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“Finora tutti i mutamenti del modo di essere e di vivere sono avvenuti per coercizione brutale, cioè attraverso il dominio di un gruppo sociale su tutte le forze produttive della società: la selezione o educazione dell'uomo adatto ai nuovi tipi di civiltà, cioè alle nuove forme di produzione e di lavoro, è avvenuta con l'impiego di brutalità inaudite, gettando nell'inferno delle sottoclassi i deboli e i refrattari o eliminandoli del tutto.”1 Pur costretto nello spazio angusto di una cella dal regime fascista, Gramsci individuò e denunciò in tale coercizione normativa degli esseri, del tutto funzionale alla razionalizzazione del potere in generale e del capitalismo monopolistico in particolare, la pratica più abbietta del colonialismo e dell'asservimento dei corpi all'interno e all'esterno dell'Occidente “civilizzato”. Dal cuore stesso dell'impero americano un'altra voce, nel contempo, gli faceva eco: “Gli interessi economici impongono una politica nazionale aggressiva e gli uomini d'affari la dirigono. Si tratta di una politica bellicista e patriottica il cui valore culturale diretto è indiscutibile poiché contribuisce a creare una mentalità conservatrice nel volgo. In tempo di guerra, e sempre nell'ambito dell'apparato militare, i diritti civili sono sospesi, tanto più quanto più s'intensificano la guerra e la produzione bellica.”2 Con il brutale cinismo che vedeva nell'uomo integrato nella fabbrica un mero “gorilla ammaestrato”, prima negli USA poi in tutto l'Occidente, fordismo e taylorismo contribuivano a razionalizzare socialmente gli istinti aggressivi economici e militari del capitale monopolistico con/fondendoli nella “virtù” apparente del lavoro asservito. “Questi nuovi metodi domandano una rigida disciplina degli istinti sessuali (del sistema nervoso), cioè un rafforzamento della famiglia in senso largo (non di questa o quella forma del sistema famigliare), della regolamentazione e stabilità dei rapporti sessuali.”3 Le funzioni sessuali vanno quindi educate e piegate in senso meccanicistico con quella vocazione laboriosa di stampo puritano che impregna di sé l'americanismo e il fordismo. Di qui l'assoluta esclusione dall'universo “civile” produttivo di ogni interferenza sessuale eteronoma, che non sia cioè strettamente omologata alla normalità funzionale della riproduzione genetica e dello sfruttamento dei corpi sottomessi alla “tecnologia disciplinare del lavoro”.4 Tanto più in quanto la sessualità pura si configura non solo come indocile e sovvertitrice “animalità”, ma soprattutto come pratica essenzialmente improduttiva. “Appare chiaro che il nuovo industrialismo vuole la monogamia, vuole che l'uomo-lavoratore non sperperi le sue energie nervose nella ricerca disordinata ed eccitante del soddisfacimento sessuale occasionale: l'operaio che va al lavoro dopo una notte di stravizio non è un buon lavoratore, l'esaltazione passionale non può andar d‘accordo coi movimenti cronometrati dei gesti produttivi legati ai più perfetti automatismi.”5 Privare le “macchine desideranti” del loro desiderio: è il primo passo verso la manipolazione del corpo umano da parte del potere. Il primo atto del dispotismo colonialista è la castrazione dei corpi innocenti, l'estrapolazione violenta degli organi sessuali finalizzata alla messa al bando di tutti gli impulsi amorosi. Nel passaggio dalla campagna alla città, dall'aperto rapporto con la natura al chiuso universo della fabbrica, l'individuo umano perde quel che di autenticamente naturale aveva nella vita precedente e si fa “strumento” convenzionale di calcolo economico, così come il buon selvaggio africano immediatamente si perde, chiamato a uno “sviluppo” non voluto, che lo degrada e travolge prima di ogni effettivo e consapevole progresso. Nella visione di Pasolini poeta/antropologo, questo passaggio storico si configura come una vera e propria “mutazione” umana oltre che sociale, e assume nella pratica artistica i contorni estremi e