In
questi ultimi anni abbiamo assistito ad una forte crescita del fenomeno
del Commercio Equo e Solidale (com.e.s.). Tale crescita si è
espressa sia in termini di fatturato che in diffusione della conoscenza
del movimento soprattutto nel nostro Paese. Sebbene il com.e.s. sia
apparso già alla fine degli anni 60 in Olanda e in Italia
una ventina di anni dopo, abbiamo registrato un vero e proprio boom
soltanto a partire dal nuovo millennio. Le ragioni possono essere molteplici
e di non facile interpretazione visto che la crescita non si è
manifestata in modo uniforme in Europa dove in alcuni paesi il com.e.s.
ha mostrato persino segni di stanchezza; quello che però possiamo
osservare nel nostro Paese è che esiste una stretta correlazione
temporale tra la crescita del com.e.s. e la crescita dei movimenti sorti
dalle contestazioni di Seattle in poi con un vero e proprio boom registrato
dopo i fatti di Genova del 2001.
Questa crescita inaspettata, per lo meno in tali dimensioni, ha ovviamente
portato il movimento a valutare nuovi scenari futuri, a elaborare nuove
prospettive e affrontare nuovi pericoli che il repentino quanto obbligato
abbandono della lunga fase pionieristica pone a tutti gli
attori sociali coinvolti. Le problematiche che il com.e.s. si trova
ad affrontare sono quelle della classica crisi di crescita attualmente
al centro del dibattito del movimento e riferimento di recenti pubblicazioni(1).
Tale crisi si esprime sia in termini di governo della crescita commerciale,
nellambito della irrinunciabile difesa dei principi base del movimento,
che in termini più in generale politici che stanno mostrando
una complessità crescente. Da un certo punto di vista la complessità
delle problematiche politiche è quasi scontata: il com.e.s. si
può definire come un movimento che negli ultimi decenni ha saputo
costruire e far crescere una prassi di altra economia attraverso
lapporto spontaneo di operatori e volontari provenienti dalle
più svariate esperienze in ambito sociale e politico cercando
non tanto la trasversalità quanto la costruzione di qualcosa
di nuovo e, soprattutto, efficace, portando avanti la propria esperienza
in modo strettamente pragmatico, basandosi molto sul lavoro volontario
ma anche lottando quotidianamente con la quadratura dei conti al fine
della sostenibilità delle proprie botteghe. È quindi logico
che, di fronte ad una crescita che pone nuove e più pesanti assunzioni
di responsabilità allintero movimento, le diverse anime
e, conseguentemente, le diverse visioni del com.e.s. si confrontino
in maniera pressoché costante e continua. Detto in parole povere,
oggi il com.e.s. deve capire se e come diventare grande, capire in quale
modo, con quale personalità, quali prospettive e limiti, porsi
allinterno di un più vasto movimento di ricerca di alternativa
sociale ed economica.
Questo preciso momento storico del com.e.s. sebbene complesso risulta
anche molto stimolante al fine dellelaborazione di unidentità
più compiuta del movimento e, soprattutto, di estrema utilità
per capire le potenzialità e le implicazioni politiche di questa
crescita. In tal senso la domanda che si può porre alla base
del presente ragionamento è: il com.e.s. è passato da
una fase di testimonianza di economia etica e solidale ad una fase di
vero e proprio laboratorio di economia alternativa, irrinunciabile punto
di riferimento nella ricerca di nuove prassi sociali ed economiche per
tutti quei movimenti cresciuti da Seattle in poi? Limportanza
della questione non è di poco conto: in altre parole significa
domandarsi se lobiettivo del com.e.s. nel lungo periodo sia quello
di umanizzare le leggi delleconomia o porsi nellottica
del cambiamento radicale delle regole stesse. Accanto a questa domanda
centrale esistono una serie di questioni aperte da affrontare se vogliamo
dare credibilità ad una eventuale risposta affermativa; le principali,
scaturite da obiezioni frequenti sia allinterno che allesterno
del movimento sono le seguenti: non è contraddittoria la ricerca
di un cambiamento radicale delle dominanti leggi del mercato utilizzando
lo stesso strumento del mercato? Il com.e.s. deve occuparsi dellaspetto
più strettamente economico e commerciale o deve essere sempre
più protagonista politico allinterno dei nuovi movimenti
estendendo il raggio dazione? Lintroduzione dei prodotti
nel mercato esterno alle botteghe del mondo (bdm), in particolare nella
grande distribuzione, non è in contraddizione con i principi
stessi che ispirano il movimento?
