senza considerare il suo rapporto con la L. 30 del ministro Maroni (la c.d. "riforma del lavoro Biagi") e con gli effetti rivisitati della proposta Bossi della L. costituzionale n° 3 del Nov. 2001 (riscrittura del Titolo V della Costituzione), che attribuisce ulteriori poteri alle regioni in materia di istruzione, polizia, sanità.
Molti detrattori della "riforma Moratti", appartenenti all'area politica e sindacale di centro-sinistra, sono soliti denunciare la cronica mancanza di risorse finanziarie come "limite" alle possibilità di attuazione dei vari aspetti della "riforma" (difficoltà di garantire il diritto all'iscrizione anticipata dei bambini alla scuola dell'infanzia ed alla primaria; difficoltà di incremento delle dotazioni tecnologiche/informatiche e laboratoriali; di garantire l'intensificazione dei corsi di apprendimento delle lingue comunitarie; di attuare l'alternanza scuola-lavoro ed adeguati processi di riqualificazione e formazione docenti, etc.), deplorando le politiche dei tagli in finanziaria, il blocco del turn-over come fonte di finanziamento della riforma e degli aumenti contrattuali, lo smantellamento del welfare-state e della carta costituzionale.
In realtà questi soggetti, spesso affetti da politicismo cronico, dimenticano che l'operato di sei anni del centro-sinistra, nel nome dell'adesione al patto di Maastricht e delle compatibilità con i parametri di controllo e sovradeterminazione nazionale, ha falcidiato personale e risorse della scuola pubblica per riequilibrare la spesa corrente; dimenticano, questi signori, che i loro governi amici hanno appaltato e fatto costruire vere e proprie autostrade neoliberiste, su cui la compagine berlusconiana di centro-destra sta facendo sfrecciare i suoi poderosi prototipi antidemocratici e fascistoidi.

Dai saperi della camorra alla camorra dei saperi
La gestione di un processo di omogeneizzazione sostanziale di un sistema integrato in cui interagiscono organicamente le forme organizzative e le "filiere" di produzione dei saperi; la ristrutturazione complessiva delle regole e delle dinamiche del mercato del lavoro; l'affermazione dell'egemonia culturale e dell'orizzonte "teleologico" del primato dell'impresa, implica la supervisione costante dell'agire immateriale degli standards di qualità da perseguire nel sistema educativo di istruzione e formazione. Costituiscono una duplice forza strutturante le attività di monitoraggio e valutazione dell'Invalsi (Ist. Naz. per la Valutazione del Sistema di Istruzione: vero "occhio di dio" del controllo e della sovradeterminazione europea e dell'Ocse) e banalizzazione linguistica, che orienta prassi del quotidiano e comportamenti a valle di una pioggia di neologismi d'importazione.
Sussidiarietà del privato nelle nuove funzioni dello stato; precarizzazione, espulsione, disciplinamento, esternalizzazioni della forza lavoro intellettuale e dei servizi; produzione di valore a mezzo di produzione di merce/linguaggio, sono ben altro che non semplice capacità di razionalizzazione equilibrata della spesa pubblica!
La "riforma Moratti" rappresenta un tentativo organico di superamento radicale delle precedenti e consolidate modalità di gestione della crisi fiscale e di struttura dei comparti scuola, formazione, università, puntando ad agire - verticalmente e surrettiziamente al contempo - da subito come strumento attivo per la rideterminazione complessiva del mercato del lavoro e della dotazione qualitativa della composizione sociale di classe.
La gestione del "portfolio delle competenze" come carta personalizzata di accesso al mare magnum della domanda e dell'offerta di lavoro sui mercati europei; il "marchio di fabbrica" della certificazione dei titoli, dei percorsi, del grado di prestigio degli istituti e delle esperienze di stage effettuate, retroagiranno in maniera decisiva sulle dinamiche di costruzione della coscienza individuale e collettiva, facendo della molteplicità non una moltitudine, ma altrettante occasioni di specifica potenzialità di messa a valore di ogni relazione alienata tra soggettività e cultura.
La L. 53 interpreta in tal senso uno sfacciato progetto autoritario che ha origine in un patto neo-corporativo, addirittura clerical/reazionario e di stampo aziendalista. Il cemento del patto consiste in una miscela di familismo amorale e di venature di anticosmopolitismo programmatico (vedi art. 1, c. 1 della legge, finalizzata alla valorizzazione soggettiva nel rispetto "delle differenze e dell'identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione tra scuola e genitori" v. associazioni riconosciute -; oppure art. 1 c. 3, lett. c: che esplicita le finalità ed il sostegno allo "sviluppo delle tecnologie multimediali ...al fine di incoraggiare e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti"; vedi art. 2, che promuove "inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro" sottolineando la dimensione "locale" e la "appartenenza alla comunità locale"; nonché "il conseguimento di una formazione spirituale e morale anche ispirata ai principi della Costituzione"...).
La L. 53 incarna non solo il progetto, ma la strategia empirica di costruzione materiale di quei nuovi soggetti compatibili che il capitalismo ha sempre agognato, perché soggetti "senza memoria"del conflitto ed allenati alla logica della flessibilità e della precarietà come nuovo "darwinismo"; della competizione permanente, che fa percepire e leggere il mondo , la sfera delle relazioni con gli altri, l'uso della scienza e dei saperi, nella chiave riduttiva e miserabile delle possibilità di valorizzazione "glocale" a fini di profitto.

