Dal logospotere alla politica
di Ruggero Gorgoglione

Spesso la Politica è confusa in una serie di significazioni che pur facendo parte della dimensione politica, in qualche maniera se ne sottraggono. La tendenza che và per la maggiore è sicuramente quella di confondere la politica con la governabilità. La politica al contrario è qualcosa di più remoto e originario, qualcosa che ha a che fare con l’essere proprio dell’uomo, ossia con la capacità propriamente umana non solo di costruire sistemi di governo ma anche di discuterli. Anche questa definizione è tuttavia incompleta, in quanto la politica se così fosse sarebbe ridotta ad un antagonismo tra i governatori di oggi e quelli di domani, con una dialettica fra diversi sistemi di potere. Per quanto questo sia il sistema vigente nella pragmatica politica, non ne costituisce l’essenza. Infatti, la politica è primariamente discussione fondamentale, cioè la dimensione politica sorge ogni qual volta si discute in merito a qualcosa, ed è proprio da questa discussione che emergono nuove soluzioni, nuovi ordinamenti. Zoon Politicon è ancor oggi l’unico enunciato possibile sull’uomo. Siamo di fronte all’impossibilità di affermare qualcosa, ma nella possibilità di discutere su ogni cosa. Il sorgere della discussione lacera il sistema di Potere. Tutti i sistemi di Potere nel loro costituirsi, sentono la necessità di negare la discussione, ossia di fuggire dalla politica, ponendo istituzioni di controllo. L’opera e le ricerche filosofiche di Michel Foucault, descrivono il processo attraverso il quale si stabilisce il potere sulla vita, il Biopotere. Esso è frutto di uno sviluppo storico di sistemi, istituzioni, dottrine e figure creati al fine di garantire la sicurezza attraverso la sorveglianza1. Tuttavia, al Biopotere occorreva un altro processo per poter essere operativo; occorreva un controllo sulla forza centrifuga interna alla politica, ossia esercitare un potere sui discorsi. Con e attraverso Lyotard, si può vedere come sia l’ordinamento giuridico-istituzionale sia la scienza non possono sfuggire al criterio di legittimazione. Solo attraverso un effettivo potere sui discorsi, un Logospotere, la scienza può annunciare una verità incontestabile e il sistema giusto. Il tramite di questo processo è costituito dalla tecnologia, assunta come mezzo e come fine. Marx intravide per primo questo processo, all’interno dei Grundrisse:

“Nella sua combinazione questo lavoro si presenta al servizio di una volontà estranea e di una intelligenza estranea e ne è diretto – giacché ha la sua unità spirituale al di fuori di esso, tanto quanto nella sua unità materiale è subordinato all’unità oggettiva delle macchine, del capitale fisso, che come mostro animato oggettivizza il pensiero scientifico e ne è di fatto la sintesi e non è esso strumento a riferirsi al singolo operaio, ma è piuttosto l’operaio come singola puntualità animata, come isolato accessorio vivente, ad esistere in funzione sua”2
In questo frammento, scritto nel momento storico in cui si iniziano ad intravedere le possibilità della tecnologia, Marx coglie il nesso fondamentale tra Logospotere e Biopotere, e allo stesso tempo la possibilità che la scienza sia ridotta a feticcio e la dimensione politica annientata. La trasformazione produttiva della scienza inizia con la meccanizzazione per raggiungere il suo apice nella società informatizzata. Ciò che viene a sgretolarsi è l’autonomia politica del soggetto, non più ente votato alla comprensione, discussione, azione ma ridotto a risorsa sulla quale applicare svariate tecnologie. Siamo di fronte ad un’appropriazione della forza sociale in quadri strutturali, costituiti dai sindacati, dai partiti, dai professionisti; il progetto di Max Weber di limitare e controllare l’anarchia dell’operaio dequalificato, come delineato da De Feo passa attraverso la scienza:

“La scienza comprendente come strumento di analisi, organizzazione e direzione del movimento di espropriazione-appropiazione, di divisione e ricomposizione di lavoro sociale come organizzazione-appropiazione-centralizzazione dell’intelligenza sociale, che governa scientificamente la produzione e il comando di pluslavoro relativo.”3

