Pasolini e la patrimonializzazione dei beni culturali in Medio Oriente
di Menico Copertino

1. Proliferazione delle differenze culturali e moltiplicazione dei recinti marginali nella “seconda rivoluzione industriale”

 

In una delle sue Lettere luterane, Pasolini affronta il tema della differenza e dell'atteggiamento della società “maggioritaria” nei confronti dei gruppi marginali.

Nel caso di società intolleranti poste di fronte alle loro “marginalità” interne, la risposta è la reclusione fisica di queste marginalità. Le società “tolleranti”, invece, sono per definizione portate a tollerare le alterità, ma soltanto fino a quando esse non si esprimono su questioni che riguardano l'intero mondo sociale in cui sono inserite; nel momento in cui questo accade, le società tolleranti - non disposte a tollerare che la marginalità si esprima attraverso il proprio punto di vista sulla globalità sociale – stabiliscono a loro volta dei confini di pensiero e di azione in cui incasellare quelle differenze.

Nella società che in un'altra Lettera luterana Pasolini definisce nata dalla “seconda rivoluzione industriale”, ossia la rivoluzione consumistica del capitale mondiale, si assiste a una moltiplicazione di simili recinti invisibili, che delimitano terreni di pratica e discorso in cui tenere a bada l'alterità. La risposta multiculturalista alla differenza culturale sembra perpetuare questo modello1.

Uno degli effetti più evidenti della globalizzazione dell'economia e del pensiero è la proliferazione delle differenze culturali. La creazione di barriere identitarie, la definizione di appartenenze, la riscoperta e molto spesso l'invenzione di tradizioni culturali sono fenomeni all'ordine del giorno in quasi ogni luogo del pianeta. Le idee di tradizione2, nostalgia3, bene architettonico e culturale4 circolano a livello globale e funzionano in determinati campi5 dell'esperienza umana; i gruppi e gli individui che vivono, lavorano e agiscono in questi campi sono protagonisti di dinamiche contemporanee quali “il prodursi e il riprodursi di forme reificate della differenza culturale, all'interno dei processi di espansione egemonica di una gerarchia globale di valori (…); la forza dei processi di de-localizzazione della produzione, di circolazione globale di donne, uomini, idee e informazioni e di ri-definizione immaginaria di luoghi e appartenenze (…); il frammentarsi dei discorsi universalisti e delle pratiche disciplinari della modernità (…). Questo quadro (…) costituisce lo sfondo politico-culturale globale sul quale si muovono le diverse forme di oggettivazione culturale di identità e appartenenze”6.

La chiara definizione di oggetti in cui i gruppi umani possano riconoscere incorporate la propria appartenenza identitaria e il proprio sentimento etnico porta all'enfatizzazione di tradizioni architettoniche (le architetture vernacolari), modalità musicali (la world music), specialità gastronomiche (la cucina etnica), “tipicità” nell'organizzazione familiare e sociale (l'organizzazione tribale, il clan), eccetera. La trasformazione di questi campi dell'esperienza umana in cose, oggetti su cui è possibile posare lo sguardo, che è possibile toccare e gustare, la loro oggettivazione7, è possibile solo a patto di eliminare le articolazioni e i conflitti interni ad essi e di reificare (ossia rendere cose) gli stessi attori sociali, uomini e donne che agiscono quotidianamente all'interno di quei campi. Una volta oggettivati, trasformati in cose, attori sociali e peculiarità culturali possono essere sottoposti al passaggio successivo, ossia la loro mercificazione; trasformate in merci e immesse nel mercato delle differenze culturali, le persone e le loro appartenenze sono pronte a contribuire alla perpetuazione delle dinamiche del capitale e del suo mercato globale.

Posta in questi termini, la questione appare un po' generica; c'è bisogno quindi di indagare quali istituzioni o quali gruppi di potere o quali potentati economici traggano beneficio o dirigano tali processi di oggettivazione e mercificazione. Una risposta univoca corre il rischio di creare altre oggettivazioni (il capitale, il mercato) che riescono poco o punto a spiegare la complessità dei fenomeni indagati. Esporrò quindi un caso specifico di un campo, quello della patrimonializzazione dei beni culturali, e di un luogo specifico, la capitale della Siria, Damasco, in cui quelle dinamiche sono all'opera.

 

 

2. L'Unesco e la trasformazione di prodotti del lavoro sociale in beni culturali e poi in merci

 

Il principale attore istituzionale su scala planetaria della patrimonializzazione dei prodotti architettonici, monumentali e territoriali è l'UNESCO.

