Il “marxismo aperto” di Giuseppe Semerari
di
Alberto Altamura

Nell’arduo tentativo di tracciare all’interno dell’opera di Giuseppe Semerari una serie di possibili itinerari teoretici, Ferruccio De Natale, che fu suo collaboratore per più di vent’anni, ritiene sia possibile individuare delle costanti, vale a dire dei nodi teorici rispetto ai quali leggere lo svolgersi dell’intera produzione semerariana. De Natale usa il termine tedesco Leitfaden per indicare quei fili conduttori “sempre ri-pensati e sempre più arricchiti” dal lavoro teoretico di Semerari.
Individuare nel marxismo una di quelle costanti appare, tutto sommato, un’impresa facile, dal momento che fu lo stesso Semerari a suggerirlo esplicitamente ogni qual volta si trovò a dover ricostruire la propria esperienza personale di studioso. La questione diventa, tuttavia, molto più complessa allorché ci si impegna a collocare quella riflessione all’interno della tradizione marxista.
In un intervento svolto durante una tavola rotonda radiofonica del maggio del 1972, Semerari segnalava nel marxismo una delle fonti della propria indagine filosofica: “L’esistenzialismo, come espressione del problema che di se stesso l’individuo pone di contro alle forze istituzionalizzate (politiche, economiche, sociali, religiose ecc.) che lo schiacciano sin quasi ad annientarlo, anche quando apparentemente lo proteggono, e il marxismo come descrizione della realtà di violenza della società borghese e tentativo di mutare in autonormativo lo stato di reificazione delle classi oppresse da tale violenza, sono stati decisivi per il mio orientamento”.
Con la stessa forza il riferimento al marxismo tornava in un’altra intervista, rilasciata nel 1979 alla rivista Politica e Mezzogiorno. A De Natale, che lo invitava ad esplicitare il filo conduttore delle ricerche filosofiche da lui sviluppate dall’inizio degli anni Cinquanta, così rispondeva: “Il filo conduttore fu, per me, allora (ma tale è restato anche successivamente) lo sforzo di determinazione ed elaborazione di una filosofia come antropologia storica e critica, che fosse sostenuta dal discorso scientifico-positivo senza, per questo, diventare una filosofia positivistica, dichiarata o mascherata. La fenomenologia, l’esistenzialismo, il pragmatismo, la psicoanalisi, oltre che, naturalmente, il marxismo mi sembrarono i principali termini di riferimento, teoretico e storico, perché il mio sforzo sortisse a un qualche effetto”.
In entrambe le interviste, l’esplicito riconoscimento del ruolo giocato dal marxismo era sempre accompagnato da un altrettanto esplicito rifiuto delle sue derive dogmatiche.
Nel 1972 questo rifiuto veniva argomentato insistendo sulla efficacia della combinazione di marxismo ed esistenzialismo: “La lezione del marxismo mi ha immunizzato contro certe implicazioni teologiche e certe mistificazioni metafisiche dell’esistenzialismo classico. Dalla sua parte, la sensibilizzazione alle ragioni storiche di fondo dell’esistenzialismo mi ha reso vigile e critico nei confronti delle involuzioni e degenerazioni dogmatiche del marxismo, onde il marxismo diventa di fatto copertura ideologica di nuovi domìni di classe e di nuovi imperialismi”.
Analoghe preoccupazioni emergevano nell’intervento del 1979: “Bisogna, senza esitazioni, abbandonare qualsivoglia prospettiva dogmatica del marxismo teorico (ma la storia ci ha mostrato – vedi lo stalinismo – che al più intransigente dogmatismo teorico si legano, sovente, le più spregiudicate tendenze ai compromessi pratici), ma bisogna anche evitare che il marxismo, nella misura in cui interpreta, nei suoi motivi di fondo, il problema del nostro tempo, si presti a mediazioni che ne alterano o distruggono la carica specifica e distintiva”.
