Per parlare
del biopotere mi riferirò innanzitutto ad un fatto accaduto nel
1990, quando venne pubblicato postumo il primo dei testi di uno dei
Corsi svolti da Foucault al Collège de France fra il 1970 e il
1984. Questo Corso, che il filosofo aveva tenuto nel 1976 intitolandolo
"Bisogna difendere la società", era stato uno
dei momenti in cui egli aveva spiegato nel modo più efficace
che cos'è il biopotere, anche se non era questo il tema principale
delle sue lezioni.
Nel 1990 la prima edizione di questa serie di lezioni usciva in italiano
per un editore fiorentino. In nessun altra lingua era stato mai pubblicato
un Corso tenuto da Foucault nella prestigiosa istituzione parigina e,
in realtà, è molto improbabile che egli avesse mai avuto
intenzione di pubblicarne uno. Comunque l'editore italiano, pur dichiarandosi
disponibile a pagare i diritti di pubblicazione a chi ne avesse avuto
titolo, non si era fatto autorizzare dagli eredi del filosofo a stampare
quel testo, considerandolo "di pubblico dominio" dal momento
che Foucault stesso considerava in questi termini le registrazioni sonore
delle sue lezioni. Puntualmente gli eredi intentarono causa all'editore
ed ottennero, dopo qualche tempo, che il volume venisse ritirato dal
commercio. L'ironia della sorte ha voluto poi che nel 1998 quella traduzione
italiana venisse di fatto "riabilitata" e riutilizzata -
con qualche aggiustamento - nell'ambito dell'attuale edizione
ufficiale, ovviarmente autorizzata, dei Corsi di Foucault al Collège,
tuttora in via di completamento.
Secondo me, a quell'edizione e a quell'episodio del 1990 si può
attribuire per varie ragioni un significato molto importante ai fini
della stessa comprensione di ciò che Foucault intendeva per biopotere.
A posteriori si può dire che significativo sia stato innanzitutto
il momento di quella pubblicazione: esso coincise con le prime avvisaglie
delle guerre e delle "pulizie" etniche dei Balcani, che si
sarebbero scatenate l'anno successivo segnando l'intera storia degli
anni Novanta. Ma sull'importanza di questa coincidenza tornerò
più avanti.
Un altro aspetto interessante della vicenda è che l'editore e
i curatori del testo pensarono di non tener conto del titolo preciso
che Foucault aveva dato al suo Corso ("Bisogna difendere la
società") e misero in copertina un titolo e un sottotitolo
che suonavano così: Difendere la società - Dalla guerra
delle razze al razzismo di Stato. Si trattò, indubbiamente,
di una decisione molto discutibile. Tuttavia, almeno il sottotitolo
alludeva efficacemente ad uno dei risultati principali del Corso, vale
a dire all'individuazione di alcune importanti ragioni della nascita
del "razzismo di Stato". A questo risultato Foucault era arrivato
passando esattamente attraverso la descrizione del biopotere e della
sua genesi, un percorso che per ora sintetizzerò rapidamente
nel modo seguente.
Nella nostra società, a partire almeno dal XVIII secolo, i sistemi
di potere hanno assunto, nei modi più svariati, la vita fra i
loro oggetti privilegiati. Lo Stato moderno, in particolare, si occupa
costantemente della vita degli individui e della popolazione,
poiché essa costituisce una risorsa fondamentale per la buona
conservazione e per la crescita della potenza di un paese, di una nazione,
di una società, ecc.. È per questo che si può
dire - secondo Foucault - che tra le forme più importanti dell'esercizio
del potere nella nostra società ce n'è una che occorre
saper riconoscere e analizzare attentamente: il biopotere appunto,
questo potere sulla vita che produce una forma di politica che, di conseguenza,
possiamo definire biopolitica.