Edifici, monumenti, siti urbani e rurali sono prodotti del lavoro sociale; la loro oggettivazione e trasformazione in “beni” culturali richiede la cancellazione delle tracce di quel lavoro e delle articolazioni interne, conflittualità, materialità e tempi proprie dei processi di produzione: da prodotti del lavoro sociale, tramite il processo di patrimonializzazione edifici, monumenti e siti sono trasformati in creazioni del genio umano.

L'obiettivo cui l'UNESCO contribuisce insieme ad altre organizzazioni internazionali è infatti quello di costruire una ideale comunità umana fondata su “beni (monumenti, gruppi di costruzioni, siti, o tratti naturali, formazioni geologiche o fisiologiche e siti naturali) che siano giudicati espressione di un dichiarato valore universale8; i beni vengono inseriti nello spazio globale immaginario della World Heritage List (WHL), in cui ogni singolo “bene” è un'icona patrimoniale, idealmente paritetica, delle capacità creative dell'umanità.

La trasformazione di questi beni in merci in genere non suscita particolare scalpore nell'opinione pubblica, salvo nei momenti in cui prende il sopravvento la gestione malavitosa del mercato dei beni culturali, come è successo in occasione del saccheggio del museo di Baghdad ad opera di gruppi di ladri professionisti prima, e della folla inferocita contro il regime di Saddam dopo. Qualche mese dopo i mass media hanno enfatizzato lo scandalo della vendita su scala mondiale degli oggetti archeologici mesopotamici, provenienti da quel museo, soprattutto per mezzo del mercato virtuale di eBay.

Fatti i dovuti distinguo, il principio di mercificazione degli oggetti “culturali” informa anche lo spirito e l'attività della Patrimonio dello Stato S.p.a., istituita ad opera dell'ex ministro Urbani nel 2002. Sul sito web di questa istituzione si legge che “l'Italia ha un patrimonio - reale e finanziario - di straordinarie dimensioni. Attraverso una sua gestione dinamica, non solo la finanza pubblica ma l'intero sistema economico nazionale possono ottenere notevoli guadagni”.

Il “patrimonio reale” dello stato è quindi una risorsa che il gestore (cioè il ministro dell'economia, che nomina e controlla l'amministratore delegato della Patrimonio Spa) può trasformare in denaro. Tra gli obiettivi esposti nella missione della Patrimonio S.p.a., infatti, ci sono “l'individuazione di procedure di alienazione di beni, anche attraverso fondi comuni di investimento immobiliare e operazioni di cartolarizzazione; la valorizzazione, la gestione e l'alienazione-acquisizione del patrimonio di altri soggetti pubblici; l'acquisizione e la cessione di beni di terzi funzionali al raggiungimento dello scopo sociale”.

Ancora, dal sito internet della Patrimonio S.p.a. apprendiamo che “l'attività di valorizzazione e dismissione di Patrimonio S.p.a. si esplica essenzialmente mediante operazioni di collocamento sul mercato di immobili pubblici precedentemente trasferiti alla Società. (…) Il collocamento avviene mediante asta. (…) Gli immobili che restano invenduti all'asta sono messi in vendita tramite procedura a trattativa privata”.

Escludendo simili casi di delinquenza (Iraq) ed estremismo liberista (Italia), la trasformazione di oggetti, spazi, monumenti, edifici in “beni” e la patrimonializzazione di tali beni rispondono a una logica sottilmente diversa dalla pura mercificazione. La designazione di un determinato oggetto per l'inserimento nella WHL dell'UNESCO non dipende – ovviamente - dal valore di scambio di quell'oggetto, ma da altri tipi di valore: l'oggetto in questione deve essere espressione della località dove è stato prodotto e contemporaneamente deve essere espressione delle capacità creative dello spirito umano inteso globalmente.

I “quartieri antichi” di Damasco sono stati inseriti nella WHL nel 1978; nella relazione preparata dagli specialisti dell'UNESCO si parlava della rarità e del valore storico delle antichità damascene. Come è accaduto in altri siti su scala planetaria, il riconoscimento delle caratteristiche e qualità necessarie per entrare a far parte della World Heritage List ha dato luogo a processi di riqualificazione dell'ambiente edificato. Il fenomeno della riqualificazione appare come uno dei campi in cui si intersecano flussi di idee, capitali, tecniche e persone che caratterizzano l'età della globalizzazione economica9.