dolorosi della tragedia greca. Era sua la consapevolezza critica di una perdita irreparabile che si poteva inquadrare in un vero e proprio “genocidio”. Nella “naturalità” di Pasolini c'era una ragione fondante di vita autentica, da sperperare accanto ai dannati della terra in “disperata vitalità”. C'era l'amore e il rispetto delle “diversità” disseminate qua e là per il mondo: a cominciare dalle borgate romane per finire alle terre desolate della Lucania. C'era la passione e l'adesione morale verso i reietti e gli esclusi, a partire dai popoli dell'Africa nera per finire alle masse indigenti dell'India. E con l'adesione alla loro dignitosa miseria covava, nel fondo di una comune condizione di esclusione, un'utopica speranza. “Come i poveri povero, mi attacco / come loro a umilianti speranze, come loro per vivere mi batto / ogni giorno.” 6 Si agitava in lui un'indignazione poetica a sostegno di tutti i ghetti metropolitani e le periferie coloniali. In questi luoghi trovava, lui unico e solo, la genuina presenza dell'essere spontaneo, la dimensione di vita più adeguata perché la più lontana dall'alienazione del lugubre universo borghese. In queste dimensioni tragiche cresceva il suo odio per il consumismo occidentale, la dura avversione verso la manipolazione mediatica messa in atto dalla “oscena” società mercantile. Come già Karl Marx aveva scritto: “La casa luminosa che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui ha trasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l'operaio. […] Il selvaggio, la bestia hanno ancora se non altro il bisogno della caccia, del moto, ecc., della società. La semplificazione della macchina, il lavoro vengono utilizzati per trasformare in operaio l'uomo ancora in via di sviluppo… […] La macchina si adatta alla debolezza dell'uomo, per fare dell'uomo debole una macchina.”7 Per i popoli ancora deboli del Terzo Mondo il rischio era, infatti, questo: di essere trasformati in macchine da lavoro disciplinando gli istinti e regolando le passioni. Finire anch'essi nella mutazione antropologica che aveva investito l'uomo occidentale. A cominciare dall'uso mercantile dei corpi meccanizzati per finire allo spossessamento totale della vita. Era questa la dolorosa consapevolezza del vate che tendenzialmente desiderava, nell'integrità assoluta del suo credo poetico e politico, essere fisicamente a contatto con questi corpi non ancora assoggettati dal macchinismo ma esposti da sempre alle manomissioni del potere consumistico. “Ma oggi la degenerazione dei corpi e dei sessi ha assunto valore retroattivo. Se coloro che allora erano così e così, hanno potuto diventare ora così e così, vuol dire che lo erano già potenzialmente… I giovani e i ragazzi del sottoproletariato romano – che son poi quelli che io ho proiettato nella vecchia e resistente Napoli e poi nei paesi poveri del Terzo Mondo – se ora sono immondizia umana, vuol dire che anche allora potenzialmente lo erano… Il crollo del presente implica anche il crollo del passato.”8 Ed è dal mucchio insignificante delle rovine di questo presente “degenerato” che si desidera ardentemente fuggire. Di qui, infatti, le fughe continue verso quei mondi “altri” a cui intendeva aderire con tutto se stesso: in corpo ed anima. Di qui la sua attenzione/attrazione verso quel sottoproletariato mondiale maggiormente esposto alla mutazione antropologica del falso progresso occidentale. E il luogo interdetto, in gran parte incontaminato, della sessualità non ancora asservita alle leggi del potere manipolativo, non poteva essere che quella del sottobosco notturno. Nella notte la passione, come forza sostanziale dell'umano sentire, trova il tempo e lo spazio per esplicare un'animalità “altra”, l'animalità “naturale” errante e ossessiva del sesso che la mondiale” tenta di isolare e asservire alla funzionalità del potere produttivo/consumistico. Animalità passionale che quel potere degrada orribilmente in violenza criminale, corruzione metodica, imposizione teocratica, secondo quella metafora assoluta del totalitarismo capitalista descritta da Sade nel suo capolavoro: Le 120 giornate di Sodoma.