Per poter rispondere alla domanda centrale e alle conseguenti obiezioni
è necessario andare con ordine, iniziare a ricordare o meglio
definire il com.e.s. ed elencare i principi condivisi a livello internazionale
sui quali basa la propria azione.
Esistono
numerose definizioni di com.e.s., ma per arrivare ad una definizione
condivisa a livello europeo bisogna aspettare lottobre del 2001
quando FINE, il coordinamento informale delle reti di com.e.s., stabilisce
per la prima volta una definizione condivisa da tutti gli attori del
movimento(2).
Il Commercio Equo è un partenariato commerciale basato
sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, che mira ad una maggiore
equità nel commercio internazionale. Contribuisce allo sviluppo
sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali a produttori svantaggiati
e lavoratori, particolarmente nel Sud, e garantendone i diritti.
Le organizzazioni di Commercio Equo, col sostegno dei consumatori, sono
attivamente impegnate a supporto dei produttori, in azioni di sensibilizzazione
e in campagne per cambiare le regole e pratiche del commercio internazionale
convenzionale.
Questa definizione è evidentemente frutto della ricerca di un
comune denominatore tra le varie anime del com.e.s. europeo. In questa
definizione la domanda centrale che ci siamo posti, commercio equo come
testimonianza di economia etica o come laboratorio di economia alternativa,
non trova risposta, anzi, rimane in sospeso. Permane, in relazione al
discorso che stiamo facendo, unambiguità e una contraddizione
di fondo tra il concetto di una maggiore equità nel
commercio internazionale (lumanizzazione delleconomia)
e il concetto che esprime la volontà di cambiare le
regole e le pratiche del commercio internazionale convenzionale
(il cambiamento radicale delle regole). Per uscire dallimpasse
dobbiamo quindi volgere lattenzione altrove, ed in primo luogo
ai criteri adottati dal com.e.s. attraverso i quali si realizza il fare
concreto e attraverso i quali vanno analizzati gli effetti. I criteri
sostanziali del com.e.s. possono essere così riassunti.
- Rapporto con i produttori diretto con lo scopo di evitare intermediazioni
speculative
- Rapporto con produttori riuniti in organizzazioni basate su principi
di democrazia organizzativa
- Continuità delle relazioni commerciali nel tempo
- Incentivo alle produzioni eco-compatibili
- Priorità ai progetti che abbiano una ricaduta sociale nella
comunità
- Prefinanziamento del produttore (generalmente fino al 50% del valore
della merce)
- Pagamento di un prezzo equo al produttore che significa: retribuzione
dignitosa del lavoro svolto, valorizzazione dei costi reali di produzione,
prezzo stabilito in accordo con il produttore, prezzo stabile non soggetto
agli sbalzi del mercato regolato dalle Borse e dalla speculazione finanziaria
Gli ultimi due criteri, quello del prefinanziamento e del prezzo equo
sono di estrema importanza: il primo consente un accesso al credito
pressoché impossibile, se non attraverso lusura, nella
maggior parte del Sud del mondo (il 20% della popolazione mondiale più
povera ha accesso solo allo 0,2% del credito mondiale!), il secondo
riconosce il reale valore del lavoro svolto e consente la continuità
produttiva e commerciale garantendo il processo di miglioramento delle
condizioni di vita dei produttori. In questo senso il com.e.s. agisce
sia nella tutela delle comunità di base dei produttori che nella
rinascita di quelle comunità che hanno subito leffetto
della destrutturazione coloniale intendendo per destrutturazione quel
processo di disorganizzazione dellordinamento politico, ideologico
ed economico delle società precoloniali derivato dalla costituzione
di uno stato di subalternità(3). Soprattutto in questo secondo
senso il com.e.s. non si limita quindi a combattere la povertà
ma diventa un argine allincalzare dellimpoverimento sistematico
che la destrutturazione stessa continua a provocare da oltre mezzo millennio
di colonialismo diretto o economico. In parole povere il com.e.s. ha
come obiettivo quello di togliere persone dalla quotidiana lotta per
la sopravvivenza e di farle ricominciare a vivere; vivere significa
progettare e, per intere comunità, significa proporre o riproporre
nuovi progetti in prospettiva storica.
