Il compito
arduo assegnatomi di elaborare una relazione introduttiva su una tematica
così ampia e complessa quale l'individuazione dei nessi che legano
il processo di decretazione della Legge Quadro 53 del 28 marzo 2003,
che va sotto il nome di "riforma Moratti", e le prospettive
di ulteriore precarizzazione strutturale nella scuola mi obbliga a procedere,
più che secondo una logica di ordinata disamina analitica, per
traiettorie trasversali funzionali all'enucleazione del carattere politico
degli obiettivi strategici operanti nel medio e nel lungo periodo dell'iniziativa
attualmente perseguita dalla compagine del MIUR e dell'esecutivo in
carica.
Sciopero,
diacronie, ritardi. Prove di dialogo tra sordi
Ci troviamo, in questo anno solare, a conclusione di un secondo importante
ciclo di lotta che ha visto ricercatori, borsisti, precari a vario titolo,
insieme a studenti e più raramente ai relativi senati accademici
(isolata e contraddittoria l'esperienza di sospensione delle attività
dell'università della Basilicata). Sono emerse differenze all'interno
dei 75 atenei italiani, dove non sono stati superati livelli di generica
critica al processo di ulteriore aziendalizzazione degli atenei promossa
dal MIUR, che colpisce con pesanti decurtazioni dei capitoli di spesa
l'idea stessa di ricerca "pubblica" e "disinteressata".
Ma ancora una volta non si sono verificate le condizioni di una saldatura
necessaria tra le lotte in corso tra segmenti diversi del sistema formativo.
La tenace resistenza di diverse centinaia di collegi docenti delle scuole
dell'infanzia, della scuola primaria, delle medie, contro l'imposizione
della funzione tutoriale in chiave meritocratica e gerarchizzante; contro
lo scippo del tempo pieno e prolungato; contro il taglio delle ore d'insegnamento
e delle cattedre, non ha ancora trovato l'indispensabile momento di
saldatura né con i docenti, con gli ATA (pers. Amministrativo,
Tecnico, Ausiliario) della secondaria superiore, né tantomeno
con studenti e lavoratori dell'Università.
Nonostante i reiterati appelli/stampa dei COBAS, le OO.SS. confederali,
sdegnosamente ignare della forte richiesta di unità dal basso
che proviene da tutte le assemblee provinciali delle lavoratrici e dei
lavoratori della scuola, nonché dalla straordinaria rete dei
coordinamenti dei genitori che da oltre un anno si battono per la difesa
del tempo pieno e prolungato e quindi di un pezzo importante dello stato
sociale, preferiscono che si vada a due cortei diversi, nello stesso
giorno, nelle stesse ore, nella stessa città, rifiutando qualsiasi
ipotesi di confronto con i COBAS e con i sindacati di base.
La capacità soggettiva materiale di distinguere le ragioni dei
precari e degli studenti delle università da quelle dei "baroni"
è evidentemente oggi ad uno stadio ancora larvale, in assenza
di una rigorosa critica di classe, dispiegata sul piano della struttura,
dei ruoli, delle funzioni di potere; delle forme interne di riproduzione
del baronato e dei privilegi corporativi che legano la gestione degli
atenei agli interessi della finanza, delle imprese, dei partiti, così
come delle case editrici, della sanità, della magistratura.
Tra medioevo, illusioni nepotistiche/ clientelari e postfordismo, la
soggettività precaria a servizio della catena di produzione universitaria
gestisce tra il 50 ed il 60% delle attività accademiche, piegata
su se stessa , ma schiacciata dal decisionismo univoco del MIUR, finisce
per soccombere alla potenza dei conflitti tra lobbies e non riesce a
trovare autonoma modalità di proposta, impedendo per questa via
prospettive di saldatura ed alleanze a breve.
La destra
e la sinistra della pianta comune del valore di scambio della conoscenza.
E' urgente leggere criticamente il paradigma istituzionalmente ufficializzato
di "società cognitiva" e di superare l'asfittica visione
settoriale del sistema di produzione e riproduzione dei saperi (dalla
"materna" all'università, all'arcipelago della formazione
nelle sue varie forme e declinazioni). All'uso smodato di percorsi decisionali
e normativi "blindati" da parte dell'esecutivo nell'imporre
eversivamente stravolgimenti liberisti (uso a mo' di clava della legge
delega) si contrappone la pressione dal basso di docenti precari, genitori,
studenti, ATA, formatori, lavoratrici e lavoratori che producono "conoscenza",
ricercatori che separatamente conducono lotte a volte anche disperate,
ma per lo più parziali negli obiettivi e prive di sbocchi ricompositivi.
