P. P. PASOLINI, Appunti per un Poema sul Terzo Mondo (1968)

* P. P. PASOLINI, Per il cinema, Mondadori, Milano 2001, pp. 2677-2686.

 

 

 

 

 

 

Nota introduttiva

 

Come dice il titolo, il tema di questo film è il Terzo Mondo: nella fattispecie, l'India, l'Africa Nera, i Paesi Arabi, l'America del Sud, i Ghetti negri degli Stati Uniti.

Ognuno di questi paesi è l'“ambiente” di un episodio: il film consiste dunque in cinque episodi. Questi episodi non saranno però - probabilmente - nettamente suddivisi: non ci sarà soluzione di continuità tra l'uno e l'altro, perché il discorso sarà unico. Così non mancheranno anche altri ambienti - tra questi cinque fondamentali -, per es. l'Italia del Sud, o le zone minerarie dei grandi paesi nordici con le baracche degli immigrati italiani, spagnoli, arabi ecc.

I temi fondamentali del Terzo Mondo sono gli stessi per tutti i paesi che vi appartengono. Perciò tutti questi temi saranno presenti, implicitamente o esplicitamente, nei cinque episodi.

Tuttavia ogni episodio affronterà, o meglio, sottolineerà, un tema particolare.

L'episodio girato in India avrà come temi i temi di quel mondo preindustriale in via di sviluppo: la Religione e la Fame (cfr. più avanti il soggetto dell'episodio).

L'episodio girato in Africa avrà come tema specifico il rapporto tra la cultura “bianca” (occidentale: ossia razionalistica e tipica di un mondo borghese e già del tutto industrializzato) e la cultura “di colore”, cioè arcaica, popolare, preindustriale e preborghese (con il conflitto che ne consegue, e tutte le sue drammatiche ambiguità, i suoi nodi insolubili).

L'episodio girato nei paesi arabi avrà come tema specifico il “nazionalismo” come fase di passaggio obbligatoria per una piccola borghesia che si sta formando in seguito alla prima industrializzazione. Nazionalismo che porta alla guerra: giusta (nel caso della guerra d'indipendenza combattuta dagli algerini contro i francesi) o ingiusta (nel caso della guerra - rappresentata appunto nel nostro episodio - tra la RAU e Israele).

L'episodio girato nell'America del Sud ha come tema specifico la “guerriglia”: ossia un conflitto all'interno delle forze rivoluzionarie, in paesi dove la coscienza di classe è ancora immatura (costituiti come sono principalmente da immense masse sottoproletarie urbane e contadine), o, in termini attuali, un conflitto tra il marxismo ortodosso e il castrismo.

Il quinto episodio, quello ambientato nei ghetti del Nord America, riguarda il tema specifico del “dropping out”: ossia l'esclusione e l'autoesclusione come due momenti ugualmente drammatici del razzismo: e la violenza come reazione.

Tutti questi temi sono già nella coscienza di molte minoranze (attraverso le testimonianze e le opere dei più diversi scrittori, da Sartre a Fanon, da Obi Egbuna a Carmichael ecc. ecc.): quindi, nei loro termini storici, il film li tratterà per quanto possibile obbiettivamente. Essi costituiscono l'unità logica del film. Tuttavia insieme a questa unità logica ci sarà anche una unità affettiva: e il “sentimento” che collegherà questi cinque episodi costituirà anche la ragione prima del film, il suo aspetto soggettivo e il suo stile. Tale “sentimento” sarà un sentimento violentemente e magari anche velleitariamente rivoluzionario: così da fare del film stesso un'azione rivoluzionaria (non partitica, naturalmente, e assolutamente indipendente).

L'immensa quantità di materiale pratico, ideologico, sociologico, ideologico, politico che viene a costituire un film del genere, impedisce obbiettivamente la manipolazione di un film normale. Esso seguirà dunque la formula: “Un film su un film da farsi” (ciò spiega il titolo “Appunti per un poema ecc.”).

Ogni episodio sarà formato da una storia, narrata per sommi capi e attraverso le sue scene più salienti e drammatiche, e dai sopralluoghi per la storia stessa (interviste, inchieste, documentari ecc.). I brani degli episodi in cui la storia è raccontata secondo il procedimento normale, saranno girati e montati normalmente: i brani di sopralluoghi “per la storia da farsi” conserveranno la loro qualità casuale e immediata.

Stilisticamente dunque, il film sarà molto composito, complesso e spurio: ma a semplificarlo provvederanno la nudità dei problemi trattati e la sua funzione di diretto intervento rivoluzionario.

Paesi Arabi

 

II film comincia (e finisce) nel Sinai il giorno dopo la guerra dei Sei Giorni.