Da questo punto di vista il com.e.s. si propone nellambito delle
alternative economiche e sociali in modo estremamente radicale e anche
se ad oggi il fatturato del com.e.s. è stimato attorno allo 0,01%
del commercio mondiale e limpatto nei paesi del sud del mondo
è ancora limitato a pochi milioni di persone, alcune analisi
ci fanno comprendere quale sia la sua reale potenzialità: ad
esempio, il coefficiente occupazione/fatturato del com.e.s. nel sud
del mondo è ben 150 volte superiore a quello corrispondente del
commercio internazionale!(4)
In questa
prospettiva il com.e.s. mostra quindi una radicalità di cambiamento
importante. Questo cambiamento passa attraverso il commercio e quindi
il mercato; ma per capire di cosa stiamo parlando è opportuno
precisare a quale tipo di mercato ci riferiamo e, soprattutto, fare
chiarezza attorno al concetto di mercato stesso, questione centrale
per la comprensione dellambito di azione del com.e.s.
Nel linguaggio comune parlare oggi di economia di mercato significa
parlare di economia di mercato capitalista. Tale equazione è
errata sia per ragioni spaziali che temporali: il mercato capitalista
nasce e si sviluppa allinterno di una cultura ben definita geograficamente,
quella oggi genericamente chiamata occidentale, con una connotazione
storica ben precisa. In altre parole esistono altre economie di mercato
diversamente determinate dal punto di vista economico e più in
generale culturale, le cui origini si perdono nella notte dei tempi
mentre il mercato capitalista è questione degli ultimi secoli
di storia. Lautore che ha forse analizzato più lucidamente
il rapporto tra economia capitalista ed economia di mercato, sottolineando
il carattere invasivo e distruttivo della prima, è Fernand Braudel(5).
Leconomia di mercato, nella visione di Braudel, è quella
nella quale si collocano gli scambi quotidiani non solo caratterizzati
da traffici locali o a breve distanza ma anche da transazioni a più
largo raggio qualora si presentino in forma regolare. Sono attività
trasparenti portate avanti da una moltitudine di partecipanti, delimitate
da una zona di piccoli guadagni. In questo senso, per usare le stesse
parole di Braudel: Leconomia è il mondo della trasparenza
e della regolarità, dove ciascuno può sapere anticipatamente,
istruito dallesperienza comune, in che modo si svolgeranno i processi
dello scambio(6).
In questottica leconomia capitalista si contrappone a quella
di mercato; il capitalismo è determinato da scambi ineguali,
gestiti da un ristretto numero di partecipanti, non trasparente, speculativo,
sfera di alti profitti. Questa visione è ben sintetizzata da
Wallerstein: La vita economica implica una concorrenza controllata;
il capitalismo leliminazione sia del controllo che della concorrenza.
La vita economica è il regno della gente comune; il capitalismo
è garantito dal potere egemonico e si incarna in esso(7).
In questa visione, il capitalismo si configura come un vero e proprio
contro-mercato(8), il cui carattere invasivo e globalizzante è
responsabile della morte delleconomia di mercato stessa.
È facile notare che i concetti espressi dalla visione braudeliana
delleconomia di mercato come trasparenza, regolarità negli
scambi, conoscenza anticipata dei termini e dei processi dello scambio,
regno della gente comune, si ritrovino nei criteri e nelle finalità
del com.e.s.. In tale visione, il com.e.s. si inserisce perfettamente
nelleconomia di mercato non capitalista così come descritta,
contrasta gli effetti devastanti delle regole commerciali capitaliste
sui produttori e svolge una determinate azione culturale nella riscoperta
o reinvenzione di altre forme di rapporti commerciali, comunitari, produttivi
e di mercato allinterno delle comunità dei produttori stesse.