Il “problema del nostro tempo”, nel corso dell’intervista, veniva individuato nella “partecipazione attiva e nella volontà di partecipazione e di emancipazione delle masse”; intorno a esso Semerari invitava il marxismo a conservare la sua ragione più profonda, quella che chiamava la sua “carica specifica e distintiva”.
Il ruolo riconosciuto al marxismo in questi due interventi si colloca all’interno della produzione semerariana degli anni Settanta, caratterizzata dalla cura dei fascicoli monografico di “aut aut” dedicati a La scienza e i problemi dell’uomo (n. 119-120, 1970) e a Dialettica della natura e materialismo (nn.129-130, 1972) e dalla pubblicazione di Filosofia e potere (1973), di Civiltà dei mezzi e civiltà dei fini (1979), del volume collettivo La scienza come problema (1980). Alla fine degli anni Settanta cadeva, inoltre, anche l’impegno politico sul piano amministrativo, che portò Semerari, eletto come indipendente nelle liste del P.C.I., a ricoprire la carica di assessore del comune di Bari. In quegli stessi anni si registrano anche alcuni interventi sulla rivista del P.C.I. Rinascita.
Questa contestualizzazione, tuttavia, non deve far pensare ad una semplice “fase” della elaborazione teoretica di Semerari.
La riflessione sul marxismo, infatti, presente già molto tempo prima degli anni Settanta, continuerà a rivestire una posizione centralissima fino agli ultimi scritti e in modo particolare nel lungo e articolato saggio intitolato Il modello materialistico. Marx e la storia della filosofia, pubblicato, nel 1995, nel volume collettivo Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica.
Oltrepassando l’obiettivo dichiarato di una ricostruzione del modello materialistico attraverso gli scritti giovanili di Marx, il saggio del 1995 risulta un importante aggiornamento dei temi speculativi che connotarono continuamente la riflessione di Semerari. L’apertura di questo saggio, infatti, è significativamente dedicata al riconoscimento del modello materialistico come esempio di quel “filosofare dal basso” che trova il suo modello nella marxiana Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, con il suo continuo richiamo al soggetto reale [das wirkliche Subjekt] quale punto di partenza della riflessione filosofica.
A più di vent’anni di distanza, ritornava così quel concetto chiave che, in Filosofia e potere, si manifestava in “una assunzione empiristica per la quale l’uomo nella sua materialità storicamente determinata è il principio della filosofia”. Guidato da una costellazione di pensatori costituita da Protagora, Hume, Marx e Husserl, Semerari aveva trovato allora il senso più forte del “filosofare dal basso” nell’assunzione dell’uomo a principio della filosofia: “[…] credo che uno dei compiti più urgenti della filosofia di oggi sia l’acquisizione e il consolidamento di un atteggiamento radicalmente empiristico, coincidente con l’assunzione dell’uomo a principio della filosofia (principio sia nel senso di cominciamento che nel senso di fondamento), dell’uomo così come esiste, col suo corpo, col suo tempo, con il suo spazio, con la sua società, con il suo inconscio, con la sua eredità biologica, col ricordo del suo passato, con la volontà del suo avvenire, con la sua salute, con la sua malattia, con le sue possibilità positive ma anche con le sue possibilità negative e autodistruttive”.
Un secondo tema, già essenziale in Filosofia e potere, riguarda le categorie fondamentali del modello di storiografia materialistica, individuate da Semerari, con particolare riferimento all’Ideologia tedesca, nella “classe” e nel “mercato mondiale”. Rispetto alla prima, la filosofia e la sua storia hanno il compito di rendere “intelligibili i modi d’essere e la dialettica tra le classi presenti in una società storicamente determinata”. Per quanto attiene al “mercato mondiale”, esso viene individuato come “la realtà storica a partire da e in rapporto alla quale bisogna ripensare la filosofia e la sua storia”, e dal momento che esso trova il suo fattore costitutivo ed organizzativo nel sapere scientifico, quest’ultimo deve diventare un decisivo oggetto di riflessione della filosofia.