Il deserto è pieno di colonne corazzate distrutte, di aeroplani abbattuti che stanno ancora bruciando, di accampamenti abbandonati: e di morti. Cumuli di morti. È l'esercito arabo, diventato, appunto, un esercito di morti ecc. ecc. Le bruciature del napalm, le orribili mutilazioni dei bombardamenti ecc. ecc. Del materiale documentario autentico potrà rappresentare questa situazione in tutta la sua orribile verità.

Tra i mucchi dei cadaveri dei soldati egiziani (o giordani), eccone uno, su cui l'obbiettivo si ferma, isolandolo. È un ragazzo molto giovane, forte ecc., bruciato e mutilato.

Piano piano le sue bruciature e le sue mutilazioni scompaiono, la pelle ritorna bella, sana, intatta, dolce. I1 ragazzo sembra dormire.

L'obbiettivo è sempre puntato su di lui, come nell'aspettativa di qualcosa. Questo qualcosa succede, il cadavere resuscita.

 

Comincia la lunga intervista al cadavere resuscitato, con lo sfondo del deserto e degli altri morti, tra gli ultimi roghi.

L'attore che interpreta la parte di questo giovane soldato arabo morto (che chiameremo Ahmed), è Assi Dayan, il figlio del generale Dayan.

L'intervista con il soldato arabo morto e resuscitato si sdoppia quindi in due interviste distinte: la prima intervista è con l'attore, cioè con Assi Dayan, la seconda intervista è col personaggio, cioè con Ahmed.

Tali due interviste si alterneranno, secondo lo schema canonico del “montaggio alternato”.

Ora, Assi, il figlio di Moshe Dayan, parla. Egli è infatti un giovane colto, cosciente. Ahmed, invece - il personaggio che egli interpreta - non parla, perché è un giovane analfabeta, innocente e inconsapevole.

L'intervista a Assi Dayan sarà dunque parlata: 1'altra intervista che si alterna a questa, ad Ahmed, sarà invece muta.

Seguendo i discorsi di Dayan come un pretesto, il film si trasformerà a tratti, in una inchiesta o documentario su Israele: uno stato industrializzato, anzi, tecnicizzato molto civile ecc. Vedremo le sue fabbriche, l'organizzazione della sua vita, il suo kibbutzim ecc. ecc. Ma soprattutto, sentiremo le sue ragioni (quelle del giovane Dayan, quelle di suo padre, quelle di Ben Gunon - e quelle dei dissenzienti). Tali ragioni tenderanno soprattutto a giustificare il nazionalismo (o sionismo) e la conseguente guerra.

Seguendo il filone di Ahmed, avremo il pretesto per girare un documentario sul suo paese “sottosviluppato” (Egitto o Giordania): per far questo, basterà seguire - senza parole - alcuni momenti della vita quotidiana, dei tempi di pace, del ragazzo. Vedremo così il suo villaggio contadino e miserabile; la sua povera casa; il suo lavoro; i suoi amici; la sua fidanzata (che egli non conosce); l'atmosfera politica in cui vive (il fanatismo nazionalista nasseriano). Anche egli dunque, non parlando e com­mentando, ma soltanto rappresentandosi, risponderà alle stesse domande a cui risponde il giovane Dayan: perché il nazionalismo e perché la guerra.

Le ragioni che parlando darà Dayan e le ragioni che in inconsapevole silenzio darà Ahmed, saranno equivalenti. Non ci potrà essere scelta tra le due.

Alla fine il cadavere - resuscitato soltanto per il tempo necessario a dare un'intervista - si ricoprirà delle sue orrende ferite, delle sue atroci ustioni, e si riperderà nell'immedicabile silenzio della morte.

È questa conclusione che, insieme ad esprimere un dolore inesprimibile e puramente dato, darà anche il giudizio morale del film. Cioè una condanna di ogni nazionalismo - in qualsiasi sua forma storica - e della guerra - per qualsiasi ragione essa avvenga.

Infatti il giovane colto israeliano e il giovane arabo analfabeta, sono una stessa persona. Uno stesso ragazzo morto, a cui nessuno potrà mai ridare la vita perduta per delle ragioni storiche la cui sproporzione con l'eternità non ha giustificazione alcuna.

 

 

Sud America

 

L'episodio ambientato nel Sud America (insieme a quello ambientato nei ghetti degli Stati Uniti) è quello che più si avvicina a un'inchiesta o a un sopralluogo, facendo della storia che narra una vera e propria, semplicissima traccia.

Questa storia è la storia di Che Guevara in Bolivia.

Il pretesto narrativo di questo episodio sarà una “lettera” dell'autore scritta alla madre rimasta in Europa. Pretesto che servirà a semplificare e ad umanizzare 1'arduo polemico e disperato tema della guerriglia con la conseguente tensione ideologica tra marxismo ortodosso e castrismo.