È il concetto che nel mondo del com.e.s. è espresso come
Altromercato.
Determinata
la cultura economica di riferimento del com.e.s. è utile capire
quanto, nella prassi, questo possa considerarsi un laboratorio di economia
alternativa; quanto e come il processo attraverso il quale concretizza
la sua azione può generare idee concrete e concretizzabili di
uneconomia alternativa. Si tratta quindi di analizzare per lo
meno a grandi linee i 3 principali stadi del processo economico, quello
finanziario, quello produttivo e quello di consumo e capire soprattutto
linnovazione culturale e la sostanziale indipendenza del processo
nei vari passaggi. Abbiamo già parlato dello stadio produttivo
ed evidenziata la radicalità dellinnovazione del com.e.s..
Diventa importante porre lattenzione sullaspetto finanziario,
motore primo di tutti i processi economici al quale non può sottrarsi
neppure il com.e.s.. Da questo punto di vista lesperienza italiana
mostra una interessante peculiarità. Abbiamo sottolineato quanto
il criterio adottato del prefinanziamento ai produttori sia di estrema
importanza. Questo comporta spesso unesposizione finanziaria da
parte delle centrali di importazione notevole dove le esigenze interne
di finanziamento si sommano con lirrinunciabile criterio del prefinanziamento
ai produttori; il tutto nella braudeliana zona di piccoli guadagni
sopra descritta. Se spesso in Europa è accaduto che centrali
di com.e.s. abbiano dovuto bussare alla porta delle Banche commerciali
per fronteggiare le esigenze finanziarie, in Italia le cose sono andate
in modo diverso: la stretta collaborazione con il mondo della finanza
etica sorto alla fine degli anni 70 con le prime realtà
di Mutua Autogestione (Mag), ha creato un circuito virtuoso
che ha consentito la crescita sia del com.e.s. che del mondo della finanza
etica rafforzandone, in generale, lindipendenza economica e finanziaria.
Molto concretamente ad oggi diverse botteghe del mondo oltre a vendere
prodotti e portare avanti la loro azione culturale raccolgono capitale
e risparmio dai loro soci, veicolandolo allinterno dei processi
finanziari del com.e.s. Negli anni, la stretta connessione tra com.e.s.
e finanza etica si è mostrata un formidabile motore di sviluppo
anche per le singole botteghe e un passo fondamentale nella ricerca
di una cultura di alternativa economica più completa: anche il
singolo socio consumatore e risparmiatore di una bottega ha perfettamente
coscienza che i soldi depositati serviranno a finanziare lintero
sistema del com.e.s. consentendo la produzione e la distribuzione di
quegli stessi prodotti che andrà poi ad acquistare in bottega.
Si crea così un circuito economico alternativo, il più
possibile indipendente, volto alla più completa autoalimentazione
e, in questo senso, possiamo affermare la concretezza dellalternativa
proposta dal com.e.s.
Come abbiamo
evidenziato allinizio, una delle critiche mosse al com.e.s. è
quella dellinserimento dei prodotti nel mercato esterno alle botteghe
del mondo e soprattutto nella grande distribuzione. Come può
rimanere virtuoso un ciclo economico che ha proprio nellultimo
stadio ovvero nella parte distributiva il suo tallone dAchille?
Sebbene il dibattito attorno a tale domanda abbia già qualche
anno di vita e abbia portato, in generale, a maturazione lidea
di un apertura verso nuovi mercati di sbocco che andasse al di là
dei confini della bottega del mondo, permangono per alcuni dubbi e resistenze.
A tale proposito sono utili alcune riflessioni.
La crescita e la continuità progettuale dei produttori non può
prescindere da fattori anche meramente quantitativi quali lincremento
di fatturato. Lesempio del successo del produttore di com.e.s.
messicano UCIRI, divenuto maggior produttore mondiale di caffè
biologico, non sarebbe stato possibile senza un sostanziale incremento
di fatturato. Se oggi UCIRI può dire la sua nella determinazione
del prezzo del caffè e coinvolgere un maggior numero di comunità
di piccoli produttori, se i suoi aderenti non vengono più ammazzati
da vari squadroni della morte a causa del loro lavoro, lo
devono anche alle dimensioni raggiunte dalla produzione. È molto
difficile pensare di realizzare tutto questo con il semplice mercato
di sbocco delle botteghe del mondo.
