Il mondo cattolico sta guadagnando, di recente, forti consensi nei campi politico, economico e culturale, immerso com’è in un generale progetto di rilancio del cosiddetto “sistema Italia”. General promoters del rinnovato progetto cattolico sono il Papa, che nonostante l’universalità della sua missione frequentemente si rivolge agli italiani, ed i Vescovi, quando parlano dai pulpiti delle loro cattedrali e quando si esprimono collegialmente attraverso la Conferenza Episcopale Italiana. Non v’è prolusione, omelia, documento che non faccia riferimento ai malesseri del metodo politico, ovvero non diano suggerimenti per la rinascita economica e sociale. Il magistero ecclesiastico come il documento nazionale di programmazione economica e finanziaria; le riflessioni sull’etica delle istituzioni come le leggi di riforma istituzionale: l’interventismo del cattolicesimo è ormai evidente e diventa sempre più ineludibile, almeno a giudicare dalla conclamata volontà dei general promoters di discettare sulle diversificate sfaccettature del “sistema” nel quale viviamo.
All’obiezione se i cattolici (istituzioni e fedeli) siano effettivamente legittimati ad intervenire sulle questioni di “sistema”, la risposta è positiva. Anzi, dev’essere positiva. Perché, nonostante i mass media si ostinino a privilegiare, rispetto alle grandi lotte di pensiero e sociali, le denunce di intromissione religiosa, il mondo cattolico può e deve dire la sua, al pari di un partito o di un movimento, sulle linee di riforma che tracciano nuovi solchi nell’esistenza umana e sulla sussistenza civile del popolo italiano. E, si aggiunge, poiché argomenti quali la procreazione, i rapporti di famiglia, la scuola e quant’altro di simile non sono semplici capoversi di programmi elettorali bensì appartengono a tutti gli esseri viventi, ecco che il cattolicesimo, che si rivolge ai viventi in quanto tali addirittura a prescindere dalle scelte di credo, ha diritto di parola sempre ed ovunque. Negare, da parte di qualsiasi forza politica, il diritto dei cattolici a riflettere ad alta voce ed a chiedere soluzioni ragionate, significa avvertire il senso di un fastidioso vicinato, ovvero dimostrare incapacità al dialogo e di confronto sulle idee.
Tra le innumerevoli esemplificazioni che possono essere richiamate al riguardo del disagiante vicinato e sul diritto di parola del mondo cattolico, vi sono le parole del Papa in occasione della Giornata per la vita 2004 ed il contestuale messaggio della Conferenza Episcopale Italiana, dal titolo “Senza figli non c’è futuro”. Il principio affermato è che i figli non sono soltanto una scelta che riguarda i loro genitori, ma un bene e una necessità essenziale per l’intera società; pertanto la proposta è per una più organica politica a favore della famiglia, fatta di una intera gamma di misure concrete. Tra queste una ripartizione del carico fiscale che tenga adeguatamente conto del numero dei componenti della famiglia in rapporto ai redditi complessivi della famiglia stessa; una politica della casa che renda accessibili per le giovani coppie, a costi non proibitivi, abitazioni tali da poter accogliere i figli; un incremento sostanziale dei nidi d’infanzia e delle scuole materne, collocati anche presso i luoghi di lavoro e i grandi condomini, valorizzando e facilitando tra l’altro la solidarietà interfamiliare; un approccio al lavoro femminile - nella legislazione, ma anche nella mentalità dei datori di lavoro - capace di coniugare la realizzazione della donna, le esigenze della produzione e la vocazione alla maternità.
Naturale corollario del primo è il secondo esempio della procreazione assistita, laddove è stato riconosciuto che la legge autorizzativa, imperfetta perché riepilogativa di diverse vedute, è frutto di un assiduo impegno del cattolicesimo introdotto nelle istituzioni per raggiungere elevati livelli di applicazione del principio primordiale secondo cui la vita va rispettata sin dal suo inizio, cioè da quando nasce l’embrione.