La scienza, divenuta partecipazione e regolamentazione all’interno del lavoro sociale, assume oltre al carattere conoscitivo-metodologico anche un carattere realmente pratico-politico-sociale, che si manifesta come distruttivo. Allo stesso modo il Potere costituendosi nel sistema scientifico ne ottura l’apertura, ne frena la paralogia, interrompe il gioco. L’uomo come ente ne risulta gravemente dis-umanizzato, la cesura degli spazi di discussione (politica) e degli spazi interpretativi (scienza) ci porta a considerare il frammento di Marx, come una profezia sulla nostra epoca, con la piena realizzazione e il pieno potere di quella volontà estrema, di quella intelligenza esterna, muta e sorda. Potenza piena, completamente spersonalizzata, distruzione dell’uomo, riduzione a risorsa. Abbiamo già annunciato la morte della scienza, ed eccoci chiamati ad un’altro annuncio: la morte della politica!
Pulsione di morte, che aleggia nella nostra società e che non a caso ci richiama all’opera di Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte. Baudrillard con lucidità disincantata coglie la fine di un’epoca, quella della produzione, in cui il lavoro è forza viva, pluslavoro, determinazione socio-politica. A questa epoca segue una nuova epoca in cui, il lavoro è un segno fra gli altri:

“Il lavoro (anche sotto forma di tempo libero) invade tutta la vita come repressione fondamentale, come controllo, come occupazione permanente in tempi e luoghi regolati secondo un codice onnipresente. Bisogna sistemare la gente dappertutto, a scuola, in fabbrica, sulla spiaggia, davanti al televisore, o nel riciclaggio: mobilitazione generale permanente. Ma questo lavoro non è più produttivo nel senso originario: non è più che lo specchio della società, il suo immaginario, il suo principio fantastico di realtà. Pulsione di morte forse.”4

Si apre l’epoca della riproduzione dove “il macchinario collettivo riproduce la finalità sociale”. Opera di spersonalizzazione dei processi sociali, già intravista da Marx:
“L’uomo si colloca accanto al processo di produzione anziché esserne l’agente principale.”5
Il ruolo della scienza è determinante oltre che nell’aver contribuito all’ideazione e costruzione del macchinario, anche nell’aver ridotto il gioco linguistico a codice che si coniuga in svariate decodificazioni. Il codice binario, delirio di realtà virtuale che schianta e sussume il reale. Baudrillard a differenza di Lyotard, non vede una scienza come struttura aperta, paralogia, bensì metafisica univoca del codice.

“Allora? Convenzione o realtà oggettiva? La verità è che la scienza s’organizza come qualsiasi discorso, su una logica convenzionale, ma che esige per la sua giustificazione, come qualsiasi discorso ideologico, una referenza reale, oggettiva in un processo sostanziale... Così và la metafisica. La scienza rende conto delle cose preliminarmente scelte e formalizzate per obbedirle”6

Il codice, tecnica per il linguaggio, abbandona la sua funzione di mezzo per divenire finalità assoluta, il cui scopo è il riprodursi e lo sdoppiarsi, sussumendo la realtà. Riprendendo l’immagine di un film cult degli ultimi anni, l’umanità è una coltivazione di uomini7. Codice, come virus che annienta ogni dimensione, riducendola alla propria modellazione. Così nella politica irrompe lo schema binario della domanda/risposta dei test, dei sondaggi, che riducono l’intelligenza alla capacità di reazioni determinate a stimoli adeguati. Trionfo di Pavlov, annichilimento della politica:

“È tutta la sfera politica che perde la propria specificità quando entra nel gioco dei media e dei sondaggi, cioè della sfera del circuito integrato domanda/risposta... la pratica politica e la pratica economica si riuniranno sempre più in un medesimo tipo di discorso. Propaganda e pubblicità si fonderanno sul medesimo marketing e merchandising di oggetti o di idee forza. Questa convergenza di linguaggio tra l’economico e il politico è d’altronde ciò che contrassegna una società come la nostra dove l’economia politica è pienamente realizzata. Ma è allo stesso tempo la sua fine, poiché le due sfere si aboliscono in una realtà o iperrealtà completamente diversa, che è quella dei media”8.