Sicuramente UCIRI è uno dei successi più evidenti del
com.e.s. ma pensiamo anche ai produttori di banane: senza il mercato
di sbocco della grande distribuzione organizzata non sarebbe stato possibile
neppure ipotizzare un progetto di alternativa produttiva e commerciale
in uno dei settori agricoli più nefasti dal punto di vista dello
sfruttamento della manodopera e della distruzione ambientale. E cosa
dire dellauspicio che alcuni fanno di una crescita del com.e.s.
che lo veda attivo nella commercializzazione di produzioni industriali
alternative in settori come quello dellabbigliamento, ad oggi
uno dei peggiori esempi di sfruttamento anche della manodopera infantile?(9)
Ma, soprattutto, lattuale situazione pone un problema politico
di grande importanza: se il com.e.s. si concretizza in una forma di
partenariato, in un rapporto paritario con il produttore, se, sostanzialmente
si lavora per il produttore, fino a che punto sono sostenibili
politicamente processi decisionali riguardanti produzioni e distribuzioni
di prodotti senza la partecipazione il più possibile diretta
dei produttori stessi?
Oggi il soggetto più rappresentativo che riunisce le organizzazioni
di commercio equo che operano sia nel sud che nel Nord del mondo è
IFAT (International Federation Alternative Trade) allinterno del
quale si è svolto un percorso di confronto che ha portato alla
definizione di alcuni standard e linee guida che riguardano il commercio
equo e solidale, ma che non si occupa direttamente di quegli aspetti
di politica commerciale sopra menzionati dove le centrali dimportazione
hanno ovviamente pieno ambito di autonomia. In questo ambito la nascita
di Agrofair, organizzazione europea volta alla commercializzazione delle
banane eque e solidali, composta al 50% dai produttori, è un
enorme passo avanti. Anche linizio di una riflessione allinterno
del Consorzio Ctm Altromercato, costituito principalmente da botteghe
del mondo, e seconda centrale dimportazione di prodotti del com.e.s.
a livello mondiale, volta al coinvolgimento dei produttori nella base
sociale, segna unimportante evoluzione politica. In buona sostanza
si può affermare che la tenuta democratica del movimento dipenderà
molto in futuro dal grado di coinvolgimento dei produttori nei processi
decisionali, anche in quelli relativi alla commercializzazione dei prodotti.
Ferme restando
le esigenze dei produttori nellampliamento dei mercati, rimane
il rischio dellapertura verso mercati di sbocco dominati da soggetti
non certamente etici, dove il rischio di una deriva mercantilista
e di una perdita di identità, informazioni e in generale culturale
è molto forte. Ma il com.e.s. non può rinchiudersi in
una nicchia, non solo se vuole mantenere una credibilità di proposta
alternativa, ma anche, e soprattutto, perché ha messo in moto
nelle realtà dei produttori processi di crescita e di riscatto
che vanno tutelati e rafforzati. In altre parole, una marcia indietro,
significherebbe andare dai produttori e dire: scusate abbiamo
scherzato e nessuno può arrogarsi il diritto di farlo.
La risposta a questo dilemma sta nellincisività del movimento
sul piano politico e in questo caso lesperienza del Consorzio
Ctm Altromercato è lesempio più significativo.
Se da un lato Ctm Altromercato è stata la prima e più
propositiva centrale nella ricerca di mercati di sbocco al di fuori
delle botteghe del mondo, dallaltro il consorzio stesso è
costituito nella quasi totalità dalle stesse botteghe. È
importante sottolineare che, nonostante lampliamento del mercato,
il controllo territoriale della commercializzazione dei prodotti del
com.e.s. è demandato alle botteghe di riferimento. Si realizza
in questo modo una sorta di presidio del rispetto dei criteri e del
controllo di una corretta commercializzazione, dove la bottega continua
ad essere il fulcro dellattività politica, commerciale
e culturale nellambito del territorio di riferimento. Inoltre
le stesse botteghe hanno potuto beneficiare della conseguente crescita
del consorzio che ha investito una consistente parte dei propri proventi
proprio a favore delle botteghe.