Di Filosofia e potere vengono riprese, in questo caso, le posizioni assunte nel capitolo Materialismo e scienza naturale, risalente al 1972, e mai abbandonate, come testimoniato dall’Introduzione del 1980 al volume La scienza come problema e dal saggio Il Paradigma della “scienza nuova” e la sua forma marxiana, apparso su Paradigmi nel 1987.
Nel saggio del 1995 ritorna anche la concezione leniniana della ‘partiticità’ della filosofia, richiamata proprio in apertura di Materialismo e scienza naturale: “[…] Lenin ha avuto il merito di dichiarare apertamente: la filosofia non è esercizio senza partito, la universalità della filosofia non è il suo stare al di sopra delle parti, neutralmente, filosofare è prendere una certa posizione in rapporto o contro una certa altra posizione”.
Nella discussione del modello materialistico di storiografia, Semerari si impegna a definire il senso più ampio del “prendere partito” della filosofia: “[…] partito vuol dire più semplicemente presa di posizione. Ogni filosofia, se è filosofia, è una presa di posizione. I partiti in filosofia sono la dimostrazione del modo d’essere della filosofia, che non esiste in maniera generica bensì soltanto nella determinazione di modelli”.
A questo richiamo, tuttavia, si connette la ripresa della sostanziale critica al Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo condotta già nella Introduzione a La scienza come problema, allorché, pur definendolo “il più geniale interprete di Marx nel secolo XX”, gli rimprovera di aver “lasciato cadere del tutto lo specifico della critica engelsiano-marxiana della scienza”; e, in modo ancora più forte, nel saggio Il paradigma della ‘scienza nuova’ e la sua forma marxiana, in cui si attacca la “gravità dell’operazione compiuta dal Lenin di Materialismo ed empiriocriticismo di ridurre il marxismo sotto il titolo del materialismo inteso come riaffermazione anti-idealistica dell’esistere il mondo fisico indipendentemente dagli uomini e dall’esperienza umana”.
Nel testo del 1995, Semerari riprende le critiche precedenti sostenendo che il materialismo proposto da Lenin appare più vicino alle posizioni filosofiche del realismo: un “realismo ingenuo” che è “un passo indietro rispetto al materialismo de L’ideologia tedesca e de La sacra famiglia, ove il materialismo è fatto coincidere con l’umanismo”.
La critica rivolta a Lenin in nome del materialismo umanistico è sempre connessa, negli interventi di Semerari, a quella rivolta ad Althusser. Ciò accadeva ai tempi di Filosofia e potere, la cui pubblicazione maturava in un’atmosfera intellettuale fortemente caratterizzata dalle discussioni sorte intorno a Lire Le Capital, apparso nel 1965 e pubblicato in traduzione italiana “riveduta e corretta” nel 1971, e a Lénine et la philosophie, risalente al 1969 e tradotto in italiano nel 1972; ma continuava ad accadere, insistentemente, anche nei saggi del 1987, negli anni in cui di Althusser si parlava soprattutto per i ripetuti ricoveri psichiatrici, e del 1995, a cinque anni dalla morte del filosofo francese.
Gli interventi del 1987 e del 1995 sembrano confermare la tesi di Etienne Balibar, che come pochi fu legato ad Althusser, secondo la quale “Il silenzio di Althusser non ci lascia in pace”. Ed è per questa ragione che ci piace ricordare che fu proprio con un saggio di Balibar che Semerari decise di aprire il terzo numero di Paradigmi, dedicato nel 1983 al centenario della morte di Marx.
La dimensione umanistica del materialismo, guadagnata da Marx in opposizione al materialismo dell’oggetto (Objekt), conduceva Semerari alle Tesi su Feuerbach e, soprattutto, al concetto di prassi: “[…] dal punto di vista del nuovo materialismo o umanismo, prassi non è unicamente il fare nel senso consueto e volgare del termine, prassi è il rapporto intercedente tra l’uomo e il mondo, rapporto che comincia con una presa d’atto e ricognitiva del mondo – quale che ne sia la forma o il grado specifico -: è la conoscenza come momento della prassi”.
Nella prassi viene individuata la terza categoria del modello materialistico, da porre accanto a quelle del mercato mondiale e della classe.