Tornando al riferimento alle razze e al razzismo di Stato del sottotitolo
dell'edizione "pirata" del Corso foucaultiano, possiamo dire
ora che esso metteva bene in luce uno degli esiti perversi e catastrofici,
ma non casuali, che - secondo Foucault - può derivare
dal biopotere: poiché questo si occupa della prosperità,
del benessere e delle buone condizioni della vita della collettività,
può anche accadere che chi lo esercita consideri nociva, pericolosa
o inutile l'esistenza di certi individui o gruppi di individui rispetto
alla conservazione delle migliori condizioni di questa vita. È
in simili casi estremi, ma non propriamente eccezionali, che il bio-potere
(potere di vita) può trasformarsi in tanato-potere (potere di
morte). E il "razzismo di Stato" è, evidentemente,
uno dei modi principali in cui si può realizzare questo rovesciamento.
In determinati momenti storici, uccidere o lasciar morire chi appartiene
ad una "sottorazza" può essere ritenuto politicamente
"opportuno" per garantire il pieno sviluppo della "razza
superiore", la sua prosperità e l'affermazione della sua
potenza, poiché si sostiene che essa sia l'unica forma di vita
in grado di vivere pienamente, di realizzare completamente le potenzialità
di un popolo, di una nazione, di un paese, di uno Stato.
Naturalmente - secondo Foucault - è stato il nazismo il
regime politico che ha portato alle estreme conseguenze nel modo più
diretto e sistematico queste implicazioni del biopotere. Ma esso non
è stato né l'unica forma di biopotere né l'unica
forma di degenerazione tanatopolitica della biopolitica. Anche in altri
contesti e modi, più discreti e meno espliciti, il biopotere
può condizionare o compromettere la vita e, di conseguenza,
la libertà degli uomini. Comunque, a proposito del nazismo
è importante sottolineare (come ha fatto recentemente Roberto
Esposito) che quasi tutti i concetti e le metafore che esso usava per
"giustificare" lo sterminio degli Ebrei e delle persone "indegne
di vivere", erano di tipo medico e biologico. Questi
concetti si riferivano quasi sempre a pericoli di "infezione"
o di "degenerazione" dello "stato di salute" della
razza e ad "influenze nocive" per le possibilità di
"dispiegamento biologico della nazione". Gli Ebrei in particolare
erano visti, di volta in volta, come "bacilli", "batteri",
"virus", "parassiti", "microbi", ecc..
Ma se pensiamo più in generale alla facilità e alla frequenza
con cui si può fare e si fa uso di una qualifica come quella
di "parassita", possiamo ben capire quanto concetti e termini
simili possano essere stati usati anche da altri regimi per escludere,
discriminare, imprigionare, mandare a morte singole persone o interi
gruppi sociali. Insomma, la presenza del biopotere e i suoi effetti
tanatopolitici devono essere riconosciuti pure in ciò che è
accaduto in URSS soprattutto con le purghe staliniane che, infatti,
venivano giustificate con finalità di "risanamento"
della società e spessissimo si basavano, ad esempio, sull'uso
spregiudicato della medicina psichiatrica: i dissidenti venivano per
lo più definiti pazzi o malati di mente.
*
* *
Torniamo
ancora all'edizione del 1990 del Corso di Foucault. Essa venne comunque
letta da molti ed utilizzata anche nei corsi universitari, poiché
si percepì subito che l'autore vi aveva colto qualcosa di intrascurabile
per la comprensione del potere moderno. È vero tuttavia che,
per quanto egli non avesse mai scritto un libro interamente dedicato
al biopotere, di questo aveva parlato estesamente anche in una delle
sue opere più famose pubblicate in vita: La volontà
di sapere. Ma, in realtà, c'era un dato immediato che faceva
risaltare il grande significato e il carattere quasi "profetico"
del Corso che il filosofo aveva tenuto quattordici anni prima della
sua avventurosa edizione: la coincidenza, cui ho già accennato,
della sua pubblicazione con le prime avvisaglie delle guerre interetniche
della ex Jugoslavia. E in proposito assumeva un notevole significato
il passaggio "dalla guerra fra le razze al razzismo di Stato"
messo in luce dal sottotitolo.