3. Damasco, il suo centro storico, la riqualificazione urbana, il flusso di investimenti

 

La concentrazione nella città di Damasco di importanti sedi del settore terziario e dell'apparato burocratico statale, la progressiva liberalizzazione dell'economia e i recenti significativi eventi legati a questo fenomeno – tra i quali il proliferare di banche private e agenzie di credito -, lo sviluppo dell'industria turistica,  delle comunicazioni e del settore edile sono tra i fattori che determinano nella capitale della Repubblica Araba Siriana importanti interventi di riqualificazione dell'ambiente edificato nei quartieri centrali. Per certe sue caratteristiche - centralità, rilevanza storica, evoluzione sociale e architettonica, presenza di amenità culturali, evidenza topografica e immaginativa - il centro storico è una delle aree maggiormente interessate al fenomeno della riqualificazione.

Il riconoscimento dell'UNESCO è stato uno degli eventi che hanno stimolato il “ritorno” al centro storico di gruppi dai redditi medio-alti. In un'arena socio-politica fortemente influenzata dalla liberalizzazione economica, avviata in Siria alla fine degli anni Ottanta, il “ritorno” si configurava come un flusso di investimenti in direzione di quest'area urbana.

In generale in Siria, come in altri paesi mediorientali per cause diverse (soprattutto la ricostruzione post-bellica in Libano e Iraq) sono cresciuti enormemente gli investimenti nel settore edile; politiche bancarie ad hoc, come il dimezzamento dei tassi di interesse (8%–4%), hanno indotto molti creditori a investire negli immobili. Tra la seconda metà del 2003 e la prima metà del 2004 i prezzi degli immobili sono cresciuti significativamente; secondo alcuni analisti, l'investimento in questo settore indica l'intenzione degli investitori di evitare settori più rischiosi; tale intenzione è comprensibile se si considera che il settore industriale è in costante declino, in particolare dal 2000, e che il commercio estero è stato fortemente penalizzato dalle sanzioni imposte dall'amministrazione statunitense, che hanno proibito o inibito gran parte dei rapporti commerciali tra i due Paesi (sebbene sia stata bandita dall'amministrazione Bush solo l'esportazione di prodotti statunitensi verso la Siria, e non il movimento opposto).

Il settore commerciale è stato penalizzato molto gravemente anche dai disordini avvenuti in Libano dopo l'assassinio dell'ex premier Rafiq al-Hariri, e dal conseguente rimpatrio di centinaia di famiglie siriane dal paese confinante. Inoltre la guerra in Iraq e la seguente invasione del paese hanno privato la Siria di un altro importante partner commerciale regionale. L'instabilità politica dell'Iraq ha indotto molti investitori irakeni e di altri paesi arabi, soprattutto del Golfo, a spostare i propri capitali nel mercato siriano, investendone una parte cospicua nell'edilizia.

All'interno del settore edile, un ambito particolarmente proficuo è quello della riqualificazione. Gli investimenti nella riqualificazione delle aree antiche e la “domanda” di immobili in queste aree  sono aumentati perché il governo siriano, in seguito al riconoscimento dell'UNESCO, ha promosso il settore turistico-culturale, investendo nel restauro di monumenti e facilitando l'apertura di ristoranti e caffé nel centro storico; una nuova legge in materia ha eliminato l'obbligo della partecipazione statale negli investimenti turistici, e di conseguenza diversi gruppi stranieri hanno investito nelle strutture turistiche in Siria.

Molti lavoratori dei servizi alle aziende (servizi informatici, legali, finanziari, mediatici e architettonici) investono negli immobili di quest'area per la possibilità di abitare vicino al luogo di lavoro, in un'area prestigiosa, in cui sviluppare particolari e soddisfacenti habitus10.  Il forte sviluppo del settore terziario, dei servizi e dell'amministrazione pubblica (secondo i dati ufficiali esso rappresenta il 49,4% del prodotto interno lordo) fa in modo che gran parte delle attività produttive si concentrino nel centro della città, e così il centro storico occupa una posizione strategica per i lavoratori di questo settore.

Sul piano dell'“offerta”, la grande disponibilità di edifici svuotati nel centro storico dipende da tre fattori principali:

1) il parziale abbandono del sistema della famiglia allargata come unità abitativa; nella scelta dell'abitazione da parte delle coppie sposate, la norma in molte società mediorientali è la “patrilocalità”: i nuovi nuclei familiari abitano nella casa del padre dello sposo. Nel corso degli ultimi decenni questo sistema ha subito un forte declino, soprattutto nelle grandi città: le giovani coppie vanno per lo più ad abitare in appartamenti monofamiliari; coppie anziane si sono così trovate ad abitare in enormi case, sproporzionate rispetto alle proprie esigenze di vita; considerando l'aumento del valore immobiliare degli edifici del centro antico, molti hanno trovato conveniente venderli;

2) movimenti demografici come l'esodo degli Ebrei siriani alla fondazione di Israele e nei decenni successivi, che ha svuotato completamente il quartiere ebraico;

3) movimenti urbani, come l'abbandono (taraka) del centro storico da parte di famiglie ricche e importanti durante il corso del Novecento, quando la modernizzazione della società e dell'economia, ad opera prima – timidamente - dell'impero ottomano e poi dell'amministrazione mandataria francese, fece percepire il centro storico come un'area di marginalità, degrado e miseria.