Il nesso tra la precarizzazione/flessibilizzazione della forza lavoro
intellettuale e le "riforme" dell'universo normativo che regolamenta
l'intero mercato del lavoro si è prodotto nel corso dell'ultimo
decennio, nel nostro paese, per linee di accelerazione progressiva.
Chi non ha cattiva memoria ricorderà che la prima bozza di "riforma"
di Luigi Berlinguer recitava nell'intestazione "come da accordo
Treu" (l'allora ministro del lavoro del governo Prodi). Il "pacchetto"
portava a 17 le tipologie contrattuali di lavoro e contestualmente prevedeva
la famigerata "autonomia scolastica".
Concomitante arnese dialettico dei governi di centro-sinistra della
seconda metà degli anni 90 erano i cosiddetti "decreti Bassanini",
che sul piano inclinato del decentramento amministrativo ci regalavano,
accanto all'"autonomia scolastica", il frutto avvelenato del
"dirigente manager", conduttore ed apprendista stregone d'impresa
cognitiva in competizione con altri carrozzoni in rodaggio.
Frecce
e traiettorie della signora Moratti (da Machiavelli a Hobbes)
La Legge 53 del 28 marzo 2003 ("Legge delega per la definizione
delle norme generali sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale";
la c.d. "riforma Moratti"), in 7 articoli ed attraverso un
percorso biennale di decretazione attuativa realizzato a colpi di maggioranza
parlamentare, è coerente nell'abolire il principio costituzionale
dell'obbligo scolastico; nell'abrogare in calce la L. 30 del 2000 (riforma
Berlinguer degli ordinamenti scolastici, di cui conserva sostanza, riferimenti
e "passerelle" tra sistema d'istruzione e formazione) e la
L. 9 del '99 (prolungamento dell'obbligo a 15 anni). Altrettanta coerenza
caratterizza altri aspetti della stessa legge: il salvaguardare e valorizzare
la L. 62 del 2000 - la c.d. legge della "parità scolastica",
capostipite della decuplicazione di iscritti e risorse alle scuole private
e della clericalizzazione (che consente tra l'altro alle private di
essere parte del sistema nazionale d'istruzione con il 25% di docenti
"volontari"...); il DPR 275 del '99 (Regolamento dell'autonomia
scolastica); la L. 144 del '99 (obbligo formativo nel sistema di formazione/apprendistato
fino a 18 anni di età) e tutte le norme compatibili con i processi
di "razionalizzazione" (leggi "tagli") della rete
scolastica, dell'uso delle risorse, degli insegnamenti, degli organici,
delle esternalizzazioni del personale ATA.
Non è possibile comprendere la portata della L. 53 senza considerare
il suo rapporto con la L. 30 del ministro Maroni (la c.d. "riforma
del lavoro Biagi") e con gli effetti rivisitati della proposta
Bossi della L. costituzionale n° 3 del Nov. 2001 (riscrittura del
Titolo V della Costituzione), che attribuisce ulteriori poteri alle
regioni in materia di istruzione, polizia, sanità.
Molti detrattori della "riforma Moratti", appartenenti all'area
politica e sindacale di centro-sinistra, sono soliti denunciare la cronica
mancanza di risorse finanziarie come "limite" alle possibilità
di attuazione dei vari aspetti della "riforma" (difficoltà
di garantire il diritto all'iscrizione anticipata dei bambini alla scuola
dell'infanzia ed alla primaria; difficoltà di incremento delle
dotazioni tecnologiche/informatiche e laboratoriali; di garantire l'intensificazione
dei corsi di apprendimento delle lingue comunitarie; di attuare l'alternanza
scuola-lavoro ed adeguati processi di riqualificazione e formazione
docenti, etc.), deplorando le politiche dei tagli in finanziaria, il
blocco del turn-over come fonte di finanziamento della riforma e degli
aumenti contrattuali, lo smantellamento del welfare-state e della carta
costituzionale.
In realtà questi soggetti, spesso affetti da politicismo cronico,
dimenticano che l'operato di sei anni del centro-sinistra, nel nome
dell'adesione al patto di Maastricht e delle compatibilità con
i parametri di controllo e sovradeterminazione nazionale, ha falcidiato
personale e risorse della scuola pubblica per riequilibrare la spesa
corrente; dimenticano, questi signori, che i loro governi amici hanno
appaltato e fatto costruire vere e proprie autostrade neoliberiste,
su cui la compagine berlusconiana di centro-destra sta facendo sfrecciare
i suoi poderosi prototipi antidemocratici e fascistoidi.
