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Esattamente un anno fa, nel marzo 2006, la rivista Posse, in un numero significativamente intitolato La rappresentanza impossibile, discuteva i modi utilizzati dalla rappresentanza politica per uscire dalla propria profonda situazione di crisi sfruttando le azioni dei movimenti, impegnandosi cioè a renderle compatibili con il sistema, con il duplice intento di recuperare consenso in ciò che si muove “in basso”, ed ottenere riconoscimento, a livello istituzionale, per la sua funzione di depotenziamento della conflittualità. Con una riflessione commisurata costantemente alla dimensione globale del fenomeno, i compagni di Posse, ben prima che in Italia si insediasse il secondo governo Prodi, descrivevano la irriducibilità degli ambiti della democrazia rappresentativa e delle pratiche di movimento, e ci consentivano di scorgere, con ampio anticipo, quell’abisso tra movimenti e rappresentanza politica, di cui Marco Revelli ha parlato su il manifesto del 6 marzo, mentre la Camera votava un “sì” bipartisan per rifinanziare l’intervento militare italiano in Afghanistan. Concentrando la sua attenzione su quanto accaduto nel panorama politico italiano, dalla dichiarazione rumena di Prodi sulla base di Vicenza fino al doppio voto in Senato, Revelli invita a riconoscere che “qualcosa si è rotto nel profondo del rapporto politico – nel nesso che si stabilisce tra società e politica -: qualcosa che investe alle radici la strategia della sinistra, in particolare della sinistra radicale, che aveva affidato buona parte del proprio ruolo alla possibilità di fare rappresentanza di ciò che si muove in basso” . L’impermeabilità del quadro politico alle istanze che salgono dal basso viene spiegata a partire dalla forma che la governance assume nell’epoca della globalizzazione, con il cedimento dei “rapporti verticali di rappresentanza tra governati e governanti” alla forza cogente dei “rapporti orizzontali di coalizione e di consociazione che vincolano tra loro i governanti dentro reti ampie, che travalicano i territori nazionali”. Fra le tante riflessioni sviluppate in questi ultimi tempi sulla deriva oligarchica che sta divorando la democrazia italiana, quelle di Revelli ci sembrano particolarmente importanti perché, all’inizio del 1996, fu lo stesso Revelli, in pieno primo governo Prodi, a descrivere lo spazio politico italiano come occupato da due destre: una destra populista e plebiscitaria (fascistoide) da un lato, e una destra tecnocratica ed elitaria (liberale) dall’altro. Alternative nei mezzi, le due destre perseguivano, secondo Revelli, il fine comune di favorire l’impresa capitalistica attraverso progetti di privatizzazione, deregulation del mercato del lavoro, smantellamento del welfare, flessibilizzazione della forza lavoro, devastazione ecologica in vista della realizzazione di grandi opere. L’azione della destra populista, tuttavia, era apparsa, alla metà degli anni Novanta, poco efficace in vista di un riconoscimento europeo del capitalismo italiano, perché, pur scaricando sul lavoro salariato i costi del deficit pubblico, si mostrava, in fin dei conti, troppo attenta a tutelare i settori del commercio, dell’artigianato, del lavoro autonomo e della piccola impresa. Il primo governo Berlusconi, non a caso, era destinato a durare poco. Adeguate al livello dell’imperialismo europeo, invece, si presentavano le proposte della destra tecnocratica, da Revelli individuate essenzialmente nel rapido riequilibrio dei conti pubblici realizzato attraverso drastici tagli alla spesa sociale, nella tassazione più rigorosa, compensata però da un più libero utilizzo della forza lavoro, da un sostanziale blocco dei salari, da una compressione concordata dei redditi da lavoro. Richieste che il primo governo Prodi era candidato a soddisfare, e che strutturano, come è evidente, anche l’attuale esperienza di governo. Non bisogna dimenticare, inoltre, che, mentre in Italia agiva il secondo governo Berlusconi, Prodi quelle richieste le assecondava a livello europeo. Superficialmente diversificato nella pratica di governo, l’operato delle due destre, sviluppatosi in Italia dal ’94 ad oggi, è apparso, invece, in profondità fortemente concertato nell’accompagnare a livello istituzionale il processo di ristrutturazione produttivo in corso, attraverso, ad esempio, la compressione della discussione politica rispetto all’azione dell’esecutivo. Il Parlamento ridotto a mero ratificatore delle decisioni assunte da governi sempre pronti a brandire il “voto di fiducia” è, infatti, la manifestazione più eclatante dell’assetto istituzionale costruito dalle due destre. Assetto messo in crisi dall’azione dei movimenti, indisponibili a pensarsi come semplici estensori di cahier de doleance da affidare ai partiti, in attesa paziente di risposte istituzionali. Di fronte a questa indisponibilità le due destre hanno sempre reagito all’unisono, in una variazione di toni che è andata dalle accuse generiche di antidemocraticità, a quella più grave, esplicita o velata, di fiancheggiamento del terrorismo. Dal centro-sinistra, in questa fase del secondo governo Prodi, sono stati, infatti, artatamente accusati di essere gli irresponsabili fautori di un possibile ritorno di Berlusconi, proprio coloro che hanno lottato e continuano a lottare contro le Tav, contro le basi militari, contro le grandi opere che devastano il territorio, contro i rigassificatori, contro i cpt, contro la precarietà, contro lo smantellamento del sistema pensionistico. Un anno dopo le analisi avviate da Posse, un anno caratterizzato dall’azione del governo di centro-sinistra, le passioni di sinistra hanno deciso di dare la parola a questi irresponsabili, nella convinzione, rafforzata dalle analisi di Revelli, che la discussione del problema della inefficacia/impossibilità, nel nuovo scenario globale, della pratica novecentesca della rappresentanza è talmente decisiva per le sorti della Sinistra da non poter essere affidata soltanto ai partiti, troppo impegnati, del resto, nella discussione di riforme elettorali e di maggioranze variabili, o nelle costruzioni di partitidemocratici, di sinistreuropee e di sinistreperilsocialismoeuropeo.
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gennaio-aprile 2007 |