Il popolo di Vicenza. Diario di una viaggiatrice irriducibile
di Claudia De Bari

Se uccidi un uomo, gli rubi la vita, rubi il diritto di sua moglie ad avere un marito, derubi i suoi figli del padre. Se dici una bugia a qualcuno, gli rubi il diritto alla verità. Se imbrogli, quello alla lealtà”

Khaled Hosseini

Venerdì 16 febbraio, nel letto di casa, mi giro e rigiro tra le coperte valutando i pro e i contro del viaggio a Vicenza, per partecipare alla manifestazione contro il raddoppio della base militare della Nato. Appena tornata a Molfetta dall’ennesimo viaggio di lavoro, stanca più che mai, lascio la decisione ad una monetina: 3 su 5...si parte!

Per un inspiegabile ostruzionismo, non si accettano nuove adesioni nel pullman semivuoto organizzato da un partito di Bari, così io ed altri due sciagurati cerchiamo un posto sul pullman in partenza da Brindisi, alle ore 21.00 in punto davanti alla CGIL. Preparo lo zaino di prima sopravvivenza, una doccia rigeneratrice e sono pronta. Arriviamo al punto d’incontro a Brindisi, dove altri compagni ci aspettano e facciamo un po’ di conoscenza. Accanto alle solite banali battute, c’è però una crescente preoccupazione. Corrono voci che potrebbe essere come a Genova nel 2001, ci sono spiegamenti di forze armate superiori a quelle per il G8 e questo ci spaventa non poco. Ma c’è chi sdrammatizza: ci saranno i bambini, dicono, non mancheranno gli anziani, parteciperanno in molti i cittadini di Vicenza, e poi c’è l’atmosfera del carnevale, non si fa a botte a carnevale! Una volta partiti, durante il viaggio le paranoie lasciano il posto alle canzoni di Celentano, proposte dall’autista, che ci accompagnano in un sonno scomodo ma ristoratore. Dopo due soste e altrettanti caffè e cornetti, arriviamo all’uscita ovest di Vicenza, dove il pullman viene fermato dalla polizia e scortato fino al parcheggio preposto alla nostra accoglienza. Sono le 9 del mattino e siamo tutti un po’ intontiti. Scendendo dal pullman, ci rendiamo conto di essere forse i primi forestieri, nelle strade semideserte, acquistiamo il giornale alla prima edicola, ci dirigiamo verso la stazione al punto di incontro. Si avverte un’atmosfera un po’ tesa, avvicinandoci al centro, con le saracinesche chiuse che aumentano e i bar aperti che scarseggiano. Decidiamo per il quarto caffè da uno degli intrepidi in attività, così ascolto distrattamente il commento della barista: oggi sfidiamo il pericolo, siamo aperti tutta la giornata. Esco di lì con ansia rinnovata. Sono le 11, finalmente nei pressi della stazione le strade si riempiono, c’è un vocìo intenso, alcuni fanno uno spuntino seduti sulle panchine, altri tirano fuori le macchine fotografiche, leggono le ultime istruzioni della videocamera e tanti girano nella folla con carrelli pieni di bandiere e gadgets per animare la manifestazione. Non opto subito per la bandiera NO DAL MOLIN, ma continuo l’esplorazione. L’atmosfera è ancora incerta, rallentata, non si sa bene che atteggiamento avere. All’avvicinarsi dell’ora X la tensione aumenta: mi chiedo che fine abbia fatto tutta la polizia di cui si parlava, osservo i personaggi più coloriti, una signora sessantenne con padellone e tubo d’acciaio, un signore d’altri tempi che tira fuori dal portabagagli della sua panda i fantocci di cartapesta a forma di Prodi, Berlusconi e Napolitano. Sono in uno spezzone del corteo che poco mi compete, essendo poco incline a legami di partito, ma per non sentirmi sola scelgo di sfilare con uno dei compagni di viaggio. Brutta idea perchè il suo partito è dislocato proprio in fondo al corteo, talmente lungo da sembrare non aver inizio né