Altro esempio è l’Europa. Si asserisce, da parte dei cattolici, che la costruzione dell’unità politica europea può essere vista come una sorta di cartina di tornasole dei problemi che la democrazia si trova oggi ad affrontare, in un momento in cui è in gioco la sua capacità di rispondere alle nuove sfide del mondo in trasformazione. L’Europa di domani, se non vorrà tradire i principi più autentici che ne sono a fondamento, dovrà esprimere concordia di indirizzo politico nel rispetto delle diversità che la connotano e che ne attribuiscono ricchezza. Unità nella pluralità non vuol dire solo capacità di sfuggire al duplice rischio della egemonia esercitata dalle nazioni più forti, da un lato, e, dall’altro, della dispersione creata dagli egoismi; vuol dire anche dar corpo alla volontà di aprirsi a quel pluralismo che non proviene unicamente dall’interno del nostro continente, ma pure (oggi soprattutto) dall’esterno di esso. Equivale cioè a saper far fronte alle esigenze della società “multiculturale” nella sua dimensione planetaria, il che contrasta con le esigenze di controllo dei flussi migratori le quali eufemisticamente nascondono gli interessi di confine.
Infine, l’esempio della globalizzazione nel terzo millennio, specie sui versanti negativi del terrorismo internazionale, delle diseguaglianze tra i popoli, del sottosviluppo e della fame, temi classici della predicazione ecclesiastica e del volontariato confessionale.
Quello dell’impegno dei cattolici in politica è considerato dall’esterno, nonché vissuto all’interno dagli stessi protagonisti, come “problema”, sin da quando, sul finire dell’800, le sedi politiche e di partito cominciarono ad essere frequentate dai credenti. La ragione della sussistenza di un “problema” muove dalla considerazione che i cattolici esprimono una fede, cioè un messaggio di amore tra gli uomini-fratelli e di fedeltà a Cristo ed alla sua Chiesa; ne deriva un senso di appartenenza alla comunità, guidata da ecclesiastici che garantiscono unità di pensiero e di direzione nell’azione. La testimonianza dell’unità nell’amore comunitario porta i laici a discernere la realtà temporale, specie quella politica, per la diffusione dei principi evangelici fondati appunto sull’amore: solidarietà, attenzione agli ultimi, promozione della persona umana, equo godimento dei beni, libertà e responsabilità.
Dal punto di vista storico, questa impostazione dell’impegno politico dei cattolici ha prodotto il partito unico dei cattolici, laddove la Democrazia Cristiana e la Chiesa cattolica hanno vissuto in una condizione di reciprocità e collateralismo. La ragione, come noto, è stata la fobia del comunismo, che dopo la II guerra mondiale minacciava la libertà dei popoli similmente a quanto stava avvenendo nell’est europeo. Di fronte al pericolo di una svolta totalmente veterostanilista dell’elettorato, con conseguente pericolo di persecuzione della Chiesa, distruzione della libertà religiosa, negazione dei diritti dell’uomo ed instaurazione di un nuovo totalitarismo, il Papa, i Vescovi e le associazioni cattoliche hanno apertamente manifestato contro il marxismo-leninismo e l’accusa di materialismo ateo che ne costituiva il substrato ideologico. Gli elettori, emblematicamente nella prima elezione politica del 18 aprile 1948, hanno accolto l’invito della Chiesa ed hanno privilegiato la Democrazia Cristiana, attribuendole fiducia sino gli anni ’80 del secolo scorso, allorché il sentimento unitario in politica ha mostrato ufficialmente i segni di una crisi in itinere già da tempo. Il giudizio storico sul collateralismo appartiene anch’esso alla storia del movimento cattolico ed alla storia dei partiti politici in Italia. Con un piccolo impeto di autostima del cattolicesimo, si può dire che la sinistra più radicale, contrastata dal collateralismo e privata di un potere diretto, ha potuto diventare più moderna ed affinare le tecniche di lotta politica, assumendo una mentalità di governo anziché di potere.
Non si può, comunque affermare, che la Chiesa abbia ricercato, sin dagli anni del più stretto collateralismo, uno Stato volto al fondamentalismo religioso. Chiara ne risulta la scelta: “La politica appartiene alla sfera della ragione, che è ragione naturale e ragione comune a tutti”, per cui “uno Stato laico esclude la teocrazia e l’idea di una politica dettata dalla fede: la fede può illuminare la politica, ma non si può trasferire il campo politico dalla ragione alla fede”. L’impegno attivo dei cattolici in politica richiede di evitare due pericoli: sia “la ’teologizzazione’ della politica che ’l’ideologizzazione’ della religione, così che questa distinzione delle due sfere è essenziale, appartiene da sempre alla tradizione del cristianesimo, e si ritrova già nelle parole di Cristo quando indica di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare”. La fede “può illuminare la ragione ma non la sostituisce; non la aliena, ma l’aiuta a essere se stessa”. “Nel frattempo i politici credenti possono illuminare la discussione politica con il loro atteggiamento, testimoniando la fede come presenza reale, contribuendo in questo modo con la ragione nel governo di ogni atto politico”. E ha concluso ricordando che “gli imperativi morali che ha il politico cattolico sono valori da difendere sempre, perfino quando la maggioranza sia contraria ad essi”. (Intervento Joseph Ratzinger alla tavola rotonda tenuta il 9 aprile 2003 presso la Pontificia Università della Santa Croce su “L’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” a proposito della Nota dottrinale dallo stesso titolo pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede il 16 gennaio 2003)
Perché si continua a parlare di “problema”? Per due motivi.