 

 

4. La casa araba, la produzione di luoghi elitari, la mercificazione degli oggetti architettonici, le nuove forma di marginalità

 

Il prepotente ingresso di investitori privati nel settore della riqualificazione urbana trasforma l'oggetto spaziale (già trasformato in “bene culturale” dall'UNESCO e oggettivato in un'entità chiamata “casa araba”) in una merce utilizzabile per creare un plusvalore.

In assenza di una opposizione democratica organizzata, la possibilità di contrastare questa mercificazione dipende dalla sensibilità dei singoli uffici amministrativi nel tentare di sottrarre determinati edifici al mercato immobiliare; gran parte della gente che abita nella città antica dalla metà del Novecento, dai redditi bassi e dallo scarso potere d'acquisto, non ha la possibilità di contrastare una simile dinamica e trova anzi conveniente vendere le proprietà ai “nuovi arrivati”; la contropartita degli investimenti delle classi medio-alte in questo settore è quindi l'esodo dei precedenti abitanti che non dispongono dei “capitali specifici”11 (in denaro, conoscenze, educazione) necessari per la riqualificazione e la manutenzione delle loro dimore.

Inoltre l'ingresso nei quartieri antichi dei nuovi gruppi con più forte potere d'acquisto fa crescere i costi degli affitti, molto contenuti fino a qualche anno fa: la presenza di una sorta di equo canone faceva sì che un appartamento costituito da alcune stanze nelle grandi “case arabe” costasse poche centinaia di lire siriane (dalle cento alle duecento, ovvero dai due ai quattro euro) al mese. Con l'ascesa al potere di Beshar al-Asad le garanzie offerte dallo stato sociale sono state ridotte, seguendo un progressivo percorso di liberalizzazione economica iniziato sin dagli anni Ottanta, durante la presidenza di Hafez al-Asad, quando furono ridotte le costrizioni al settore privato nella prospettiva di una piena integrazione nel mercato capitalistico mondiale12.

La produzione di un luogo elitario attraverso la logica della mercificazione degli oggetti architettonici ha dunque l'effetto immediato di dar vita a nuove forme di marginalità. Coloro che si trovano deterritorializzati dal processo di mercificazione della città antica, i protagonisti dell'esodo da quest'area, sviluppano forme di disagio legate al fatto di trovarsi privati del loro ambiente familiare e ricollocati in aree nelle quali non possono ricreare i legami di vicinato, di solidarietà e di familiarità allargata che informavano in precedenza la loro esistenza.

Difficilmente si trova traccia di simili contraddizioni ed “effetti collaterali” nei discorsi che oggettivano l'antichità, la tipicità e le forme urbane tradizionali nei luoghi scelti per diventare patrimonio dell'umanità.

 

 

5. Pasolini, il degrado di Sana'a, gli interessi della Banca Mondiale

 

Nel 1970 Pasolini si recò nello Yemen per girare un episodio del Decameron. Inorridito dallo spettacolo del degrado della città antica di Sana'a, all'epoca capitale dello Yemen del nord e attualmente capitale dello Yemen unito, espresse una lirica richiesta di intervento all'UNESCO per la salvaguardia di quel sito.

Pur senza nominarle, Pasolini attribuì la responsabilità del degrado delle città medioevali in Medio Oriente alle forze che, dopo aver colonizzato (o sottoposto a mandato, o a protettorato) quelle aree, una volta sancita l'indipendenza dei paesi post-coloniali, continuavano a tenerli sotto scacco con le nuove forme di dipendenza capitalistica. Dopo che gli eserciti e gli apparati burocratici delle potenze europee avevano abbandonato le colonie, nei nuovi stati indipendenti erano rimasti modelli di sviluppo estranei al contesto storico-sociale, o erano subentrati modelli neocapitalistici o socialisti, che prevedevano, ad esempio, l'adozione delle tecnologie “occidentali” e comportavano uno sviluppo urbano irriguardoso delle vestigia architettoniche del passato. Corsaro, “luterano”, restio a frenare il proprio impeto di fronte a possibili contraddizioni e a sottoporre a un'analisi critica il proprio ruolo in quanto espressione del superiore potere/sapere13 dei paesi ex-colonizzatori rispetto ai paesi ex-colonie14, Pasolini sperò che le “mortali nostalgie per le condizioni di vita anteriori”15 inducessero “chi è al potere” a considerare quelle vestigia “un bene culturale passibile di diventare anche bene economico”: “si tratta di città, turisticamente, di valore enorme”16.