Alla luce del lavoro di Foucault, le "pulizie" e i conflitti
etnici dei paesi balcanici apparivano in tutta evidenza come l'emergere
e il rapido trasformarsi di una "guerra fra le razze" in uno
scontro fra "razzismi di Stato". Quei conflitti in tal modo
realizzavano completamente non soltanto la valenza tanato-politica delle
strategie di "difesa della società" da cui scaturivano,
ma lasciavano anche supporre che a renderle possibili fosse la matrice
biopolitica dell'intera storia degli Stati moderni. Proprio questo consentiva,
e consente ancora, di pensare che Foucault, attraverso la "scoperta"
del biopotere, avesse colto un tratto caratterizzante del potere moderno,
che - malgrado quanto è accaduto nel Novecento -
è ancora largamente sottovalutato. Ciò che in tal senso
risalta attraverso la coincidenza cronologica a cui mi riferisco, è
una cosa molto precisa: il biopotere non soltanto è tipico delle
nostre società, ma, quando meno ce lo aspettiamo, può
produrre processi catastrofici e incontrollabili.
è forse anche per queste ragioni che, dai primi anni Novanta,
attraverso il lavoro di studiosi come Agamben, Esposito, Heller, Negri,
ecc., sono andati crescendo progressivamente una riflessione e un dibattito
teorico sul biopotere e sulla biopolitica che sono ben lontani dall'essersi
esauriti.
*
* *
A questo
punto entriamo in modo più preciso nel merito del pensiero di
Foucault, cercando innanzitutto di delucidare i termini della sua ricerca
sul tema generale del potere.
Il primo dato da tener presente è che egli esclude che un'analisi
seria delle forme del potere debba privilegiare la sfera istituzionale
dello Stato, vale a dire: i suoi strumenti giuridici (la forma della
costituzione, le leggi), i regimi (democratico, repubblicano, monarchico,
presidenziale, parlamentare), le articolazioni dei suoi poteri formali
(legislativo, esecutivo, giudiziario). Secondo Foucault, il potere deve
essere ricercato dappertutto, cioè sia sul terreno immediatamente
politico che nel sapere, nei comportamenti e nei rapporti fra le persone.
Ma non si deve pensare, per questo, che un'immensa trama di potere ci
avvolga e ci opprima senza che ce ne rendiamo conto. A questo riguardo
è importante la distinzione che Foucault fa tra potere
e dominio.
Il potere si dà generalmente nella forma di relazioni di potere.
Senza relazioni basate su una qualche reciprocità, in un certo
senso non c'è potere, c'è dominio che è qualcosa
di diverso o è solo un caso estremo delle forme che il potere
può assumere, irrigidendosi o divenendo "unilaterale"
e irreversibile. Il che significa che un certo margine di libertà
ed una certa possibilità di esercitare un contro-potere o una
resistenza normalmente si danno sempre da entrambi i lati delle relazioni
di potere (cfr. L'etica della cura di sé come pratica di libertà).
Ma, al di là di questo, ciò che Foucault mette in discussione
è soprattutto l'importanza dell'idea di sovranità.
Il potere non viene esercitato solo mediante dei rapporti in cui qualcuno
è sovrano rispetto a qualcun altro, vale a dire secondo lo schema
con il quale si descrive solitamente il funzionamento di uno Stato.
Foucault non nega che le istituzioni della sovranità siano strumenti
fondamentali dell'esercizio del potere. Ma - secondo lui -
la sovranità dello Stato costituisce solo la parte più
evidente dell'economia generale di questo esercizio, mentre la maggior
parte delle relazioni di potere si svolgono in altri ambiti. Ed è
proprio tentando di individuare e descrivere questi altri ambiti che
Foucault, negli anni Settanta, arriva a definire un insieme di tecniche,
di strumenti, di saperi e di forme che si sviluppano ed agiscono su
due livelli: un livello individuale che consiste soprattutto in tecniche
e istituzioni disciplinari, ed un livello generale che consiste
per lo più in arti del governo.
