Figure di precarietà: i lettori di lingua straniera
di Rosalind Innes
[Lettrice di Lingua Inglese, Università degli studi della Basilicata - Membro di ALLSI (Associazione Lettori di Lingua Stranieri in Italia)]

La tormentata storia di lotta giuridico/politica dei lettori di madre lingua negli atenei italiani comincia nel 1980 (si lavorava, in quel periodo, in forma precaria con contratti annuali rinnovabili per un massimo di 5 anni) e continua tutt’oggi nonostante i vari interventi della Corte di Giustizia Europea, che ha imposto per i docenti stranieri in Italia contratti a tempo indeterminato e – insieme al parlamento europeo – sollecitato più volte, ma finora senza esito, il rispetto dei i diritti acquisiti. Dato che una parte del problema risiede proprio nella mancata soluzione nazionale (in contrasto con altre categorie universitarie e anche precedentemente alla normalizzazione complessiva dei processi di differenziazione e flessibilizzazione del cognitariato i lettori in Italia sono sempre stati costretti a cercare soluzioni individuali), è praticamente impossibile raccontare una versione lineare e “uguale per tutti” di questa vicenda. Sentenze radicalmente diverse sono state emesse dai giudici relativamente ai singoli atenei per cause simili riguardanti la cosiddetta “giusta retribuzione”, non soltanto provocando differenze notevoli di salario e di condizioni di lavoro per le stesse mansioni, ma anche differenti strategie di difesa da parte dei lettori. Perciò, anche se la ricostruzione dei fatti che segue cerca di individuare per grandi linee percorsi condivisi, riflette inevitabilmente l’esperienza dei lettori dell’Università degli Studi della Basilicata.

Storia Giuridica
1988: Corte di Giustizia Europea (33/88): trova Art. 28 del DPR 382 in contrasto con Art. 48 del Trattato di Roma … I lettori continuano ad avere contratti annuali.

1993: Corte di Giustizia Europea (C-259/91, C-331/91, C-332/92): contratti annuali dichiarati illegali. I lettori devono avere contratti a tempo indeterminato. Questa sentenza storica ha generato grande confusione nelle università italiane. I contratti annuali non sono stati rinnovati; sono stati emanati molti decreti legge in rapida successione che stabilivano concorsi vari per fare accedere a posti di lavoro già esistenti. Molti lettori sono stati licenziati e reinseriti dopo cause legali; altri hanno lavorato senza contratto con accordi provvisori. I lettori credevano ancora nel mitico “contratto nazionale” all’orizzonte…

1995: Costituzione della figura del Collaboratore ed Esperto Linguistico (CEL) L. 236/95. Art. 51 inserito nel profilo normativo ed economico del personale tecnico-amministrativo.

1996: CCNL contratto nazionale per i CEL, con conseguente pesante dequalificazione e dimensionamento della figura del Lettore.

2001: Corte di Giustizia Europea (C-212/99): condanna la Repubblica Italiana per non aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti ai lettori di lingua straniera, affermando che “quando un lettore di lingua straniera, cittadino di uno stato membro, che è stato assunto con un contratto di lavoro a tempo determinato, beneficia della trasformazione di tale contratto in un contratto a tempo indeterminato del pari disciplinato dal diritto privato, le autorità italiane devono assicurarsi che gli siano riconosciuti tutti i suoi diritti quesiti fin dalla data della sua prima assunzione, a pena di incorrere in una discriminazione fondata sulla cittadinanza incompatibile con l’art. 48 del Trattato”

2004: Il 14 Gennaio il Governo Italiano adotta il decreto n. 2 (vedi sotto) con il quale i diritti degli ex-lettori sono stati equiparati a quelli della categoria nazionale dei ricercatori a tempo definito.
2004: Il 4 Febbraio la Commissione Europea chiede alla Corte di Giustizia di imporre delle sanzioni all’Italia, ritenendo che il decreto italiano non applichi pienamente la sentenza della Corte e chiede la fissazione di una sanzione giornaliera pari a 309.750E da pagare fino a quando non venga approvato un decreto che applichi pienamente la sentenza della Corte.

Quella che segue è una parte della diffida di questa legge, che spiega molto chiaramente la posizione dei lettori dell’ALLSI. in questo momento.