Dai
saperi della camorra alla camorra dei saperi
La gestione di un processo di omogeneizzazione sostanziale di un sistema
integrato in cui interagiscono organicamente le forme organizzative
e le "filiere" di produzione dei saperi; la ristrutturazione
complessiva delle regole e delle dinamiche del mercato del lavoro; l'affermazione
dell'egemonia culturale e dell'orizzonte "teleologico" del
primato dell'impresa, implica la supervisione costante dell'agire immateriale
degli standards di qualità da perseguire nel sistema educativo
di istruzione e formazione. Costituiscono una duplice forza strutturante
le attività di monitoraggio e valutazione dell'Invalsi (Ist.
Naz. per la Valutazione del Sistema di Istruzione: vero "occhio
di dio" del controllo e della sovradeterminazione europea e dell'Ocse)
e banalizzazione linguistica, che orienta prassi del quotidiano e comportamenti
a valle di una pioggia di neologismi d'importazione.
Sussidiarietà del privato nelle nuove funzioni dello stato; precarizzazione,
espulsione, disciplinamento, esternalizzazioni della forza lavoro intellettuale
e dei servizi; produzione di valore a mezzo di produzione di merce/linguaggio,
sono ben altro che non semplice capacità di razionalizzazione
equilibrata della spesa pubblica!
La "riforma Moratti" rappresenta un tentativo organico di
superamento radicale delle precedenti e consolidate modalità
di gestione della crisi fiscale e di struttura dei comparti scuola,
formazione, università, puntando ad agire - verticalmente e surrettiziamente
al contempo - da subito come strumento attivo per la rideterminazione
complessiva del mercato del lavoro e della dotazione qualitativa della
composizione sociale di classe.
La gestione del "portfolio delle competenze" come carta personalizzata
di accesso al mare magnum della domanda e dell'offerta di lavoro sui
mercati europei; il "marchio di fabbrica" della certificazione
dei titoli, dei percorsi, del grado di prestigio degli istituti e delle
esperienze di stage effettuate, retroagiranno in maniera decisiva sulle
dinamiche di costruzione della coscienza individuale e collettiva, facendo
della molteplicità non una moltitudine, ma altrettante occasioni
di specifica potenzialità di messa a valore di ogni relazione
alienata tra soggettività e cultura.
La L. 53 interpreta in tal senso uno sfacciato progetto autoritario
che ha origine in un patto neo-corporativo, addirittura clerical/reazionario
e di stampo aziendalista. Il cemento del patto consiste in una miscela
di familismo amorale e di venature di anticosmopolitismo programmatico
(vedi art. 1, c. 1 della legge, finalizzata alla valorizzazione soggettiva
nel rispetto "delle differenze e dell'identità di ciascuno
e delle scelte educative della famiglia, nel quadro della cooperazione
tra scuola e genitori" v. associazioni riconosciute -; oppure
art. 1 c. 3, lett. c: che esplicita le finalità ed il sostegno
allo "sviluppo delle tecnologie multimediali ...al fine di incoraggiare
e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti";
vedi art. 2, che promuove "inserimento nella vita sociale e
nel mondo del lavoro" sottolineando la dimensione "locale"
e la "appartenenza alla comunità locale"; nonché
"il conseguimento di una formazione spirituale e morale anche
ispirata ai principi della Costituzione"...).
La L. 53 incarna non solo il progetto, ma la strategia empirica di costruzione
materiale di quei nuovi soggetti compatibili che il capitalismo ha sempre
agognato, perché soggetti "senza memoria"del conflitto
ed allenati alla logica della flessibilità e della precarietà
come nuovo "darwinismo"; della competizione permanente, che
fa percepire e leggere il mondo , la sfera delle relazioni con gli altri,
l'uso della scienza e dei saperi, nella chiave riduttiva e miserabile
delle possibilità di valorizzazione "glocale" a fini
di profitto.