Dalla solidarietà di classe alla classificazione territoriale. Padroni e Padrini della coscienza
La prospettiva della separazione tra il sistema degli otto licei ed il sistema regionalizzato di durata quadriennale dell'istruzione e della formazione professionale - che prelude non soltanto ad una sostanziale preclusione degli accessi agli studi universitari ai 2/3 degli studenti italiani e ad un irrigidimento brutalmente classista delle opportunità capace di approfondire ulteriormente le già esistenti differenze sociali oggi malcelate con ipocrisia ideologica, realizzando "profili educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello" (art. 2, c. 1, lett. h), ma che punta esplicitamente ad ingrossare le fila dei "clienti" delle scuole locali di apprendistato e formazione, in mano alle associazioni imprenditoriali, clericali, sindacali.
Forse il più preoccupante degli articoli della "L. Moratti" è per questo l'art. 4, quello della cosiddetta "alternanza scuola-lavoro".
Qui il rapporto con l'impresa diventa esclusivo e totalizzante, perché si sancisce il ruolo attivo dell'istituzione scolastica autonoma in ruolo subordinato e ruffiano, per far spendere ai ragazzi di 15 anni l'intero percorso di alternanza studio/lavoro in tirocini "che non costituiscono rapporto individuale di lavoro". Chi ha mai sentito parlare di caporalato negli stages? Chi - e perché - sarà in grado di vigilare sulla differenza e sul salto di limite tra lavoro immediato erogato gratuituitamente e lavoro simulato?
Le scuole vengono incoraggiate a collegarsi al sistema della formazione regionale per esplicare "corsi integrati che prevedano piani di studio progettati d'intesa tra i due sistemi,... con il concorso degli operatori di ambedue i sistemi".
Le imprese, finalmente riconosciute a tutti gli effetti come "luogo formativo", non solo prestano modalità e criteri di certificazione e tutoraggio e ricevono "incentivi", ma si trasformano anche in una sorta di Re Mida per il "docente incaricato dei rapporti con le imprese e del monitoraggio degli allievi", perché ne guadagnerà in soldi e carriera (art. 4 c. 2). Il territorio torna ad essere per questa via il concreto e diafano crocicchio amorale dove va fatta rispettare la legge del più forte, in perfetta corrispondenza tra gli amorosi sensi di identità lobbistico-mafiosa, consorterie politico-sindacali, portaborse, burocrati e sottobosco di lecchini, dove il capo potrà chiamare a lavorare per lui chi gli pare, anche grazie alla possibilità di chiamata nominale.
Dispiace molto - e comunque fa riflettere molto - che la Regione Basilicata si stia avvalendo da un anno di una Legge (L. Reg. 11 Dic. 2003 n° 33) di riordino del Sistema Formativo Integrato, pur vantando un'illuminata compagine governativa di centro-sinistra. Ed addirittura un assessore al lavoro, cultura, formazione, del PRC. Dispiace e fa riflettere perché alla fine di tante chiacchiere non solo quegli amministratori regionali non hanno contrastato i processi in atto, ma li hanno addirittura anticipati, in uno degli aspetti peggiori e/o più delicati.
L'unitarietà centralistica dei criteri e dell'attività di monitoraggio e valutazione dell'occhio dell'Invalsi serve a dare livida legittimazione agli eserciti di bari ed avventurieri, che da mazzieri dell'idea di scuola pubblica della Costituzione si convertono in padrini della conoscenza, avvoltoi gestori di un sistema che sciogliendo l'ultima riserva del "diritto al lavoro e alla cittadinanza", realizza l'inversione dei mezzi e dei fini, dove il sistema integrato di istruzione e formazione non è più mezzo di realizzazione di cittadinanza e di inveramento di diritti, ma esso stesso è al contempo mezzo e fine in quanto riproduttore di profitti.
E' certo che "indietro" da qui non si torna (non solo perché ce lo dicono spesso per rassicurarci i vari buonsensisti Rutelli o Fassino o D'Alema, che già ci preparano saggiamente all'idea di continuare sulla strada della sig.ra Moratti per non rischiare di cambiare nome ogni cinque anni alla stessa "riforma"), perché il ruolo dell'università, della scuola, della formazione, degli stessi enti locali, è oggi molto più legato ai destini complessivi del rapporto valorizzante tra bisogni e lavoro, ancora una volta tra valore d'uso e valore di scambio, dove stride la contraddizione tra mercificazione della conoscenza e la possibilità di rendere merce i consumatori di conoscenza.


Intervento svolto in occasione del Forum organizzato da Le passioni della sinistra su "Scuola, Università, Ricerca, il sistema della precarietà" (Molfetta, 12 Novembre 2004)

gennaio - aprile 2005