Premesso

che con decreto legge 14 gennaio 2004 n. 2, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 11 del 15 gennaio 2004, è stata disposta l’attribuzione - ai collaboratori ed esperti linguistici, ex lettori di madrelingua straniera delle (sole) Università degli Studi della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, de La Sapienza di Roma e dell’Istituto Orientale di Napoli, già destinatari (rectius: titolari) di contratti ex art. 28 D.P.R. n. 328/1980 - di un trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli;
che tale equiparazione è stata espressamente disposta solo ai fini economici con esclusione dell’esercizio di “qualsiasi funzione docente” e che l’onere previsto in Euro 10.000.000 è stato posto a carico del fondo ordinario di dotazione delle Università, senza alcun ulteriore aggravio per il bilancio dello Stato;
che con nota 4 febbraio 2004 la Commissione europea ha comunicato di adire nuovamente la Corte di Giustizia per la determinazione della sanzione di euro 309.750 da infliggere allo Stato italiano per ogni giorno di ritardo nell’adempimento della predetta sentenza;
che nonostante questo il Parlamento italiano ha egualmente approvato la legge 5 marzo 2004, n. 63, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 60 del 12 marzo 2004, conversione in legge del predetto decreto legge n. 2/2004 senza modificazioni, salva la specificazione che l’impegno pieno dei collaboratori ed esperti linguistici “corrisponde a 500 ore”);
che contestualmente il Parlamento ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il Governo ad una più ampia indagine per definire la posizione dei lettori anche nelle altre Università italiane. Tale impegno non ha finora avuto seguito;

osservato

che la disciplina introdotta dalla menzionata legislazione non è affatto sufficiente né adeguata per dare piena esecuzione alla sentenza della Corte di Giustizia del 26.6.2001 ed, anzi, a sua volta non è conforme al diritto comunitario in specie violando il divieto di discriminazione (art. 48 Trattato CE; art. 1 e 7 Regolamento CE n. 1087/68) e non attuando i principi stabiliti dalla stessa Corte di Giustizia, oltre che nella citata sentenza di condanna, già in precedenti sentenze del 30 maggio 1989, del 2 agosto 1993 e del 20 novembre 1997, riguardanti la posizione dei lettori di madrelingua straniera, per i seguenti essenziali motivi:

1) la nuova legislazione concerne soltanto i lettori di sei Università e non tutti gli altri che svolgono identici compiti, con evidente discriminazione e disparità di trattamento del tutto ingiustificata, tanto da rappresentare una palese violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione italiana;
2) il parametro retributivo previsto è in sé discriminatorio e contraddittorio, perché nonostante il riferimento espresso alle esigenze di proporzionalità della retribuzione rispetto alle ore di attività didattica svolte, si riferisce al trattamento economico dei ricercatori confermati a tempo definito, il cui impegno didattico massimo è di 200 ore annue, mentre per i lettori tale impegno è fissato dalla stessa legge in 500 ore annue: vale a dire in una misura ben superiore rispetto a quella prevista per qualsiasi altro personale insegnante delle Università italiane, visto che i ricercatori confermati e gli assistenti a tempo pieno sono tenuti ad un impegno didattico massimo di 350 ore annue ed i professori associati (sia a tempo pieno, che a tempo definito) ad un impegno didattico massimo di 250 ore annue. Palese è quindi la violazione dei principi di ragionevolezza, proporzione ed adeguatezza della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro svolto, di cui all’art. 36 Costituzione;
3) in ogni caso nella legislazione italiana il regime a tempo definito è riconosciuto quale oggetto di una libera ed autonoma scelta del docente, che si configura come suo “diritto soggettivo”, modificabile ogni due anni e basato sulla sua esplicita richiesta, comportando – a compensazione del trattamento economico inferiore rispetto a quello comune del regime a tempo pieno, che costituisce la regola – i vantaggi di un ben minore carico didattico e la facoltà di svolgere liberamente ulteriori attività lavorative e professionali all’esterno dell’Università. L’imposizione invece “per legge” del regime a tempo definito, senza alcuna possibilità di scelta personale, all’intera e sola categoria dei lavoratori di madrelingua straniera dell’Università costituisce palese discriminazione basata sulla nazionalità, che aggrava addirittura quella già contestata e in atto;
4) arbitraria ed illegittima è l’“esclusione” dall’esercizio di qualsiasi funzione docente.
a. Da un lato tale esclusione è arbitraria, contraddicendo la circostanza di fatto pacifica, che i lettori hanno svolto e svolgono attività didattica di insegnamento della lingua straniera, ricevimento di studenti, svolgimento ed assistenza agli esami, correzione di compiti, ecc., come accertato non solo da un imponente numero di sentenze dei Giudici del Lavoro e confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, ma anche dalla recente circolare del Ministero degli Affari Esteri Italiano in data 4 novembre 2003, che pur si duole perché l’affidamento di tali compiti di insegnamento ai lettori sarebbe in contrasto con la legislazione italiana vigente.
b. D’altro lato tale esclusione è illegittima e discriminatoria, perché viola i diritti acquisiti dei lettori, già assunti ai sensi dell’art. 28 D.P.R. 382/1980, che li collocava fra i “professori a contratto” e riguardava espressamente la “docenza universitaria”, diritti che devono essere garantiti anche nel caso di passaggio al nuovo inquadramento dei “collaboratori ed esperti linguistici” di cui all’art. 4 legge n. 236/1995.
c. E’ in ogni caso discriminatorio non applicare, ai soli lettori, il principio generale del diritto alla conservazione della qualifica e delle mansioni superiori assegnate od acquisite nel corso dell’intero rapporto di lavoro, stabilito dall’art. 2103 codice civile, come statuito dalla giurisprudenza del lavoro, che ha condannato l’Università al risarcimento dei danni per la “dequalificazione professionale” cagionata a lettori cui siano stati tolti i compiti di docenza più qualificanti da essi precedentemente curati (Trib. Trieste 10 marzo 2003, n. 2/03), avendo i lettori diritto a proseguire nell’unitario rapporto, trasformatosi a tempo indeterminato ex artt. 1 e 2 legge n. 230/62, con detta qualifica e dette mansioni, in particolare continuando a far parte del personale docente, ed a venir trattati in conformità, non solo ai fini economici, ma anche per ogni altro diritto (elettorato attivo e passivo negli organi accademici; continuità didattica fino al termine dell’anno accademico in caso di raggiungimento dei limiti di età, ecc.).
d. L’esclusione è oltretutto intrinsecamente contraddittoria rispetto al riconoscimento, contenuto nella stessa legge n. 63/2004, del parametro retributivo del ricercatore confermato, nonché rispetto alla specificazione che “l’impegno orario” annuo, cui la norma si riferisce quale criterio di proporzionalità della retribuzione, è commisurato proprio alle ore di impegno didattico;
e. Infine l’esclusione perentoria e generale da ogni funzione docente è in palese contrasto con i principi stabiliti dalla stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee con la sentenza 20 novembre 1997 (causa C90/96, ricorrente Petrie ed altri), secondo cui i lettori universitari, pur essendo distinti per ruolo e funzioni di insegnamento da quelli propri dei professori associati e dei ricercatori confermati, non possono essere esclusi dall’accesso alle stesse supplenze universitarie, vale a dire dalla titolarità di corsi ufficiali di insegnamento, in quanto tale accesso sia riconosciuto ad altre categorie del personale universitario, quali gli assistenti ordinari del ruolo ad esaurimento, i ricercatori non confermati, i tecnici laureati che abbiano svolto attività didattiche per almeno tre anni per incarico delle Facoltà. E la giurisprudenza amministrativa ha già per questo annullato i bandi di supplenza ed i provvedimenti degli organi accademici che hanno escluso i lettori dalla partecipazione alle relative procedure (TAR Veneto 1, n. 2180 gennaio 1999, n. 456; Id., 26 marzo 2003, n. 2180);

rilevato

che come espresso in precedenti atti di diffida, nonché in innumerevoli richieste stragiudiziali e domande svolte in sede giudiziaria, i cui processi sono in gran parte tuttora in corso, i lettori di tutte le Università italiane hanno richiesto e richiedono l’integrale ricostruzione della loro carriera fin dalla data della prima assunzione, previo riconoscimento dell’unicità del rapporto di lavoro e l’adeguamento del trattamento retributivo quantomeno secondo il parametro del ricercatore confermato a tempo pieno, con attribuzione della corrispondente progressione di classi stipendiali e scatti di anzianità, nonché ogni altra indennità e voce correlata fino alla data odierna e comunque fino alla cessazione del rapporto, oltre l’espresso e definitivo riconoscimento del loro inquadramento nell’ambito del personale docente dell’Università;
che del tutto inadeguata è invece la disciplina economica e contrattuale introdotta dalla legge n. 236/1995 e dalla successiva contrattazione collettiva, oltre che – nei limiti predetti – dalla legge n. 63/2004.