I sopralluoghi tenderanno a verificare se la popolazione contadina e operaia del Sud America è preparata a una rivoluzione o se essa è ancora politicamente immatura e incapace di decisioni con cui rendersi responsabile del proprio destino.

L'intervista centrale dell'episodio sarà una intervista a Fidel Castro (e, nella eventualità che tale intervista sia impossibile, una sintetica lettura della sua Orazione funebre per Che Guevara). La vita di Che Guevara, come abbiamo detto, specialmente la sua ultima parte, fino alla morte, sarà vista a scorci molto rapidi: e mentre negli altri episodi ci sarà un protagonista attore, qui Che Guevara rappresenterà se stesso (attraverso l'uso molto scarno, di materiale di repertorio).

 

 

Ghetti del Nord America

 

Anche il protagonista di questo episodio sarà un personaggio storico recentemente scomparso, morto esattamente come egli stesso prevedeva): Malcolm X.

In questo caso ci sarà un attore a interpretarlo: ma meglio che un attore sarebbe il caso di definirlo demiurgo, o transfert. Infatti, al contrario che per 1'episodio dei Paesi Arabi, in cui il giovane Dayan interpretava un giovane arabo, cioè un personaggio assolutamente diverso da lui, in senso razziale, sociale e umano - qui l'interprete di Malcolm X potrebbe essere Cassius Clay, o Carmichael o un altro “leader” del “potere negro”. Dunque, personaggio e interprete, in senso razziale, sociale e umano sarebbero quasi perfettamente analoghi.

Seguendo l'interprete-guida, l'episodio racconterà, sempre per interposta persona, la vita di Malcolm X (si confronti la sua Autobiografia) e nel tempo stesso sarà un documentario sulla vita dei negri in America, e su ciò che essi pensano di se stessi. Nella fattispecie come agiscono nell'ambito dell'ideologia del “potere negro”, della “violenza”, dell'“autoesclusione” ecc. L'unica scena narrata secondo lo schema tipico di una storia cinematografica, sarà, in questo caso, la scena dell'assassinio di Malcolm X.

 

 

Nota al “Padre selvaggio”

 

Le seguenti pagine, benché si presentino sotto forma di trattamento, sono in realtà una vera e propria sceneggiatura. Vi mancano i testi dei dialoghi.

Nel film che girerò sul Padre selvaggio, tali dialoghi non vi saranno (o saranno ridotti a qualche battuta): infatti tutta la parte dialogata del film può essere abolita, e sostituita con delle interviste e delle inchieste, esprimendone gli stessi concetti (ossia: la difficoltà di un insegnante bianco, razionalista e marxista di mettersi in rapporto con degli scolari negri, di cultura irrazionalistica e contadina e che quindi tendono ad assumere, dagli educatori, una forma rassicurante di conformismo).

L'intervista-guida su tali problemi sarebbe un'intervista con Sartre.

Tale intervista tornerebbe nel film come un legame tra una e l'altra delle scene indispensabili (girate con l'essenzialità dei film muti) in cui si rappresentano solo le azioni e le situazioni (l'arrivo dell'insegnante e il primo giorno di scuola; la prima fuga del ragazzo negro protagonista; l'incontro coi giovani soldati bianchi; le vacanze nel villaggio natale; la battaglia; l'allusione al rito dell'antropofagia; il ritorno a scuola; la soluzione del dramma).

 

 

Nota al film sull'India

 

L'idea di questi Appunti per un poema del Terzo Mondo, mi è venuta girando in India un documentario che aveva come soggetto i sopralluoghi per un film di questa storia.

Girando in India, mi sono infatti accorto dell'enorme vastità degli argomenti possibili per un film sul Terzo Mondo: l'India da una parte non mi si è presentata come un paese “tipico” del Terzo Mondo (infatti vi mancano alcune situazioni sostanziali: per esempio un'opposizione politica veramente forte e soprattutto originale, e la non-violenza di Gandhi non ha ancora subito l'evoluzione che tende a rovesciarla, verso forme di contestazione violenta); dall'altra parte, gli altri problemi comuni con tutto il Terzo Mondo, hanno in India proporzioni così vaste e inafferrabili, che “ridurle” alla durata di un film normale, sembrerebbe impresa molto difficile.

Ridurrei dunque il film indiano ai temi fondamentali della Religione e della Fame (cioè tornerei allo schema iniziale della storia), trascurando gli altri, ma drammatizzando fino alla massima tensione quei due temi fondamentali. Infatti, riducendo il film a un episodio, sarei costretto a concentrare tutto sulle quattro morti: il padre che si dà in pasto alle tigri, e la moglie e i tre figli che muoiono a uno a uno di fame.

settembre 2006