Le riflessioni sulle glosse marxiane a Feuerbach si ricollegano, oltrepassando i già citati riferimenti testuali degli anni Settanta e Ottanta, ai primissimi interventi di Semerari su Marx, in particolare pensiamo alla comunicazione svolta nel 1950 al Terzo Congresso di Filosofia di Brema e intitolata Die Philosophie der Praxis. Ideologie und Philosophie.
In questo testo, rispetto all’allora assai dibattuta questione del rapporto esistente tra la produzione del giovane Marx “ideologo” e del vecchio Marx “scienziato”, Semerari individuava proprio nella prassi l’idea centrale che connette il Marx dei Manoscritti a quello del Capitale, e, discutendo in particolare dell’undicesima tesi, si impegnava a dimostrare che in Marx non c’è nessuna negazione della filosofia speculativa, ma la volontà di “rintuzzare la pretesa della filosofia speculativa di risolvere direttamente le questioni della praxis con le idee pure e semplici, con le frasi”: “L’originalità di Marx – scriveva Semerari - principia laddove opera la sutura tra la critica speculativa e il condizionamento della praxis. La proprietà storica di Marx, la sua attitudine rivoluzionaria sta nell’accostamento di Hegel e di Feuerbach al problema politico-sociale della civiltà borghese in decomposizione, nel mediarli in una concreta azione di rinnovamento storico”.
Il concetto di prassi, discusso attraverso le glosse a Feuerbach, diventava poi centrale in un testo per tanti versi decisivo nella produzione di Semerari: La soggettività: fenomenologia come marxismo. Pubblicato nel 1964 sul “Giornale critico della filosofia italiana”, questo testo occuperà un passaggio chiave del volume La lotta per la scienza, del 1965, per poi essere riproposto in Civiltà dei mezzi e civiltà dei fini.
In queste pagine, in un serrato dialogo con Paci, Semerari, al di là delle banali interpretazioni fenomenologiche del marxismo e di quelle marxiste della fenomenologia, chiariva il senso autentico del dialogo che si andava instaurando tra fenomenologia e marxismo. Egli parlava, all’interno di una argomentazione più complessa, della “solidarietà di fatto” che la fenomenologia manifesta per tutte le posizioni filosofiche che assumono come centrale il problema dell’alienazione. In questa prospettiva, diventava chiaro che “dopo la critica dell’alienazione economico-sociale fatta da Marx, la fenomenologia da Husserl in poi si presenta come critica della possibilità in generale dell’alienazione, dell’alienazione come possibilità negativa originaria della prassi intenzionale della soggettività”.
Sul terreno della prassi e dell’alienazione, Semerari, con il Sartre della Critica della ragione dialettica, spiegava la “involuzione formalistica e capitalistica del marxismo” come conseguenza della “soppressione della soggettività, del fondamento umano della scienza e della prassi” e indicava, oltre alla Critica sartriana, le Avventure della dialettica di Merleau-Ponty, Der Mensch ohne Alternative di Kolakowski e La filosofia dell’uomo di Schaff, come i “testi fondamentali del neomarxismo”, che sono riusciti a denunciare e ad arginare quella involuzione perché hanno “innestato sul tronco della problematica marxistica le motivazioni fenomenologiche e esistenzialistiche”.
Nel saggio del 1995, Semerari continua ad insistere sulla marxiana undicesima glossa a Feuerbach e, per rafforzare le sue argomentazioni, chiama in causa l’analisi che Gajo Petrovic ne aveva proposto in un intervento del 1983 elaborato proprio per il numero della rivista Paradigmi dedicato al centenario della morte di Marx.
Ciò che del ragionamento di Petrovic sembrava convincere massimamente Semerari è l’idea che in Marx la possibilità di trasformare in modo rivoluzionario il mondo implica la necessità di interpretarlo in modo rivoluzionario: “A nostro avviso le considerazioni di Petrovic sono giuste, perché, da una parte, salvano la imprescindibilità del momento teoretico, che Marx non ha mai rinnegato, e, dall’altro, tengono conto della posizione che Marx assume consapevolmente nei confronti del mondo e del pensiero, il cui assetto tramandato e attualmente dato ed esistente non è definitivo”.