Nel 1986 l'UNESCO ha iscritto la città antica di Sana'a nella WHL17, giustificando la decisione attraverso le osservazioni che la città “offre un (…) esempio (…) dell'organizzazione dello spazio caratteristica dei primi secoli dell'Islam (…): Sana'a è direttamente e tangibilmente associata alla storia della diffusione dell'Islam”; inoltre le sue case “sono un (…) esempio di un unico stanziamento umano tradizionale” (corsivi miei)18.

Si oggettivano così tipicità, storia, tradizione. Il sito, notavano gli specialisti dell'ICOMOS, correva gravi pericoli legati al sovrappopolamento e alla speculazione edilizia. La straordinaria entità delle migrazioni regionali in Medio Oriente19 fa sì che estesi gruppi di migranti spesso preferiscano alle baraccopoli periferiche gli edifici abbandonati nei siti  storici centrali. L'affitto di questi edifici diviene un affare per speculatori che alimentano mercati di “lottizzazione pirata” difficilmente controllabili dalle autorità20. Contro queste speculazioni - e, implicitamente, contro questi residenti - si espresse l'ICOMOS nel 1985.  Il fatto che oggi il principale ente finanziatore della salvaguardia e riqualificazione del sito sia la Banca Mondiale fa temere che la patrimonializzazione che dovrebbe salvaguardare Sana'a non si discosti qualitativamente dalla speculazione che la minacciava negli anni Ottanta.


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1 Wieviorka 1996 e 2003.
2 Clifford  2002, Fischer 1997, Palumbo 2003.
3 Cunningham Bissell 2005, Bettini 1992, Herzfeld 1991, Luz 2006 n.p.
4 Palumbo 2006, Poulot 2006, Herzfeld 2006 e 1991, Maffi 2006.
5 Per la definizione di “campo” Bourdieu 1992.
6 Palumbo 2006, p. 78.
7 Sull'oggettivazione dell'esperienza umana cfr. Bourdieu 1992; sull'oggettivazione della differenza culturale cfr. Palumbo 2003 e 2006, Herzfeld 1991.
8 Palumbo 2006, p. 344.
9 Hannerz 2002, Appadurai 1996, Harvey 1993.
10 Secondo Pierre Bourdieu (2003) gli habitus sono sistemi di disposizioni che generano pratiche, azioni, pensieri, percezioni, discorsi, espressioni e rappresentazioni della gente, che sembrano regolarità culturali; ma le pratiche quotidiane, i discorsi e le rappresentazioni della gente sono improvvisazioni prodotte e regolate dagli habitus; i limiti di un particolare habitus sono fissati dalle condizioni materiali, storico-sociali e di classe che lo producono. Le pratiche generate dall'habitus a loro volta riproducono quelle condizioni oggettive.
11 Bourdieu 1992.
12 Hinnebusch 2001. Negli anni Novanta nuove leggi sugli investimenti hanno consentito l'investimento privato nell'industria, hanno soppresso le tasse di importazione, hanno permesso agli investitori di importare valuta pregiata al di fuori dei canali statali e hanno abbattuto i tassi delle imposte sul reddito. Nel 2004 sono state aperte le prime banche private. Gli effetti positivi che si sperava di ottenere da tali iniziative tardano a manifestarsi: l'industria è rimasta esclusa dai nuovi investimenti, che si sono concentrati esclusivamente nel settore terziario e segnatamente nel turismo; l'edilizia, come abbiamo visto, è diventata uno dei settori preferiti per l'investimento privato.
13 Foucault 1993.
14 Said 2006.
15 Pasolini, dal commento al documentario Le mura di Sana‘a, 1970.
16 Ibidem
17 Nel 1988 il direttore del progetto di salvaguardia della città, Abdulrahman Al-Haddadsi si è espresso in questi termini: “Dobbiamo tutto a Pasolini, che ha messo in moto la solidarietà internazionale sul problema della salvaguardia della nostra città” (www.pasolini.net).
18 ICOMOS (International Council of Monuments and Sites) 1985; si tratta dell'organizzazione internazionale cui l'UNESCO affida materialmente la selezione dei siti da iscrivere alla WHL.
19 Fargues 2006.
20 Davis 2006, p. 41.

settembre 2006