Lo slum e il World Social Forum, ovvero di come la merda arrivò all'Hilton
di Maurizio Camerini

Matera Africa peace point

Il cambiamento del mondo passa in primo luogo per un cambiamento del nostro sguardo sul mondo, afferma Serge Latouche. E per cambiare sguardo dovremmo cominciare a scandalizzarci di ciò che vediamo.

C'è una linea ferroviaria, all'equatore, che divide esattamente in due il globo terrestre, come il giorno e la notte. Sono i binari che corrono lungo lo slum di Kibera, un milione di abitanti, Nairobi, Kenia. Non ci sono fermate né caselli anche se ci sono venditori, bambini, viandanti, galline, donne, ladri, prostitute, baracche, escrementi, grigliate di carne, panni stesi. Non ci sono fermate per il treno a Kibera, anche se a volte un bambino viene schiacciato dalle ruote di ferro. 

I binari sono la linea dell'equatore sociale: da un lato, giù nella scarpata i tetti di lamiera a perdita d'occhio, senza soluzione di continuità, senza strade, piazze, illuminazione, fogna, acqua corrente. Ci sono persone, tante, un'intera umanità che vive nella città di lamiera. Dall'altro lato della strada ferrata, giù nella scarpata c'è un verde, ondulato, fresco, grazioso, pulito, moderno, recintato campo da golf.

A Kibera si entra da strade laterali, Kibera è invisibile, a pochi metri da Ngong Road, una delle principali arterie di traffico. All'ingresso, che è una stradina sterrata, tra pozzanghere e fango, troneggia un cartellone pubblicitario, enorme, colorato, suadente e sorridente: pubblicizza un prodotto surgelato completamente e sicuramente “colestherol free”. Una bambina scalza, con una bambola di pezza stretta a sé, mi guarda e sorride. Bambini giocano nel fango o con l'acqua putrida delle pozzanghere, altri bambini giocano con una corda che sembra avere memoria di altri tempi ed altre catene, bambini su bambini, con bambini. Tutti sorridono. Sorridono a noi, a tutti noi che veniamo dal campo di golf. Che mangiamo cibo colestherol free. Che ormai non sorridiamo più a nessuno. Il treno non ferma a Kibera. Non potrebbe, perché lungo i binari si svolgono vita e commerci, c'è transito, transumanza.

I rifugiati, i rifiuti umani della terra di frontiera globale, sono ‘gli esclusi in carne ed ossa', gli outsiders assoluti, outsiders ovunque e fuori posto ovunque tranne che in posti che sono essi stessi fuori posto: i ‘non luoghi' che non appaiono su nessuna carta geografica utilizzata da normali esseri umani nei loro viaggi. Diversa è la situazione degli esseri umani in esubero, che sono già ‘dentro' e sono destinati a restarvi, perché la nuova saturazione del pianeta impedisce la loro esclusione territoriale. In assenza di luoghi disabitati in cui poterli deportare, ed essendo stati chiusi i posti in cui si recherebbero di loro spontanea volontà in cerca di sopravvivenza, occorre approntare discariche all'interno del luogo che li ha resi superflui.” (Zygmunt Bauman, Vite di scarto)

In alcune zone di Kibera si addensano ottantamila persone per chilometro quadrato a fronte dei trecentosessanta del quartiere residenziale di Karen,  entrambi a Nairobi.

E' in chilometri che si misura la distanza che separa la vita degli abitanti degli slums dai centri del potere e della ricchezza? E come misurare la distanza che separa il miliardo di esseri umani che oggi vivono negli slums di tutto il mondo e noi?

Proviamo a guardare il social forum mondiale di Nairobi, che tale distanza potrebbe colmare, con gli occhi dei bambini di strada. Partecipiamo con loro alla marcia di inaugurazione del forum, una marcia che parte da Kibera per arrivare ad Uhuru Park nel centro di Nairobi. Ci riusciremo in più di diecimila e molti di più saremo nel parco, dove alle spalle del palco svettano i grattacieli del centro. Dal palco le parole di  Kaunda,  ex-presidente dello Zambia,  sono contro lo scandalo della miseria in cui versa la maggioranza degli abitanti del continente africano. Alcuni bambini, vestiti di stracci, sniffano colla da bottigliette di plastica che stringono tra i denti. Musicisti e danzatori si alterneranno per ore in un clima di festa pan-africano.

