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In queste pagine analizzeremo le mutazioni intervenute nel Partito Comunista Italiano, e di riflesso, in generale, nella Sinistra italiana durante gli anni Sessanta, rispetto all'emergenza costituita dal cosiddetto Terzo mondo. La grandezza dell'universo terzomondista ci obbliga ovviamente a fare delle scelte. Ci occuperemo pertanto, in modo particolare, del “microcosmo” cubano.
Cuba è stata la protagonista della prima rivoluzione guerreggiata contro il sistema imperialista nella seconda metà del XX secolo. Questa rivoluzione ha rappresentato, per questa ragione, la stella polare, non solo del movimento di liberazione dei popoli del Sud del mondo, ma anche del movimento terzomondista europeo, almeno fino all'escalation statunitense nella Guerra del Vietnam. In Europa e in Italia lo spirito cubano di autodeterminazione e di resistenza alle logiche del liberismo selvaggio fu accolto con grande entusiasmo. Fu eretto a baluardo della lotta contro le logiche di sfruttamento e di predominio degli Stati Uniti in America Latina, laddove, come affermava Palmiro Togliatti, “quando si fa strada un movimento democratico, ecco che questo colosso mette in movimento le sue marionette per stroncarlo con un colpo di Stato. [...] I dirigenti americani non ammettono che possa esistere, a qualche centinaio di chilometri dalle loro coste, un paese come Cuba, che vuole svilupparsi come paese socialista. Lo minacciano, lo bloccano, sono sempre pronti ad aggredirlo”1. Il dibattito in seno alla Sinistra italiana si determinò soprattutto perché la rivoluzione cubana aveva dimostrato la non-necessità delle marxiane “condizioni oggettive” per intraprendere un processo rivoluzionario, sopperendo a queste con la teoria “guevariana” foquista. L'esperienza della rivoluzione cubana assunse, quindi, un significato fondamentale soprattutto a partire dalla metà degli anni Sessanta: la speranza di potersi opporre al dominio statunitense, attraverso una presa del potere rivoluzionaria, proprio mentre quasi tutti i paesi subivano un ritorno delle dittature e dei golpe militari. Di qui la grande attenzione per la nascita della guerriglia. Se si considera, poi, che il regime castrista appoggiò l'esportazione della rivoluzione attraverso la tattica del foco (in spagnolo focolare, nucleo), cioè con la creazione e il sostegno diretto di nuclei anche piccoli di lotta rivoluzionaria, si capisce come l'esempio cubano abbia messo in crisi tutte le prospettive riformiste o evolutive di tipo elettorale, in favore della lotta armata. Nella prima fase della rivoluzione castrista, quella dell'effervescenza rivoluzionaria, Cuba fu riconosciuta dalla sinistra internazionale come luogo privilegiato di un dibattito teorico fortemente legato alla prassi della transizione al socialismo, stimolato particolarmente dall'attività di Guevara. L'interesse di tale dibattito era attestato e al tempo stesso accresciuto dalla partecipazione internazionale di intellettuali come Sartre, Débray, Rossanda, P.M. Sweezy, ecc. Questo interesse trovava la sua motivazione profonda nell'obiettivo comune alla rivoluzione cubana e alla sinistra internazionale: la costruzione del socialismo2.