Secondo lui, lo stesso potere sovrano dello Stato moderno non sarebbe
sopravvissuto a lungo se non fosse riuscito a intervenire sulle relazioni
di potere dotandosi di istituzioni disciplinari e di arti del governo.
Ed è soprattutto in quest'ultimo ambito, quello del governo generale
della società, che emerge la vocazione biopolitica del potere
moderno. Ma anche le discipline possono essere viste come un'articolazione
importante del biopotere.
*
* *
Cercando
di descrivere sinteticamente questi due livelli, ricordiamo in primo
luogo che delle discipline Foucault parla soprattutto in Sorvegliare
e punire. Esso è un libro sulla nascita del carcere
moderno, ma non è solo questo. È anche uno studio sull'affermarsi
di quella che Foucault chiama la "società disciplinare".
A parte la sfera del sistema penale, gli ambiti principali nei quali
- secondo lui - le discipline si sono sviluppate, più
o meno tra il XVII e il XIX secolo, sono soprattutto quelli della scuola,
dell'esercito, dell'ospedale, dell'officina. È
in queste istituzioni che sono state elaborate ed usate delle tecniche
rivolte al controllo del corpo dell'individuo mediante sistemi
di formazione, di addestramento, di correzione, di costrizione al lavoro,
di educazione, di rieducazione, di riabilitazione, di punizione, utilizzando
anche delle forme di sorveglianza per lo più discreta
e continua.
Quanto alle arti del governo della società moderna, possiamo
dire invece che - secondo Foucault - esse cominciano a maturare già
a partire dai secoli XVI-XVII, prima attraverso le teorie della ragion
di Stato e del mercantilismo, e poi attraverso la "statistica"
(o "aritmetica politica"), le scienze di polizia, la medicina
sociale, l'economia politica. Se - come abbiamo visto - le discipline
rappresentano una tecnologia individualizzante dell'esercizio
del potere, le arti del governo tendono soprattutto a garantire
il collegamento fra l'attenzione al singolo individuo e il
controllo dei processi che riguardano la totalità del corpo collettivo.
Per chiarire in che cosa consistano queste "arti" Foucault
sostiene che nella loro formazione è stata decisiva l'attenzione
crescente che le scienze dell'amministrazione hanno rivolto ad un oggetto
particolare: la popolazione. Le teorie e le scienze del governo
(ragion di Stato, mercantilismo, scienze di polizia, economia politica,
ecc.), dal XVII secolo in poi, fanno passare in secondo ordine il territorio
come oggetto privilegiato del potere statale e attribuiscono un'importanza
crescente alla popolazione intesa come risorsa fondamentale per la crescita
della potenza di un paese.
Ora, è proprio attraverso questa attenzione alla popolazione
che la vita degli individui, considerati singolarmente e collettivamente,
si troverà ad essere al centro delle arti del governo. La popolazione,
infatti, si presenta innanzitutto come un insieme di esseri viventi;
essa costituisce sul piano sociale e politico ciò che la specie
è sul piano biologico. Gli individui, d'altra parte, proprio
in quanto esseri viventi possono essere concepiti e trattati
come componenti essenziali di questa entità collettiva che è
la popolazione-specie. Sia la popolazione che gli individui costituiscono,
da questo punto di vista, degli insiemi di capacità e di forze
che occorre conservare, valorizzare e potenziare per conservare, valorizzare
e potenziare la forza complessiva della società. È evidente,
perciò, che anche le discipline, attraverso la loro attenzione
ai corpi e ai comportamenti dei singoli, possono svolgere la loro importante
funzione individualizzante all'interno del quadro totalizzante
delle arti di governo.