Ritorniamo con il ‘matatu', il taxi collettivo, alla nostra base di accoglienza, la comunità Koinonia di padre Kizito Sesana che si occupa di recupero dei bambini di strada. Gli altri, quasi tutti gli altri torneranno a piedi perché anche i matatu costano troppo. Altri ancora, internazionalisti solidali e pacifisti, con le suole delle scarpe ancora sporche della merda calpestata a Kibera, tornano alla loro base, l'Hotel Hilton, aperitivo ai bordi della piscina (cfr. Gil Courtemanche, Una domenica in piscina a Kigali).

Partecipiamo alla messa domenicale nello slum di Korogocho dei comboniani padre Daniele e padre Paolo, c'è anche Alex Zanotelli. C'è la stampa, i riflettori, le telecamere: frugano con occhi meccanici tra i corpi ed i volti degli abitanti dello slum, cercano qualcosa, frugano, scandalosamente. Ma all'invito di compiere un giro tra la discarica e lo slum accompagnati dai bambini non risponde nessun visitatore. Padre Daniele rivendica con orgoglio l'esproprio proletario di migliaia di pass per consentire l'accesso al social forum anche agli abitanti del suo slum: il pass costa troppo, aumenta la distanza dallo stadio dove si svolgono gli incontri, aumenta la distanza dal centro. E così il giorno successivo i bambini di strada e gli abitanti dello slum entreranno al social forum, dove avverrà l'iniezione miracolosa di realtà: una marcia di protesta contro il cibo troppo caro, i bambini che prendono la parola nei vari forum: la merda entra anche al social forum.

Il surplus escrementizio, in effetti, costituisce la primordiale contraddizione urbana, le stesse contraddizioni e condizioni di vita descritte da Friedrich Engels a Manchester nel 1884.

“Otto generazioni dopo Engels, la merda continua ad ammantare disgustosamente la vita dei poveri delle città come una virtuale oggettivazione della loro condizione sociale, del loro posto nella società. In effetti, si può porre La condizione della classe operaia in Inghilterra nel 1884 di Engels a fianco di un moderno romanzo africano urbano, come Going down river road di Meja Mwangi, e riflettere sulle continuità escrementizie ed esistenziali. “In uno di questi cortili”, scrive Engels a proposito di Manchester, “proprio all'ingresso, c'è una latrina senza porta. Questo gabinetto è così sporco che gli abitanti possono entrare o uscire dalla corte solo sguazzando tra pozze di urina ed escrementi”. Allo stesso modo, Mwangi scrive della Nairobi del 1974: “La gran parte dei sentieri che incrociano il prato bagnato di rugiada erano disseminati di escrementi umani… Il vento freddo e umido che lo attraversava portava, insieme con la puzza della merda e dell'orina, occasionali mormorii, rare espressioni di sofferenza, incertezza e rassegnazione” (Mike Davis, Il pianeta degli slum).

Un operatore della televisione italiana mi aggredisce perché accidentalmente gli ho rovinato un'inquadratura, un giornalista italiano si lamenta del furto del telefonino, amministratori solidali soffrono le distanze da coprire in autobus per raggiungere il social forum, tutti si lamentano della disorganizzazione. In queste notti a Nairobi la polizia spara sui ladri uccidendone a decine. Viene da pensare a Ernesto De Martino che chiama l'incontro fra uomini di culture diverse “lo scandalo dell'incomprensione reciproca”.

Il lavoro sociale di emancipazione delle comunità che vivono e lavorano negli slums continuerà domani. I bambini di strada passati dalla colla alla politica continueranno domani.

Da noi viene considerato un sabotatore e sovversivo chi vota in parlamento contro le missioni di guerra. Uno scandalo.

gennaio-aprile 2007