Baudrillard sottintende come questa convergenza di linguaggi, che non è limitata al politico e all’economico ma a tutte le dimensioni del linguaggio, è potenzialità della scienza nella sua evoluzione tecnica che l’ha ridotta a “codice comprendente”.
Il dominio del codice, è l’assoluta realizzazione del Logospotere, dove Logos torna ad assume la triplice identificazione di parola, discorso, realtà. Tutto sotto dominio, controllato razionalizzato, nell’apogeo della “intelligenza astratta” annunciata da Marx. Internet, la “Rete”, si presenta come l’abbattimento delle frontiere, una navigazione senza movimento, seduto da casa in collegamento con il mondo. Fine dello spazio, un click e sei in Brasile, accesso al cyberspazio, velocità annientata nell’immediatezza, il tempo congedato nella tariffa. Effettivamente siamo in una rivoluzione senza precedenti, Aristotele aveva fondato una fisica, Newton l’aveva matematizzata, Einstein l’aveva relativizzata, ma nessuno di loro avrebbe mai immaginato l’annientamento della fisica. Non c’è una fine della fisica teorica, perché si sono individuati i processi primari, bensì perché con l’era digitale viene meno l’esistenza di una realtà fisica. Sono in molti a credere alla favoletta che Internet sia anche un’occasione, uno spazio per incontrarsi, per poter scambiare idee. Favola, perché la dinamica del codice è chiara ed esplicita: ogni messaggio è utile allo sdoppiamento e alla riproduzione, il contenuto è un mezzo, il codice è il fine. Il movimento No-Global, e la sua storia è un esempio lampante: fin quando si annida nel cyberspazio, non preoccupa nessuno, ha i suoi utenti che si scambiano idee, più o meno sovversive ma in fondo non danno fastidio a nessuno. Non appena il Movimento và in piazza diventa devastante, ma non perché rompe le vetrine (la distruzione e la ricostruzione è sempre un affare per il sistema), perché si parla di esso, diviene soggetto politico, c’è un riconoscimento, il Padrone è costretto al rapporto con il servo. Ritorno prepotente della politica, ogni discussione verteva su ciò che il movimento ha portato in piazza, ha reso fisico ciò che era una virtualità. Il Grande Fratello tremava e ha iniziato a lanciare le bombe. Dal punto di vista economico-politico, Internet corrisponde in pieno alla filosofia liberista; libera circolazione di messaggi, ossia pubblicità che attraversano quello che è il nostro cybercorpo attraverso l’imposizione sul nostro grande occhio, il terminale. La questione del liberismo è tutt’altro che marginale, in quanto il liberismo lungi dall’essere filosofia della libertà, è una strategia di Potere, la più subdola, come indica Foucault nella sua genealogia di questa arte di governo:

“La nuova arte governamentale consuma libertà, vale a dire che è costretta a produrla, è costretta ad organizzarla. La nuova rete di governo si presenterà perciò come gestione della libertà, non dell’imperativo “sii libero” con l’immediata contraddizione che questo può comportare. Non è il “sii libero che viene formulato dal liberalismo. Il liberalismo formula semplicemente questo: io produrrò di che farti essere libero”9

Il liberismo supera la sua contraddizione, di cercare la libertà e il suo controllo, nel cyberspazio, dove massima libertà e finalità coincidono con la riproduzione del codice. Il web dove tutto è possibile è la fine di tutte le possibilità. Sentiero di morte è allo stesso tempo negazione della morte. La morte come momento essenziale, come possibilità più propria dell’essere umano è anestetizzata nella dinamica della riproduzione. Ci si sorprende della morte, perché essa è ancora originale, irriducibile, non innescata nel processo di riproduzione.
“Al giorno d’oggi non è normale essere morti, e questo è un fatto nuovo. Essere morto è un’anomalia impensabile rispetto alla quale tutte le altre sono inoffensive. La morte è una delinquenza, una devianza incurabile”10

Baudrillard, descrive molto bene il rapporto che le varie società hanno intrattenuto con la morte, che lungi dall’essere celata, è costantemente presa in considerazione. Nessuno di noi si sognerebbe di brindare ricordando la morte come fa Ulisse nei confronti della regina Arete cosi benevola nei suoi confronti11. Tra i morti e vivi, in ogni società c’è sempre stato uno scambio costante che permetteva il riconoscimento delle due comunità distinte, quella dei vivi e quella dei morti. La negazione di queste distinzioni causa l’estinzione di entrambi i gruppi:

“Se la fabbrica non esiste più, è che il lavoro è ovunque, se la prigione non esiste più è che il sequestro e la reclusione sono ovunque... Se il cimitero non esiste più è che le città ne hanno assunto la funzione, sono città morte e città di morte. E se la grande metropoli operativa è la forma perfetta di un’intera cultura, allora la nostra è semplicemente una cultura di morte.”12

Fine delle comunità, interruzione dei reciproci scambi, siamo un’intera grande comunità: gli utenti, che anziché scambiare, sono scambiati nel codice. È opportuno riflettere su quello che l’uomo perde nella connessione. Innanzitutto il corpo e tutto ciò che esso comunica, in primis la teatralità; espressività originale che il codice in quanto significazione annichilisce, la sorpresa è possibile nell’espressione facciale in quanto differimento, non certo nell’espressione “Sono sorpreso”. Altro esempio di annichilimento nella connessione è la danza; appropriarsi dello spazio con il corpo e il suo movimento; il tango, seduzione per differimento, non certo la significazione della psicanalisi. La scienza ridotta a tecnica corre sempre ai ripari di possibili smagliature all’interno della rete:

“Tutta la storia attuale del corpo è quella della sua demarcazione, della rete di marchi e di segni che lo suddividono, lo sminuzzano, lo negano nella sua differenza e la sua ambivalenza radicale per organizzarlo in un materiale strutturale di scambio/segno.”13

Una scienza, che perde la sua natura paralogica per farsi tecnica di castrazione. La cupidigia della tecno-scienza è irrefrenabile, schianta la corporeità delle sue analisi, la danza è interdetta, delimitata in spazi chiusi, angusti, dominati dall’ordinarietà di ritmi e movimenti14. Su tutto domina il Logospotere, nel suo dominio sulla comunicazione che esclude la politica, la possibilità di criticare la sua pura comunicazione. Per potere reggere la comunicazione pura, il sistema deve annichilire il principio di responsabilità, proprio dell’atto politico. Pulsione di morte. Baudrillard, la morte come momento spiccatamente politico; negazione astratta che già Hegel estraniava dall’Aufhebung scatenando la risata di Bataille15. Derrida ci indica come “la risata” sorge nel mimo che il Signore fa della propria morte, in quanto per poter godere della propria signoria, conquistata con il rischio della morte, deve necessariamente sopravivere. Il Sistema nega anch’esso la considerazione alla morte, non la riesce a comprendere nel suo preservare ad ogni costo la vita al punto di vivere nella morte. La clonazione è l’ultimo anestetico, inventato dalla tecnoscienza, ed è curioso ed emblematico che sia stata realizzata da una setta che afferma di voler creare la vita eterna. Fanatismo e tecnoscienza un’incontro che fa ridere, della risata di Bataille, perché se la scienza incontra il fanatismo allora è una commedia del Potere. Riemerge la teatralità, ritorno dirompente della dimensione politica, perché se ridiamo del sistema ne siamo fuori, possiamo guardare la morte e sorriderle di rimando in modo da sentirci vivi. La risata come segno di vita, di differenza rispetto alle seriose significazioni del sistema. Diffidare della serietà dei politici, degli scienziati, dei legislatori, è l’inizio di una nuova pragmatica politica. La classe dei governanti, i burocrati della computer science, può essere destituita attraverso la nostra risata. In 1984, Orwell che è narratore-protagonista delle sue paure oppone al sapere assoluto dell’inquisitore, il suo sapere assoluto più umanistico, ma in quanto sapere assoluto è sempre chiuso nell’assolutezza, e alla fine ne resta dominato16. Perché in fondo Orwell percepisce la disfatta delle narrazioni moderne, ma è incapace di riderci su. Derrida, coglie in pieno il senso del ridere, o meglio il non-senso del ridere e lo fa decostruendo con e attraverso Bataille il sistema totalizzante per eccellenza: l’hegelismo.