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Uscire la notte è uscire dall'inferno borghese per condividere quello apparentemente “naturale” dei marginali, dei drop-outs, delle prostitute e dei ragazzi di vita. Frequentare la notte è sperimentare l'universo doloroso e negletto del terzo mondo metropolitano, far proprio il disagio esistenziale del sottoproletariato urbano. Uscire la notte è farsi spazio nella negritudine di tutti i dannati della terra. Frequentare regolarmente la notte è prepararsi il terreno per l'uccisione del Padre e l'assunzione in cielo della Madre. Era, quello dell'inquieto poeta, il “negozio” amoroso che doveva cancellare, per una notte, i guasti del negozio del potere totalitario, basato sulla pura logica dello scambio mercantile dei corpi, quella logica che separando l'uomo dall'amore lo rende non-uomo. Quello del poeta passionale si configurava, al contrario, come un “patteggiare” solidale, che aspirava non solo al consenso paritario, ma che richiedeva anche il dono sensibile di un processo conoscitivo basato sulla persuasione affettiva, uno sforzo pedagogico, oltre che amoroso, che nelle sue forme aleatorie andava a profanare la macchina desiderante piegata alla forza-lavoro del capitale mondiale. Fughe “reali” le sue, alla ricerca dei sussulti passionali che sanno di conoscenza adulta consumata nel vuoto cosmico degli alti cornicioni delle periferie, nei desolati cortili in riva al mare. “Ma il debole sorriso sfuggente / non è di timidezza; / è lo sgomento, più terribile, ben più terribile / di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - / se è una colpa / se non è che un incidente : ma al posto dell'Altro / per me c'è un vuoto nel cosmo / un vuoto nel cosmo / e da là tu canti.”9 L'aspirazione ultima era quella di uscire dall'universo borghese conformista e bigotto, che non gli apparteneva più dal momento preciso dell'uccisione del Padre. Ciò voleva dire riconquistare quella libertà perduta con l'omologazione antropologica che stava facendo piazza pulita dei valori tradizionali: le danze e i canti popolari, la semplicità dei costumi e la frugalità di vita, la sobrietà nei rapporti col mondo e con la natura. Nella negatività di questa omologazione distruttiva, nel pessimismo radicale nei confronti del mondo moderno, si affaccia pur tuttavia un barlume di speranza, disegnata nel viso di un giovane ancora incontaminato, non ancora contagiato dalla “perdita dei valori”, non ancora traumatizzato dalle imposizioni pubblicitarie. La ricerca del poeta persegue disperatamente un sogno tutto suo, proiettato verso quella che considerava ancora come “la meglio gioventù” in un Paese profondamente corrotto. Al di là del gramsciano pessimismo della ragione, a cui corrisponde al di qua la disperazione attiva del vate/poeta, si profila un sogno utopico eterodosso: la rivalutazione di una “età dell'oro” purificata finalmente dall'ipocrisia opprimente della chiesa cattolica, nell'amore liberamente accettato e vissuto fuori dai veleni della morale borghese, un amore libero e liberato, non intossicato dalla mercificazione mercantile capitalistica, perfettamente indistinto nella sua valenza omosessuale ed eterosessuale. Era un accostarsi indiretto all'utopia amorosa di Charles Fourier. L'amore come passione divina nell'indifferenza di genere, l'armonica visione di una comunità dedita all'incandescenza di tutte le tendenze amorose. La passione fisica vista come felice dedizione all'“orgasmo universale” e non la “moneta vivente” che si manipola nel chiuso dell'universo borghese. Doveva essere il tempo avvenire segnato dalla congiunzione armoniosa di Sodoma e Gomorra, la liberazione totale della passione erotica.10 Come scriveva Marx, il capitalismo è il regime della prostituzione universale. In esso la gestione dei tabù convive con l'ipocrisia legislativa dei rapporti d'amore tanto quanto la gestione