Il riferimento a Petrovic non è affatto casuale e non è uno dei tanti possibili, esso rappresenta il riconoscimento della grande lezione teorica sviluppata dal marxismo jugoslavo e ci consente di riflettere sulle coordinate teoriche del marxismo novecentesco all’interno delle quali Semerari ha sviluppato il suo umanesimo materialistico. I marxisti jugoslavi, a loro volta, riconoscevano in Semerari un importante interlocutore, come testimonia la sua partecipazione, in qualità di relatore, nell’agosto del 1967, al Convegno internazionale di Korcula.
Il luogo decisivo di questo confronto è sicuramente Filosofia e potere, che, pubblicato nel 1973, occupa una posizione centrale fra l’intervento sulla prassi del 1950 e il saggio del 1995. Una importanza particolare riveste, infatti, il quarto capitolo di quest’opera, Il marxismo ‘aperto’ nelle democrazie popolari, al cui inizio è collocata proprio una lunga citazione tratta dall’opera di Petrovic Filosofija i Marksizma.
Questo saggio ci permette, in modo pressoché completo, di individuare i pensatori del Novecento scelti da Semerari come interlocutori nella propria elaborazione dell’umanesimo materialistico: i filosofi marxisti jugoslavi raccolti intorno alla rivista Praxis, il cecoslovacco Karel Kosík, i polacchi Adam Schaff e Leszek Kolakowski, il tedesco-orientale Robert Havemann.
Negli anni Sessanta e Settanta, in Italia, quelli appena citati erano autori “alla moda”, le grandi case editrici li stampavano regolarmente e le loro opere erano presenti nei cataloghi di Editori Riuniti (Schaff, Kosík, Vranicki), Einaudi (Havemann), Feltrinelli (Schaff, Kolakowski), Laterza (Kolakowski), SugarCo (Kolakowski, Schaff), Bompiani (Kosík), Dedalo (Schaff). Con il titolo La rivolta di “Praxis”, Longanesi stampava nel 1969 una raccolta di numerosi articoli pubblicati nei primi cinque anni di vita della rivista jugoslava. Non bisogna trascurare, poi, la diffusione che le posizioni di Praxis e di Kosík, accanto a quelle di tanti marxisti “aperti” dell’Europa orientale, ebbero grazie all’impegno culturale profuso, sostanzialmente per tutti gli anni Settanta, dalla rivista aut aut, di cui Kosík diventò anche redattore a partire dal 1976.
Dalla metà degli anni Ottanta, di questi autori si cominciò a parlare sempre meno: Kosík e Kolakowski vengono ospitati saltuariamente sulla rivista MicroMega: il cèco continua a figurare fino alla morte fra i collaboratori di aut aut, mentre alcune opere del polacco trovano buona accoglienza presso la casa editrice bolognese Il Mulino; di Schaff continua a circolare ancora qualcosa solo per merito del suo massimo studioso italiano, Augusto Ponzio, che nel 1994, ad esempio, ne cura, per la casa editrice barese Adriatica, la raccolta di saggi Umanesimo ecumenico; dei tanti autori di Praxis non restano che tenuissime tracce.
La riflessione condotta da Semerari alla fine degli anni Sessanta sulle opere di questi autori riveste un carattere particolare dal momento che, continuando fino alla metà degli anni Novanta, supera la dimensione della semplice infatuazione intellettuale o dello spregiudicato “uso politico” di destra o di sinistra, come era avvenuto in molti casi, e consente di individuare nelle posizioni del “marxismo aperto” un irrinunciabile punto di riferimento del pensiero filosofico del Novecento.