In definitiva, è su queste basi che nella modernità l'esercizio
organizzato del potere rivela la propria vocazione biopolitica, poiché
interviene, appunto, nella vita dei singoli e della totalità
sociale.
*
* *
Quali sono
i passaggi più importanti di questa storia?
In una prima fase, tra il Cinque e il Seicento, con le teorie della
ragion di Stato (Botero, Palazzo, von Chemnitz) e del mercantilismo
(Colbert, Serra, Davanzati, Petty) si afferma un modo nuovo di concepire
l'esercizio del potere. Non si tratta più di governare gli uomini
ispirandosi alle leggi divine e tentando di ricondurli ad un ordine
superiore (San Tommaso). Occorre piuttosto conoscere attentamente la
natura specifica di tutto ciò che compone lo Stato e trattarla
adeguatamente affinché la sopravvivenza e la prosperità
collettive siano garantite e migliorate. Ma queste teorie si distaccano,
oltre che dalla tradizione medievale, anche dalle concezioni dei teorici
proto-moderni del potere sovrano, come Machiavelli, che individuano
lo scopo essenziale dell'esercizio del potere nel mantenimento del possesso
del territorio da parte del Principe. Per i nuovi saperi di governo
la finalità principale deve essere invece un'altra: quella, appunto,
dell'accrescimento della forza dello Stato, prescindendo da chi sia
il sovrano che regna. In un certo senso, il governo dello Stato diventa
fine a se stesso.
È per simili ragioni che comincia a svilupparsi l'"aritmetica
politica" o la "statistica" che rivolge un'attenzione
analitica a tutto ciò che fa parte dello Stato. Nasce così
un sapere economico-amministrativo profondamente diverso dal sapere
politico tradizionale, essenzialmente di tipo giuridico, poiché
non si tratta più soltanto di conoscere le leggi umane, naturali
o divine, i diritti del sovrano o dei sudditi, ma la potenza dello Stato
e i modi di accrescerla. In questo quadro diventa centrale, dunque,
il rapporto fra popolazione e ricchezza. Le dottrine economiche
del mercantilismo, assumendo l'arricchimento del paese come finalità
primaria dell'azione di governo, concepiscono l'aumento della popolazione,
al tempo stesso, come un presupposto e come uno scopo di questo arricchimento.
*
* *
In una
fase successiva, la popolazione non verrà più concepita
in un'ottica quantitativa, ma assumerà più chiaramente
i tratti della specie vivente. Essa verrà concepita come
un insieme dinamico di fattori e di variabili che possono essere
modificati e regolati intervenendo sia sulle condizioni materiali
ed economiche (produzione, distribuzione e circolazione delle risorse)
sia sulle condizioni e sui modi di vivere (attraverso campagne e politiche
della salute, dell'alimentazione, dell'ambiente urbano, dell'igiene,
ecc.). Storicamente decisivo, da questo punto di vista, è la
nascita delle scienze e dei sistemi di polizia, che si verifica
soprattutto in Francia e Prussia.
Dai trattati che Foucault prende in esame a tale riguardo (quelli di
Turquet de Mayenne, De la Mare e von Justi) risulta che il campo di
conoscenza e di azione della polizia è estremamente vasto e articolato.
Infatti, specie nel Settecento, per polizia si intende qualcosa di ben
più ampio e complesso di ciò che siamo abituati a pensare
oggi. Comunque, soprattutto due sono i grandi obiettivi generali che
essa si prefigge secondo le "teorie" più avanzate (von
Justi): 1) conoscere e determinare le condizioni materiali, morali,
sanitarie della vita delle persone; 2) perseguire la sopravvivenza,
il benessere e persino la felicità di tutti attraverso la conoscenza
e il controllo sulla vita di ciascuno. Particolarmente importante è
il fatto che la polizia ha una spiccata vocazione medico-sanitaria.