“La macchia cieca dell’hegelismo intorno alla quale può organizzarsi la rappresentazione del senso, è quel punto in cui la distruzione, la soppressione, la morte, il sacrificio costituiscono un dispendio così irreversibile, una negatività tanto radicale che non è più possibile neppure determinarle come negatività in un processo o in un sistema.”17

Una serie di significanti cui il discorso non riesce ad estendere i propri significati. Un eccedenza nei confronti del Logospotere, una pratica politica che può ancora destabilizzare quest’ultimo. L’eccedenza di cui parla Derrida è il senza fondo su cui si fondano le grandi costruzioni assolute, contro cui azzardare una scrittura della sovranità, non intesa nella signoria che necessita di servi nella costruzione (o per dirla con Hegel nella sintetizzazione) di un senso, bensì discorso poetico estatico che si oscura nel non-senso al fine di evitare subordinazioni e inserimenti nel senso, ossia nella totalizzazione:

“L’immagine poetica non è subornata in quanto conduce dal noto all’ignoto”18

Mantenere il silenzio, come esperienza di differimento dalla onnipresenza della comunicazione. Il silenzio è “parola più perversa e poetica” dice Derrida, in quanto tacendo dice il non senso, ossia il dramma del senso, la sua commedia. Se dunque sono il riso, il silenzio, il pianto a rivelarci, il baratro a fondo del senso, e dunque a rivelarci l’estremo disagio di ogni filosofia, perché siamo qui a scrivere? Non è che anche la Filosofia nell’affrontare finalmente il baratro sulla quale si issa sia giunta alla fine della propria esperienza? Iniziamo a rispondere dalla seconda questione con un secco no, per un motivo abbastanza semplice la decostruzione è appena iniziata, ed essa segna un nuovo inizio per l’indagine filosofica non più costruzione di significati, bensì de-costruzione. Questo evento, è segno dei tempi, dettato dalla storia che sopratutto nel Novecento ci ha consegnato un fatto inequivocabile di cui solo negli ultimi anni abbiamo preso coscienza: la violenza delle significazioni totalizzanti. Tecno-scienza e liberismo (con tutto ciò che esso comporta) sono le ultime significazioni totalizzanti e la loro decostruzione è lungi dall’essere compiuta. La fine delle significazioni è un’occasione e può essere un grande evento per l’uomo in quanto lo restituisce alla sua dimensione più propria, la politica e tutti modi della discussione risorgono dalla morte che la significazione aveva loro attribuito. Ogni comunità che pone il silenzio alla domanda Che cos’è la verità?, risorgerà in quanto ha piena coscienza del baratro sul quale si erge la costruzione della risposta a questa domanda. Il baratro della negatività, del Male, della Morte, che il sistema tecnoscientifico cerca di anestetizzare nei suoi codici, nella sua rete, in un estremo delirio totalizzante. Rispondendo alla prima questione, se la nostra scrittura sia autorizzata, rispondiamo con Derrida:

“questa scrittura non produce necessariamente nuove unità concettuali. I suoi concetti non si distinguono necessariamente dai concetti classici attraverso segni caratteristici sotto forma di predicati essenziali, ma attraverso differenze qualitative di forza, di altezza ecc, che a loro volta sono qualificate solo per metafora19.”