Ci sono tante domande che emergono dalla lettura di questa storia. Una della più importanti per gli studenti italiani consiste nel comprendere perché e con quale diritto/responsabilità è stato cosi a lungo sottovalutato, trascurato e offeso l’insegnamento delle lingue straniere nelle università. Quali sono gli effetti sull’insegnamento delle lingue nelle scuole e nella società di questa scelta? C’e un legame diretto fra la mancanza di serenità/serietà in questo campo con la pessima performance degli italiani per quanto riguarda le lingue straniere? (v. rapporti P.I.S.A. dell’Ocse).
Inizialmente la vicenda dei lettori si è inserita in un contesto che, privilegiando fortemente l’insegnamento delle letterature straniere, accreditava poca importanza all’insegnamento delle lingue che poteva essere pertanto affidato a stranieri sottopagati e discriminati. In questo scambio ineguale si sottovalutava la circostanza che i lettori sono formati presso i dipartimenti di linguistica applicata in paesi dove l’insegnamento delle lingue straniere ha un grande importanza; si ponevano quindi le basi per il mancato riconoscimento del valore aggiunto.
Adesso nell’Eurolandia delle competenze, dei crediti e dei clienti, del 3+2 e delle Y, la conoscenza delle lingue straniere è diventata indispensabile e quindi un possibile appetibile feudo/ “cattedra” da occupare, lasciando il lavoro di insegnamento nelle mani di dequalificati, sottopagati, discriminati stranieri e contrattisti vari. Se le liti in facoltà vertono ormai su quanti crediti vale un certo numero di ore di “docenza” di questa o quella materia (con proporzioni risibili assegnate alle “esercitazioni”, come con un eufemismo è chiamato l’“insegnamento” di lingua straniera), quale messaggio viene veicolato agli studenti circa l’importanza della conoscenza delle lingue? Quale risultato reale verrà garantito al termine di corsi così svalutati?

Data l’attenzione rivolta alle questioni del precariato nelle università italiane, è opportuna una considerazione sulla relazione fra l’esperienza dei lettori e lo sviluppo di questo fenomeno. Molti lettori hanno vissuto con grande rammarico e quasi incredulità lo straordinario accanimento da parte delle università italiane contro di loro, visto come una inspiegabile (ma quanto costante e coerente!) ostilità nei loro confronti. In fondo sarebbe stato così facile ed indolore convertire i contratti annuali in contratti a tempo indeterminato, cosi come sancito dalla Corte di Giustizia e suggerito da una mentalità “comune” europea di diritti (elementari) universali e trasparenti. Invece no. Ci siamo chiesti perché.
Una risposta, spontanea ed immediata, rafforzata dall’esperienza quotidiana, risiede nella consapevolezza che l’università italiana non è abituata a muoversi in termini di diritti universali e trasparenza. Il potere baronale, in tutta la sua microfisica, se contestato diventa vendicativo ed asfissiante. Da stranieri eravamo estranei alle regole non scritte, informali, ma ben precise nei loro meccanismi di funzionamento, per quanto informali.
Un’altra risposta, forse sottovalutata nel 1995, riguarda la faccia tecnocratica e modernizzante, ma meno visibile, dello stesso potere. L’obiettivo non eravamo noi lettori in quanto stranieri, ma in quanto “precari” e per di più precari che si sono (molto insolitamente) ribellati e hanno anche vinto in sede europea e che quindi rappresentavano un pericoloso precedente per il massiccio programma di dequalificazione e precarizzazione del “lavoro intellettuale” previsto per gli atenei italiani da parte dei confezionatori dei vari “pacchetti Treu” e successive modifiche. La battuta che circolava fra noi in quel momento – “siamo gli ultimi dei garantiti o i primi dei postfordisti nelle università italiane”? – era precisa, ma la risposta era già scritta e certo non riguardava solo noi.

Purtroppo, quindi, temo che questa storia non finisca con noi (rimanendo una delle tante parentesi da italietta non proprio politically correct, un po’ alla Prof. Buttiglione in Europa), ma ritengo che sia emblematica di una strategia molto più grande, alla quale le nostre due risposte precedenti fanno riferimento: perseguire il connubio fra il peggio della vecchia baronia e il peggio del neo liberismo a costo zero (senza che ci siano le necessarie premesse culturali e/o le infrastrutture materiali), per guidare il processo delle trasformazioni epocali in atto nelle università e nel sistema di istruzione e formazione complessivo in questo paese.

gennaio - aprile 2005