Cè poi un altro aspetto più strettamente politico
da sottolineare: la presenza del consorzio nei nuovi movimenti, a partire
dalle contestazioni di Seattle del 1999, la partecipazione attiva nella
Rete Lilliput e soprattutto nei Social Forum nazionale e mondiale non
rappresenta semplicemente una scelta di campo ma ha anche effetti concreti
nella proposta di alternativa economica del movimento non solo in termini
di visibilità ma anche in termini di elaborazione politica: il
19 gennaio 2004, durante lo svolgimento del World Social Forum a Mumbai
in India, IFAT, con la presenza attiva di Ctm Altromercato, presenta
il nuovo marchio mondiale delle Organizzazioni di Commercio equo (FTO,
Fair Trade Organization). Si tratta di un avvenimento di estrema importanza:
il nuovo marchio non identifica un singolo prodotto bensì i soggetti
che fanno il com.e.s.; non ha come scopo quello di garantire una produzione
equa e solidale che può essere realizzata anche da soggetti profit
una volta seguiti i criteri indicati dagli attuali marchi di riferimento
in Europa, riuniti in FLO (Fairtrade Labelling Organizations international),
bensì va a valorizzare tutta la filiera del com.e.s., in tutti
i suoi aspetti economici, finanziari, culturali, di cooperazione, in
definitiva di laboratorio di economie alternative.
Si tratta di unevoluzione concettuale importante poiché
quello che viene identificato e valorizzato diventa il sistema del com.e.s.
nel suo complesso. Forse da queste recenti evoluzioni si può
trovare una risposta ai timori di molti verso una deriva mercantilista
del com.e.s.: presidio del territorio, identificazione precisa dei soggetti
che fanno com.e.s., presenti, in generale, come portatori di unintera
filiera di altra economia, soggettività politica
forte e identificabile. In questo modo il com.e.s. non sarà più
una nicchia, ma una proposta alternativa, non proporrà semplicemente
qualche prodotto negli scaffali di un supermercato ma andrà a
incunearsi allinterno degli attuali meccanismi commerciali e distributivi,
cosciente della sua forte potenzialità invasiva.
Gli attori
del com.e.s. si trovano oggi ad affrontare una realtà sempre
più in rapida evoluzione. Le riflessioni sopra esposte mostrano
come sia necessario un continuo e serrato confronto tra tutte le parti
in causa, operatori, volontari e produttori per affrontare i nodi, le
questioni e le scelte politiche che coinvolgono e coinvolgeranno in
modo sempre più pressante tutto il movimento; la crescita non
ha lasciato margini di attesa, né tempi per lunghe riflessioni.
Se la coscienza delle nuove e più vaste potenzialità per
tutto il sistema sarà diffusa, orientando le azioni dei tanti
attori coinvolti, allora la crisi di crescita potrà trasformarsi
in opportunità concreta, in trampolino di lancio per la realizzazione
di unutopia.
1) L. Guadagnucci,
F. Gavelli , La crisi di crescita. Le prospettive del commercio equo
e solidale, Feltrinelli, Milano 2004
2) EFTA, Annuario del commercio equo e solidale La sfida del
Fair Trade in Europa 2001 2003
3) V. Rinaldi, Oltre il sottosviluppo A Zone 1/96 Editrice della
Sicurezza Sociale Bologna 1996
4) T. Perna, Fair Trade, La sfida etica al mercato mondiale, Bollati
Boringhieri, Torino 1998
5) F. Braudel, La dinamica del capitalismo, Il Mulino, Bologna
1981
6) F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli
XV XVIII) 3 voll, Einaudi, Torino 1981-82
7) I. Wallerstein, La scienza sociale, come sbarazzarsene. I limiti
dei paradigmi ottocenteschi, Il Saggiatore Milano 1995
8) M. Di Meglio, Lo sviluppo senza fondamenti, Asterios Trieste
1997
9) L. Guadagnucci, F. Gavelli, op. cit.