Nel 1983, non destò meraviglia, quindi, che la rivista Paradigmi, da Semerari appena fondata e diretta, ospitasse, nel numero monografico dedicato a Marx, gli interventi di due pensatori jugoslavi diventati ormai marginali nel panorama italiano: il già citato Gajo Petrovic e Predrag Vranicki, di cui Semerari tradusse personalmente il saggio Marx e la fondazione teoretica dell’autogoverno. Questa attenzione per lo scritto di Vranicki ci porta a ricordare che già nel 1968 Semerari aveva fatto pubblicare, nella collana Laooconte da lui diretta presso la casa editrice Silva, il volume di Vranicki L’uomo e la storia.
Nel 1987, nel saggio Il paradigma della ‘scienza nuova’ e la sua forma marxiana, il nome di Petrovic ritornava nel contesto della critica della visione stalinista impegnata a distinguere fra un “giovane” e un “vecchio” Marx, e accanto ad esso faceva la sua comparsa anche quello di Mihailo Markovic, citato per discutere della funzione svolta dalla scienza nella concezione marxiana.
Dall’intervento del 1987 al 1996, anno della morte di Semerari, tuttavia, le tematiche connesse alla discussione dell’umanesimo marxista, secondo la lettura che ne proponevano i pensatori marxisti discussi in Filosofia e potere, ritornano, in modo esplicito, soltanto nel testo del 1995.
All’inizio degli anni Novanta, per esempio, è sorprendente che in Filosofia. Lezioni preliminari, nella prospettiva di una “propedeutica” allo studio della filosofia, sia pure in presenza di diffusi riferimenti al pensiero di Marx, non compaiano né passi di opere di Marx, né quelli di altri filosofi marxisti, fra i venti testi collocati in Appendice, a formare una sorta di antologia delle tesi sostenute dai filosofi discutendo del concetto di filosofia.
Non si deve, però, pensare che la revisione del marxismo avvenuta dopo gli eventi dell’89 e del ’91, abbia in qualche modo gravato anche sulle posizioni di Semerari, al contrario: chi, come lui, aveva da sempre dialogato con il marxismo ‘aperto’ non aveva bisogno dopo l’‘89 di recitare un “mea culpa” di circostanza, per poi mettere in atto procedure di liquidazione e di “svendita totale” del proprio patrimonio intellettuale.
Infatti, ciò che non compariva nei testi a stampa, continuava ad essere in altro modo argomento di riflessione e discussione.
Negli interventi tenuti all’interno di una serie di corsi di aggiornamento per docenti di filosofia della scuola secondaria, organizzati dal CIDI di Bari, Semerari propose di seguito testi di Kolakowski, Kosík e Schaff.
Nel corso intitolato Il senso della filosofia - come, dove, quando, tenutosi a Bari nel periodo gennaio-maggio del 1994, Semerari mise a disposizione degli uditori, come testo di analisi, dopo averlo personalmente tradotto dal tedesco, il lungo saggio del 1956 di Leszek Kolakowski Di che cosa vivono i filosofi?. Egli si rivolse, in questa circostanza, al Kolakowski di Der Mensch ohne Alternative, opera la cui traduzione aveva a suo tempo caldeggiato per la collana Laooconte dell’editore Silva.
Nel corso svolto nel periodo gennaio-maggio 1995, dedicato a La controversia novecentesca sulla soggettività, in due distinti incontri, vennero proposti: l’ultimo capitolo, intitolato L’uomo, dell’opera di Karel Kosík Dialettica del concreto, risalente al 1963, e il capitolo L’umanesimo marxista, tratto dall’opera di Adam Schaff Il marxismo e la persona umana, pubblicato nel 1965.
Alla metà degli anni Novanta, quindi, Semerari insisteva su testi che qualcuno, superficialmente, avrebbe potuto ritenere “datati”.
Collocati fra il 1956, l’anno del rapporto Kruscev al XX congresso del PCUS e della repressione sovietica in Ungheria, e la vigilia del 1968 - anni che avevano visto la nascita della rivista “Praxis” (1964) e la condanna ad opera del Comitato Centrale del partito comunista polacco dell’opera di Schaff Il marxismo e la persona umana (1965) -, quei testi continuavano a rappresentare per Semerari un approccio convincente alla questione che fu essenziale in tutta la sua riflessione: l’umanesimo materialistico.