In primo luogo perché il mondo moderno, fortemente secolarizzato e sensibile al concetto di laicità se non proprio di laicismo, esige la separazione tra fede e vita, tra principi cristiani universalmente condivisi e scelte contingenti dell’agire politico, considerando una indebita ingerenza della Chiesa nelle questioni di libertà dell’uomo d’oggi (si pensi alla clonazione, alle manipolazioni genetiche, all’eutanasia, all’istruzione, al libertinaggio sessuale e familiare). Il progresso scientifico e tecnologico ha originato l’uomo-merce, obiettivo dei consumi e di una esasperante rateazione di tutto ciò che è acquistabile sui mercati (si pensi al rapporto matrimoniale moglie o al rapporto con i figli ormai vissuto a rate). La mentalità dilagante propone la divisione, l’individualismo o la massificazione disgregante, l’accumulo, la diffidenza, l’indifferenza, l’insicurezza, la competizione, la finitezza delle esperienze di vita: principi che contrastano con il messaggio di amore e di apertura della fede cristiana. Lo scenario è una democrazia poco carica di valori, dove facilmente cresce l’autoritarismo di pochi politici che, senza scrupoli per le questioni personali o per arroganza mista ad incompetenza, riescono a far colpo su elettori ai quali diventa indifferente premiare valenti politici.
Quello dei cattolici in politica diventa un impegno di progetto a lungo termine, in vista di una democrazia compiuta dove, al di là delle leggi formali, vi sia condivisione dei valori generali pur nel rispetto di scelte strategiche che accomunino quante più forze politiche. Lo scontro è tra il progetto cattolico e la diffusa convinzione che la politica si debba collocare al di fuori dell’etica, quasi fosse un mero impegno tecnico per rispondere agli interessi di elettori distratti, di partiti che vivono di consenso, di lobby economiche ed ideologiche (a volte anche di lobby ecclesiastiche che chiedono finanziamenti o provvedimenti in cambio di una condivisione dell’operato politico con seguito elettorale). Coerenza e libertà diventano il metodo dell’azione politica dei cattolici, mentre il ruolo principale della Chiesa e dell’associazionismo resta quello di formare le coscienze, altresì indicando le strade da percorrere per giungere a scelte giuste e valevoli per tutti i cittadini: credenti o laici, di qualsiasi colore politico, a qualunque cultura appartengano, in qualunque contesto pluralista si viva.
Il secondo motivo della sussistenza di un “problema” sta nella pluralità di scelte politiche da parte dei cattolici.
Il magistero pontificio ha sostenuto che “Il compito della politica ... è il campo della carità più vasta, la carità politica” (Pio XII, 1927) e che “La politica è una maniera esigente di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri” (Paolo VI, Octogesima adveniens). La politica è concepita come donazione di sé e servizio per il prossimo, senza altro interesse che il bene comune. Terminato il momento storico e la ragione del partito unico dei cattolici e del collateralismo, rimane il fondamentale compito della testimonianza del credente in vista di superiore quadro valoriale. Infatti, “I laici devono assumere come loro specifico il rinnovamento dell’ordine temporale. Se l’ufficio della gerarchia è quello di insegnare e interpretare in modo autentico i principi morali da seguire in questo campo, spetta a loro, attraverso la loro libera iniziativa e senza attendere passivamente consegne o direttive, penetrare di spirito cristiano non solo la mentalità e i costumi, ma anche le leggi e le strutture della loro comunità civile” (Paolo VI, Popolorum progressio).