La differenza tra Hegel e Derrida, ci aiuta bene a comprendere la rivoluzione che si compie: dopo aver letto La fenomenologia dello spirito potremmo anche smettere di leggere perché vi è spiegato tutto, d’altra parte lo stesso Hegel riteneva di aver sintetizzato tutto il sapere e la storia; al contrario dopo aver letto Derrida ci coglie una fame non solo di lettura, ma anche di una nuova prassi filosofica tesa al differimento, a fare di noi stessi, del nostro corpo, della nostra pratica una differenza.
La nostra contemporaneità si pone come tempo di un passaggio epocale in cui dalle nostre scelte dipenderà molto del futuro. Siamo ormai in pochi a poter ridere del Logospotere e del suo delirio, che si dimostra in questo momento irrefrenabile. Si prospetta una guerra sui generis, in cui da una parte ci sono i modelli della tecnoscenza armati di tutto punto, pronti a scatenare la loro violenza, dall’altra ci sono “gli altri” che dispongono del riso, del silenzio, del pianto incapaci di qualsiasi violenza. Il tutto si gioca sulla seduzione, se sia più seducente schiacciare “l’altro” sintomo che si è già schiacciati o se sia più seducente sorridere e vivere con l’altro. È questa la fase in cui c’è ancora la scelta; la vittoria della scienza-tecnica è la fine del mondo l’inizio dell’Apocalisse. La scienza e gli scienziati sentono più di ogni altro la scelta, in quanto sono ad un bivio, o la scienza come paralogia, come differenza, o scienza come tecno-scienza. Scelta difficile che comporterebbe la fine dei privilegi che il Potere elargisce alla scienza pur di servirsene per il proprio accrescimento.
Ciò che riemerge, nello spazio della differenza, sono le culture primitive, modi differenti di rapportarsi allo spazio. Risorgono le dimensioni religiose che hanno al centro del loro messaggio l’uomo, la filosofia nel far questo non deve aver paura di smarrirsi, delimitando se stessa come fa Heidegger quando afferma che un filosofo cristiano è come un ferro ligneo20. Si tratterà di una filosofia che differisce, in cui la Fede è un tratto fondamentale. Del resto, l’esperienza del baratro è molto presente nella cristianità, ed è proprio il baratro a scatenare lo scisma21.
La Filosofia, sopravvive sempre in quanto l’essere sul baratro dell’esistenza è la sua caratteristica fondamentale; questo porta ad avvertire le vibrazione del mondo, i segni dei tempi, ecco perché Marx, Derrida, Lyotard e altri riescono ad essere profeti. Un libro di filosofia è sempre profezia, in quanto sempre gettato nel futuro, è sempre progetto di intervento morale-politico che si configura oggi con una riconquista e un risorgimento della piazza come luogo di incontro. Incontro puro, non mediato dalla rete, dove si torna a recitare, a danzare, a discutere. Il riemergere della dimensione politica. Il voler dire qualcosa e l’aver qualcosa da dire. Praticare la resistenza dentro le facoltà di filosofia, attraverso pratiche di differimento, dalla violenza di un codice che fa dello studente un flusso di crediti. Non aver paura della propria differenza, ma praticarla con nuove iscrizioni:

“Bisogna discendere, lavorare, chinarsi per incidere e portare la nuova Tavola nelle valli, leggerla e farla leggere. La scrittura è l’esito come discesa fuori di sé in se del senso: metafora-per-altri-ad-uso-di-altri-qua-giù, metafora come possibilità di altri quaggiù, metafora come metafisica dove l’essere deve nascondersi se si vuole che l’altro si manifesti. Scavo nell’altro verso l’altro dove lo stesso cerca la sua vena e l’oro vero del suo fenomeno.”22


1 M. Foucault, Biopolitica e Liberalismo, Milano 2001
2 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Vol II, Firenze 1997, p. 93
3 N. De Feo. La ragione sovversiva, Bari 2000, p. X
4 J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano 2002, p. 25
5 K. Marx, op. cit., p. 401
6 J. Baudrillard, op. cit., p. 73
7 Il film in questione è Matrix, 1999, regia dei fratelli Wachowski
8 J. Baudrillard, op. cit., p. 77
9 M. Foucault, op. cit., p. 159
10 J. Baudrillard, op cit., p. 139
11 Omero, Odissea, Cles 1997, p. 203
12 J. Baudrillard, op. cit., p. 139
13 J. Baudrillard, op. cit., p. 113
14 La discoteca, è un trionfo tecnoscientifico, asseconda tutte le condizioni del sistema, non ha assolutamente nulla di trasgressivo.
15 J. Derrida, La scrittura e la differenza, Torino 2002, p. 333
16 G. Orwell, 1984, Milano 1989, p. 283
17 J. Derrida, op. cit., p. 335
18 J. Derrida, op. cit., p. 338
19 J. Derrida, op. cit., p. 352
20 M. Heidegger, Introduzione alla Metafisica, Milano 1990, p. 19
21 Il peccato, e la successiva Grazia, sono al centro delle riflessioni di Lutero
22 J. Derrida, op. cit., p. 37

gennaio - aprile 2005