Essa è in gran parte una "polizia medica". Il che dimostrerebbe
che con lo Stato di polizia viene inaugurato su vasta scala quello che
Foucault definisce processo di medicalizzazione della società,
il quale costituirà evidentemente uno dei punti di appoggio fondamentali
del biopotere (Su questi temi e sulle arti del governo in generale,
di M. Foucault si vedano soprattutto: Sécurité, territoire,
population; Omnes et singulatim; La tecnologia politica dell'individuo;
Sicurezza, territorio, popolazione).
*
* *
Anche nelle
epoche seguenti le sorti della vita resteranno al centro dell'esercizio
del potere. Ma nel XIX secolo il liberalismo tenterà di alleggerire
il peso degli apparati e dei sistemi di governo che in precedenza erano
stati creati a questo scopo. Come sappiamo, il liberalismo tenderà
a privilegiare la libertà di iniziativa degli individui, riservando
apparentemente una minore attenzione alle sorti della collettività.
Tuttavia, secondo Foucault, esso non uscirà dalla cornice entro
la quale si sono create le condizioni del biopotere, vale a dire dalla
concezione del governo come qualcosa che debba garantire una prosperità
generale.
Specie da parte degli economisti liberali, il privilegiamento degli
interessi e dei diritti individuali verrà concepito, in realtà,
come il percorso migliore per garantire la potenza, il benessere e l'arricchimento
della nazione, dello Stato o della società. D'altra parte, sviluppando
una cultura della spregiudicatezza e del rischio individuale, il liberalismo
contribuirà all'esplosione di questioni sociali come la povertà,
le malattie, gli infortuni sul lavoro, le rivolte urbane, che riaccenderanno
con nuova drammaticità l'attenzione biopolitica alle sorti dei
singoli e della popolazione. Soprattutto a partire dalla seconda metà
dell'Ottocento, inoltre, si verificherà un'espansione di saperi
e di pratiche largamente utilizzabili secondo un approccio biopolitico:
psichiatria, antropologia criminale, biologia evoluzionistica, teorie
razziste, ecc. Sappiamo bene fino a che punto, nel Novecento, arriverà
l'utilizzazione di questo strumentario da parte del nazismo, del fascismo
o del socialismo reale (Su questi argomenti, di M. Foucault si vedano
soprattuto: Naissance de la biopolitique; Gli anormali; "Bisogna
difendere la società").
*
* *
Per concludere,
che cosa si può dire sulla situazione attuale? Innanzitutto si
può ritenere che anche il welfare state, in quanto Stato
dell'assistenza e del benessere, è un veicolo del biopotere.
Il che non significa che abbiano certamente ragione coloro che vogliono
liquidarlo. Questo, piuttosto, vuol dire che la biopolitica bisogna
saperla riconoscere in tutte le sue forme e che, per scongiurare i suoi
rischi, occorre fare in modo che la cura della vita non comporti la
crescita della subordinazione degli uomini agli apparati e ai saperi-poteri
che la producono. Quel che è certo, ad esempio, è che
proprio nell'ambito delle politiche assistenziali dello Stato sociale
nei decenni scorsi sono state praticate decine di migliaia di sterilizzazioni
coatte di persone disabili in Svezia, in Francia e persino in Italia.
Del tutto pacifico inoltre, anche se molti governanti attuali preferirebbero
ignorarlo, è che tra le forme più pericolose di biopotere
oggi si impone soprattutto quella che passa attraverso la chiusura degli
ospedali pubblici e la riduzione dei servizi sanitari con criteri meramente
contabili. è chiaro che, a partire da simili scelte, si arriva
facilmente a fare in modo che la vita di alcuni sia garantita e assistita
meglio di quella di altri. Infatti, come dice Foucault nel suo Corso
del 1976, il biopotere si distingue dalla sovranità tradizionale
perché, mentre questa tende a "far morire e lasciar vivere",
il primo mira soprattutto a "far vivere e lasciar morire".