L’insegnamento conciliare e post-conciliare, dal canto suo, evidenzia che da una fede unica può derivare una pluralità di scelte politiche, il che comporta pluralità di impegni, pluralità di partiti, pluralità ideologica. Pluralità del tutto legittima se però rientrante nel grande alveo della Dottrina Sociale della Chiesa che è “parte integrante della concezione cristiana della vita” (Giovanni XXIII, Mater et Magistra) nella quale la cultura italiana ed europea si collocano. Nessun credente, con il proprio impegno politico, rappresenta la Chiesa nella politica ed, anzi, “tutti hanno diritto e dovere di partecipare alla politica”, per cui “Le accuse ... che la politica sia luogo sia luogo di necessario pericolo morale non giustificano minimamente né lo scetticismo né l’assenteismo dei cristiani per la cosa pubblica, (per il) bene comune” (Giovanni Paolo II, Christifideles Laici).
Allora il problema diventa un insieme di pericoli: la drammaticità della diaspora e della perdita di identità, la tentazione del nascondimento, il desiderio di abbandono della casa comune valoriale per perseguire le contingenze partitiche, il disorientamento delle divergenti espressioni alle quali si tenta di porre rimedio attraverso gli afflati di ricostituzione di un nuovo partito unico dei cattolici, la possibile perdita della libertà espressiva del singolo. Il pericolo ultimo diventa l’irreversibile sversamento del cattolicesimo politico in quel prodotto sociale qual è il mondo politico, con i nuovi totalitarismi ideologici oggi del liberismo, ieri del per certi versi antieconomico e forzato welfare, domani della globalizzazione consumistica che addirittura possa scavalcare l’economia di mercato.
Il cattolicesimo politico ha mediato tra le ragioni di fondo del proprio impegno politico e le crisi, creando forme associative e movimentiste trasversali, aprioristicamente scevre da colorazioni partitiche ma che hanno poi fatto inevitabilmente emergere, a lungo andare, gli orientamenti di centrosinistra e di centrodestra. Al primo appartengono le esperienze di Carta ’93 e di Agire politicamente, messe in atto da intellettuali del cattolicesimo democratico che, all’indomani della diaspora, hanno cercato gli elementi unificanti dell’impegno dei cattolici italiani in politica. Elementi rapportati alla legalità, alle riforme istituzionali, al bipolarismo di governo, all’economia sociale, all’Europeismo.
Il dibattito attuale verte sulla convenienza della forma-partito o del movimento, il primo dettato dall’unicità di pensiero ed il secondo tendenzialmente trasversale. Il primo con le implicazioni strutturali tipiche di un sodalizio su scala nazionale, il secondo con la libertà di azione. Il primo quale forma di istituzionalizzazione dell’impegno verso la società, il secondo quale occasione di adesione ai mutamenti culturali o ai localismi istituzionali. Il primo attuazione di forme canalizzate di consenso, il secondo voce ed espressione dei cittadini, della società civile, di gruppi, di clubs, di aggregazioni spontanee e di volontariato. La storia elettorale dell’ultimo decennio ha dimostrato che, per combattere l’imperante partitocrazia, il movimento risulta essere vincente, addivenendosi con esso alla restituzione della politica ai cittadini per far avanzare logiche di dialogo al posto di quelle di tesseramento. Il movimento come trionfo dell’etica civile, della questione morale, di mani pulite attuato con il controllo diretto degli elettori, delle coscienze al posto delle conoscenze, della partecipazione democratica, del reclutamento nelle piazze, delle elezioni primarie per la scelta dei candidati, dell’evidenza pubblica di tutte le decisioni (Cfr: Bando per la costituzione dell’Assemblea Cittadina delle forze politiche dell’Ulivo e del centrosinistra, delle Associazioni, Gruppi, Comitati, Movimenti, dei cittadini e delle cittadine eletti nei quartieri emanato in occasione delle elezioni comunali di Bologna nel 2004, in www.bologna2004.net).
Il problema della pluralità di impegno cattolico in politica diventa, allora, risorsa: seppure i cattolici scelgano di inserirsi in partiti strutturati o di nuova strutturazione (l’esempio è la recente nascita di partiti di centro - destra e sinistra – che dichiarano di avere una ispirazione cattolica), la testimonianza di amore per una comunità fondata su valori generalmente condivisi di promozione umana non può che tracciare uno spirito movimentista nella coscienza del singolo cattolico politico. Il quale, a ciò invitato dalla Dottrina Sociale della Chiesa e dal Magistero, ha il diritto/dovere di combattere il relativismo etico e di impegnarsi costantemente per il futuro morale della grande famiglia italiana, anche in contrasto con le scelte di partito quando sia convinto delle proprie ragioni. (Cfr.: Joseph Ratzinger, cit.). Partito per scelta esterna, movimento cattolico per scelta di coscienza.
|
settembre - dicembre 2004 |