L’adozione della “prassi” come “attività sensibile umana”, l’impegno costante a “filosofare dal basso”, l’individuazione della “classe” e del “mercato mondiale” come categorie fondamentali del modello materialistico di storiografia, la critica della funzione di potere esercitata dalla scienza naturale nelle società capitalisticamente o burocraticamente strutturate, sono tutti temi ripresi nel saggio del 1995 Il modello materialistico. Marx e la storia della filosofia, con l’intenzione di riaffermare la validità di una esperienza intellettuale cresciuta nel segno di Marx, ma anche all’interno di circostanze storiche che, sottoponendo a durissime prove quel pensiero, hanno progressivamente consentito la conquista “consapevole” di quell’umanesimo materialistico, che può essere opportunamente definito il suo nucleo essenziale.
La riflessione di Semerari sul marxismo fu caratterizzata da una grande preveggenza intellettuale e politica.
Quando, nel 1973, dedicava Filosofia e Potere “agli studenti americani di Berkeley, ai cinesi della rivoluzione culturale, ai cecoslovacchi della primavera di Praga, ai francesi del maggio ‘68”, per parlare di Marx egli preferiva, rispetto a quelli occidentali, i pensatori marxisti dell’Europa orientale, i quali da tempo andavano compiendo straordinari, eroici, sforzi intellettuali per salvare il potenziale critico del marxismo dal burocratismo di stampo sovietico. Si trattava di intellettuali che proprio nel ’68 venivano implacabilmente colpiti dalle istituzioni del “socialismo reale”. Kolakowski, espulso nel 1968 dall’Università di Varsavia e costretto a lasciare la Polonia, così descriveva la sorte del marxismo in quel periodo: “[…] intorno al 1968 il marxismo assunse nella maggior parte dei paesi dell’Europa orientale una forma morta, pietrificata, che si imponeva come ideologia ufficiale dei partiti governanti, ma che era tuttavia culturalmente sterile”.
Vent’anni dopo, quando l’esperienza del “socialismo reale” franava irrimediabilmente in tutta l’Europa orientale e con essa dileguavano in Occidente tanti intellettuali che, nel ’68, erano stati convinti marxisti, Semerari continuava ad essere marxista in un dialogo mai interrotto con gli ormai dimenticati pensatori del “marxismo aperto” dell’Europa orientale.
“La riscoperta di Marx nell’Europa orientale è stata dappertutto ispirata a uno spirito critico superiore a quello che si è manifestato in Occidente”, la fondatezza di questa affermazione di Johann P. Arnason veniva ribadita da Semerari in maniera esplicita, allorché in Filosofia e potere presentava il “marxismo aperto” delle democrazie popolari come “l’antitesi più netta all’odierno marxismo teorico occidentale”, un marxismo che, negli anni in cui venivano pensate le pagine di Filosofia e potere, era dominato da prospettive antiumanistiche.
Definendolo come “autocritica e autoproblematizzazione permanente del socialismo quale alternativa al capitalismo e al burocratismo”, Semerari coglieva nel “marxismo aperto” la fondazione teorica di un’azione socialista in grado di “realizzare un movimento storico che, procedendo dal basso, abbia e/o recuperi sempre di nuovo, come suoi soggetti, gli uomini stessi accomunati nella prassi sociale”.
In questa prospettiva, il “marxismo aperto” sostenuto da Semerari oltrepassa la dimensione dell’approfondimento di una fase della complessa storia del marxismo e diventa il luogo di una interrogazione cruciale sulla funzione del potere e sul destino della politica: “Che cosa l’uomo sia, che cosa l’uomo possa essere, se il potere possa aiutare l’uomo a essere se stesso o lo comprima e annulli proprio nel suo essere umano, dipende dalla politica, da come la politica viene orientata”. Custodite e meditate continuamente, queste parole di Filosofia e potere possono consentire alla Sinistra di continuare ad essere Sinistra anche quando è gravata da… “responsabilità di governo”.

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settembre - dicembre 2004