del lavoro convive con lo sfruttamento dell'energia umana. In esso le interdizioni sono state trasferite dalla regione genitale sul complesso dell'intera persona, spiritualità inclusa. Il sesso del capitale si fa segregazione supplementare attraverso il crisma del profitto, la pratica del controllo e la ferrea religione della separazione dei generi. In sostanza, lavoro forzato generalizzato e sfruttamento di massa dell'erotismo si sovrappongono e s'intrecciano nella distinzione oculata dei ruoli e delle funzioni. Lo spettacolo di un consumismo senza limiti e la consapevolezza atroce di un percorso apocalittico dell'umanità “antropologicamente” traviata, lo spingeva, quindi, a elaborare una cupa diagnosi storica del presente apocalittico, a partire dal grado di sfacelo in cui era caduta l'Italietta clerico-fascista nelle mani del potere democristiano. Con penetrante chiarezza, mentre lo storico delineava il quadro del degrado di un Paese appena svezzato da una condizione non diversa da quella terzomondista, il poeta, con sofferenza esistenziale, cantava la frantumazione dei rapporti umani, lo spettacolo nuovo del “genocidio” nazionale. “Oggi l'Italia sta vivendo in maniera drammatica, per la prima volta, questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così dire fuori della storia – la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese – hanno subito questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia.”11 Una sorta di “discesa agli inferi” subdolamente programmata con l'imposizione di un edonismo interclassista, l'avanzare di una falsa tolleranza sessuale, la distruzione della vitalità linguistica locale. Era l'azione criminale di uno “sviluppo” senza progresso che generava solo regresso: falsa sottocultura, caos mentale, imbruttimento della specie. E la finta, “moderna”, emancipazione sessuale non è altro che una nuova tecnica di repressione che passa attraverso la messa al bando delle passioni naturali. “L'Italietta è piccolo-borghese, fascista, democristiana; è provinciale e ai margini della storia; la sua cultura è un umanesimo scolastico formale e volgare. Per quel che mi riguarda personalmente, questa Italietta è stata un paese di gendarmi che mi ha arrestato, processato, perseguitato, tormentato, linciato per quasi due decenni.”12 Al degrado umano si opponeva in lui, cresciuto nel Friuli, il mito giovanile della Resistenza e della Rivoluzione. Integrato nell'analisi storica, lo sguardo mitico è spazio etico, dimensione integrale da opporre ai guasti dello sfruttamento della nuda esistenza umana. L'uomo arcaico era produttore di miti e non di materie prime. Per l'uomo epico del passato il mito era la verità del mondo esterno e interno. In esso tutte le dimensioni coincidevano in una unità corporale e spirituale. Questa unità è stata prima spezzata e poi frantumata in soggetti smarriti, in prodotti industriali, in discorsi pubblicitari, in valutazioni mercantili: “Ma che vuoi, per l'uomo antico i miti ed i rituali sono esperienze concrete che lo comprendono anche nel suo esistere corporale e quotidiano. Per lui la realtà è una unità talmente perfetta che l'emozione che egli prova, diciamo, di fronte al silenzio di un cielo d'estate equivale in tutto alla più interiore esperienza personale di un uomo moderno.”13 1 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. III, p. 2161. 2 T. VEBLEN, The Theory of Business Enterprice, Scribner's, New York, 1931, p. 391. 3 A. GRAMSCI, Quaderni del carcere, cit. pp. 2162-63. 4 Cfr. sulla “presa in carico” della vita umana da parte del potere, M. FOUCAULT, Bio-potere e totalitarismo in “Bisogna difendere la società”, Feltrinelli, Milano 1998, pp. 206-227. 6 P. P. PASOLINI, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano 1972, p. 77. 8 P. P. Pasolini, Lettere luterane, Einaudi, Torino 1976, p. 73. 9 P. P. Pasolini, Trasumanar e organizzar, Garzanti, Milano 1971, p. 172. 13 P. P. PASOLINI, Il sogno del centauro, Editori Riuniti, Roma 1983, p. 105. |
settembre 2006 |