Insomma, proprio perché il biopotere è relativamente indipendente
dalle istituzioni della sovranità statale, esso si può
riprodurre in molti altri contesti, anche al di là dei limiti
dello statalismo e attraverso i meccanismi più "innocenti"
del libero mercato, della ricerca scientifica, delle sue applicazioni,
ecc.. Oggi, comunque, stiamo passando da un biopotere politicamente
imputabile ad un biopotere quasi sempre inavvertito o accettato come
ineluttabile. Perciò esso, insieme ai suoi rischi, ormai va scoperto
e analizzato in tutto quell'insieme inedito di questioni che ci cadono
addosso continuamente: non solo nel riesplodere periodico delle lotte
interetniche, ma anche nei problemi posti dalle biotecnologie, dalla
manipolazione genetica, dalla diffusione e dall'uso spregiudicato dei
farmaci, degli psicofarmaci, delle sostanze dopanti, delle droghe naturali
e sintetiche, dalle epidemie imprevedibili come l'AIDS o la SARS, dalle
malattie provocate dall'irresponsabilità dei soggetti economci
(come la "mucca pazza"), dalla questione ecologica, dalle
violazioni dei diritti del corpo e della vita che si consumano nei nuovi
lager per immigrati, dalla guerra preventiva delle superpotenze, dal
terrorismo e dal bio-terrorismo dei petrolieri orientali in lotta con
i loro antagonisti occidentali.
Tutto questo non significa che il biopotere sia una sorta di visione
del mondo passepartout, ma che costituisce - come avrebbe detto
Foucault - una "griglia di intelligibilità del presente"
che possiamo usare finché produce comprensione del mondo in cui
viviamo. Di sicuro, ciò che esso ci consente di capire è
che oggi, insieme alla vita, anche la libertà è sempre
più in gioco in tutti questi giochi che, fino a qualche tempo
fa, non avremmo immaginato si sarebbero mai giocati.
Riferimenti
principali
- G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995;
- L. Cedroni, P. Chiantera-Stutte (a cura di), Questioni di biopolitica, Bulzoni, Roma 2003;
- M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976;
- Microfisica del potere, Einaudi, Torino 1977;
- La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978;
- Difendere la società. Dalla guerra delle razze al razzismo di Stato, Ponte alle Grazie, Firenze 1990;
- La tecnologia politica degli individui, in Tecnologie del sé, Bollati Boringhieri, Torino 1992, pp. 135-153;
- "Bisogna difendere la società", Feltrinelli, Milano 1998;
- L'etica della cura di sé come pratica di libertà, in Archivio Foucault, 3, 1978-1985, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 273-294;
- Sicurezza, territorio, popolazione, in I corsi al Collège de France. I Résumés, Feltrinelli, Milano 1999, pp. 75-80;
- Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano 2000;
- Omnes et sigulatim. Verso una critica della ragione politica, in Biopolitica e liberalismo. Detti e scritti su potere ed etica, 1975-1984, Medusa, Milano 2001, pp. 108-155;
- Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, Gallimard - Le Seuil, Paris 2004;
- Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, Gallimard - Le Seuil, Paris 2004;
- R. Esposito, Il nazismo e noi, "Micromega", n. 5, 2003, pp. 165-174;
- Bios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004;
- A. Heller, S. Puntscher Riekmann (Eds.), Biopolitics. The Politics of the Body, Race and Nature, Avebury, Aldershot-Brookfield 1996;
- A. Negri, M. Hardt, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2002.
* In questo articolo viene riproposto, con lievi
modifiche e con l'aggiunta di alcuni riferimenti bibliografici,
il testo della relazione letta dall'autore al Convegno sul tema
"Teatri di libertà - Lo scenario del potere in Euripide
e Foucault", promosso dal Liceo classico "C. Sylos"
di Terlizzi, in occasione del ventesimo anniversario della morte di Michel
Foucault, il 31 maggio 2004.
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gennaio - aprile 2005 |