fine, e ci tocca muoverci alla velocità di bradipi zoppi. Intanto, ci passano davanti i gruppi delle associazioni più diverse, assistiamo a spettacolini di danza, guardiamo divertiti ragazzi mascherati da clown, e leggiamo gli striscioni che passano. La musica scandisce le ore cambiando continuamente, i colori ci circondano, l’ansia della mattina svanisce e scaricatasi l’adrenalina si ride per tutto; ci godiamo il sole tiepido e la passeggiata, lieti di aver avuto ragione sul terrorismo minacciato dai media per scoraggiarci e speranzosi chiudiamo il cerchio. Finita la marcia, con piedi e gola stanchi, arriviamo al capolinea e tutto si conclude. C’è un concerto ma ascolto distrattamente. Riabbraccio per l’ultima volta alcuni amici incontrati lì per caso e mi avvio col compagno di viaggio al luogo della partenza. Ora, finalmente seduta sul pullman che mi riporterà a casa, posso lasciare scorrere i pensieri liberamente. Adoro viaggiare! Vicenza non è stata solo un momento di protesta accorata ma anche l’espediente per lasciare alle spalle, strade, piazze e facce conosciute e riempire gli occhi di nuovi scenari. Una grande emozione. Ho conosciuto punti di vista diversi, ho marciato con chi come me voleva solo esprimere un “no !” fermo e pacifico ad un provvedimento in cui non si riconosceva. Ero soddisfatta mentre sventolavo la mia bandiera assieme ad amici, sconosciuti di qualsiasi età, gruppo politico e provenienza geografica. Ho assaporato per poche ore il piacere di far parte di un popolo, di una moltitudine capace di trasformarsi in una voce sola, carica di un silenzio assordante, dipinta con tutti i colori della Pace, consapevole di essere responsabile del proprio destino. Ho provato ad esporre il mio disappunto verso chi voleva boicottare i nostri giusti propositi mascherandosi dietro slogan equivoci e poco opportuni, pochi in realtà. Non ho sventolato altra bandiera che quella della mia ‘insolente’ protesta, e come me e con me l’hanno fatto tutti coloro che credono nelle critiche costruttive, credono di poter fare la differenza anche singolarmente, tengono all’autonomia ed alla sovranità del nostro Paese, del nostro territorio così unico se pur contraddittorio, e lo rivogliono libero da sudditanze, fanatismi militari e giochi di potere. Il significato esplicito della decisione del governo italiano di dire sì all’amministrazione Bush e alla sua politica di guerra, è una porta sbattuta in faccia a tutti quelli che, come me, sperano in qualcosa, ai cittadini che difendono il loro territorio e ai pacifisti che hanno il torto di indignarsi di fronte ai mattatoi a cielo aperto, a chi si batte per difendere la qualità della vita nei luoghi in cui abita, a chi lotta per dare un senso a quella vita. La militanza politica non mi ha mai attratta perché credo esistano più aspetti di una stessa realtà che vanno riconosciuti e valorizzati. Non è questo il rispetto delle differenze? Per il mio estremo idealismo e il mio scarso senso pratico, mi astengo dalle discussioni in cui si impone il realismo politico, che poco condivido e comprendo, confondendosi con l’opportunismo. Mi limito a seguire la mia mente, il mio cuore.

Seguendoli, sono arrivata a Vicenza e non ne sono pentita, anche se le conseguenze sono state il crollo delle aspettative riposte nelle nuove figure emblematiche, in nuove politiche capaci di realizzare una giustizia sociale per tanto tempo negata. Ho l’impressione che il governo Prodi dovrà impegnarsi a riconquistare quella parte di fiducia ormai persa. Ma l’ho già detto, che ne so io di politica?!

Dalla mia ho solo speranza e scarpe comode.

gennaio-aprile 2007