Dalla
solidarietà di classe alla classificazione territoriale. Padroni
e Padrini della coscienza
La prospettiva della separazione tra il sistema degli otto licei ed
il sistema regionalizzato di durata quadriennale dell'istruzione e della
formazione professionale - che prelude non soltanto ad una sostanziale
preclusione degli accessi agli studi universitari ai 2/3 degli studenti
italiani e ad un irrigidimento brutalmente classista delle opportunità
capace di approfondire ulteriormente le già esistenti differenze
sociali oggi malcelate con ipocrisia ideologica, realizzando "profili
educativi, culturali e professionali, ai quali conseguono titoli e qualifiche
professionali di differente livello" (art. 2, c. 1, lett. h),
ma che punta esplicitamente ad ingrossare le fila dei "clienti"
delle scuole locali di apprendistato e formazione, in mano alle associazioni
imprenditoriali, clericali, sindacali.
Forse il più preoccupante degli articoli della "L. Moratti"
è per questo l'art. 4, quello della cosiddetta "alternanza
scuola-lavoro".
Qui il rapporto con l'impresa diventa esclusivo e totalizzante, perché
si sancisce il ruolo attivo dell'istituzione scolastica autonoma in
ruolo subordinato e ruffiano, per far spendere ai ragazzi di 15 anni
l'intero percorso di alternanza studio/lavoro in tirocini "che
non costituiscono rapporto individuale di lavoro". Chi ha mai sentito
parlare di caporalato negli stages? Chi - e perché - sarà
in grado di vigilare sulla differenza e sul salto di limite tra lavoro
immediato erogato gratuituitamente e lavoro simulato?
Le scuole vengono incoraggiate a collegarsi al sistema della formazione
regionale per esplicare "corsi integrati che prevedano piani
di studio progettati d'intesa tra i due sistemi,... con il concorso
degli operatori di ambedue i sistemi".
Le imprese, finalmente riconosciute a tutti gli effetti come "luogo
formativo", non solo prestano modalità e criteri di certificazione
e tutoraggio e ricevono "incentivi", ma si trasformano anche
in una sorta di Re Mida per il "docente incaricato dei rapporti
con le imprese e del monitoraggio degli allievi", perché
ne guadagnerà in soldi e carriera (art. 4 c. 2). Il territorio
torna ad essere per questa via il concreto e diafano crocicchio amorale
dove va fatta rispettare la legge del più forte, in perfetta
corrispondenza tra gli amorosi sensi di identità lobbistico-mafiosa,
consorterie politico-sindacali, portaborse, burocrati e sottobosco di
lecchini, dove il capo potrà chiamare a lavorare per lui chi
gli pare, anche grazie alla possibilità di chiamata nominale.
Dispiace molto - e comunque fa riflettere molto - che la Regione Basilicata
si stia avvalendo da un anno di una Legge (L. Reg. 11 Dic. 2003 n°
33) di riordino del Sistema Formativo Integrato, pur vantando un'illuminata
compagine governativa di centro-sinistra. Ed addirittura un assessore
al lavoro, cultura, formazione, del PRC. Dispiace e fa riflettere perché
alla fine di tante chiacchiere non solo quegli amministratori regionali
non hanno contrastato i processi in atto, ma li hanno addirittura anticipati,
in uno degli aspetti peggiori e/o più delicati.
L'unitarietà centralistica dei criteri e dell'attività
di monitoraggio e valutazione dell'occhio dell'Invalsi serve a dare
livida legittimazione agli eserciti di bari ed avventurieri, che da
mazzieri dell'idea di scuola pubblica della Costituzione si convertono
in padrini della conoscenza, avvoltoi gestori di un sistema che sciogliendo
l'ultima riserva del "diritto al lavoro e alla cittadinanza",
realizza l'inversione dei mezzi e dei fini, dove il sistema integrato
di istruzione e formazione non è più mezzo di realizzazione
di cittadinanza e di inveramento di diritti, ma esso stesso è
al contempo mezzo e fine in quanto riproduttore di profitti.
E' certo che "indietro" da qui non si torna (non solo perché
ce lo dicono spesso per rassicurarci i vari buonsensisti Rutelli
o Fassino o D'Alema, che già ci preparano saggiamente all'idea
di continuare sulla strada della sig.ra Moratti per non rischiare di
cambiare nome ogni cinque anni alla stessa "riforma"), perché
il ruolo dell'università, della scuola, della formazione, degli
stessi enti locali, è oggi molto più legato ai destini
complessivi del rapporto valorizzante tra bisogni e lavoro, ancora una
volta tra valore d'uso e valore di scambio, dove stride la contraddizione
tra mercificazione della conoscenza e la possibilità di rendere
merce i consumatori di conoscenza.
Intervento
svolto in occasione del Forum organizzato da Le passioni della sinistra
su "Scuola, Università, Ricerca, il sistema della precarietà"
(Molfetta, 12 Novembre 2004)