Il PCI diventò, durante gli anni Sessanta, un acuto osservatore dei movimenti di liberazione nazionale e antimperialisti, che sempre più espandevano il proprio peso nelle dinamiche del sistema mondiale, e la cui risonanza si amplificava a livello planetario. Il sensibile aumento di interesse dei comunisti italiani coincise con il maggiore interesse che l'URSS espresse nei confronti dei rivolgimenti che sconvolsero gli assetti economici, politici e sociali dei paesi del Terzo Mondo. Ossia: quando l'URSS, e con essa tutto il movimento operaio e comunista internazionale, ritenne che il Sud del mondo potesse essere funzionale nella Guerra Fredda, il poter inglobare, seppure indirettamente, il Terzo mondo nella propria sfera, cominciò a significare spostare in maniera forte, e forse decisiva, l'ago della bilancia verso la rivoluzione socialista, ormai non più pensata “in un solo paese”. Mosca, da parte sua, fu costretta ad accettare l'idea, per non abbassare la sua quotazione di paese-guida non solo del campo socialista, ma anche dei movimenti di liberazione nazionale. Negli anni '60 in molti avevano intrapreso questa lotta, dietro l'esempio dell'Algeria e del Vietnam. In Asia, in Africa, in America Latina erano sorti movimenti di radicale protesta e di rivendicazione dell'indipendenza che premevano per lo sganciamento dalla “locomotiva imperialista”. I più forti, inizialmente, furono quelli africani: Lumumba, patriota congolese, aveva scatenato una battaglia contro le multinazionali belghe proprio nel cuore del continente nero. Nelle colonie portoghesi si muovevano le schiere mobilitate da Cabrál e Neto, mentre quelle ispirate da Nyerere agivano nell'Africa orientale. In Marocco si sviluppava un forte movimento antimonarchico, guidato da El Mehdi Ben Barka, che, nella radicalità dei propositi, andava ben oltre il burghibismo tunisino, mentre nel Medioriente il presidente Nasser spingeva, insieme con il partito Baath iracheno, per l'unità del mondo arabo contro Israele, ma anche contro le compagnie petrolifere, alleate con i sauditi e con lo Scià di Persia. In Asia, cresceva parallelamente un'ondata di emergenze nazionaliste: Sukarno in Indonesia cercava di consolidare un regime popolare di tipo cinese; mentre Laos, Cambogia, Birmania e in generale il Sud-est asiatico subivano il fascino dell'esperienza vietnamita. In America Latina, sull'esempio di Cuba, si moltiplicavano le guerriglie: dal Venezuela al Perù, dalla Colombia al Nicaragua, dal Salvador all'Uruguay, fino al Brasile e all'Argentina post-peronista. In questo clima fu raggiunto un accordo di massima fra Mosca e L'Avana. L'URSS pensava di servirsi dell'avallo prestigioso della rivoluzione di Cuba per stringere rapporti più proficui con tutti i moti di rivolta, cercando di collegarli con la sua politica di distensione. In cambio, Mosca avrebbe garantito anche militarmente la stabilità del regime rivoluzionario dell'Avana.
La politica internazionale del PCI deve essere considerata alla luce del suo legame con l'URSS. Nei primi anni della Guerra Fredda i sovietici diedero al PCI una collocazione piuttosto chiara: l'URSS considerava il PCI come un caposaldo della guerra di posizione con l'Occidente3. Un rapporto, quello tra il PCUS e il PCI, enormemente sbilanciato verso il primo, almeno fino agli inizi degli anni '50. Nel 1951, infatti, Togliatti oppose il primo grande rifiuto a Stalin, il quale aveva offerto al segretario del PCI di guidare il Cominform. In realtà il rifiuto di Togliatti non fu rivolto solo a Stalin, ma anche a gran parte del gruppo dirigente del PCI, favorevole all'ipotesi sovietica4. Del resto l'azione di Togliatti mirava a ridurre al minimo il ruolo e il peso del Cominform, in quanto si temeva potesse “ingessare” l'autonomia politica del PCI svolgendo un ruolo di controllo sulla capacità di “tradurre in italiano” le parole d'ordine sovietiche. Una prospettiva diversa per il PCI si presentò a partire dal 1953, ossia subito dopo la morte di Stalin e l'inizio della destalinizzazione. Togliatti potè, infatti, avviare il processo di cambiamento “legalitario” del PCI con meno preoccupazioni, visto l'atteggiamento possibilista dei nuovi dirigenti sovietici. A partire dal 1956, con il XX Congresso del PCUS, egli sentirà di poter puntare più energicamente alla realizzazione di una “via italiana al socialismo”, senza però rinunciare al ruolo determinante dell'URSS sul piano internazionale5. Dopo il XX Congresso del PCUS, la proposta togliattiana di riorganizzazione del movimento comunista internazionale su base regionale scatenò la dura reazione sovietica, e determinò la fine di ogni ipotesi di un allentamento dei vincoli del “legame di ferro”. Tale legame, del resto, fu rinsaldato dopo i “fatti di Ungheria”, che videro il convinto sostegno del PCI all'intervento sovietico. Togliatti fu spinto a rimodellare i rapporti con il PCUS seguendo la formula della “unità nella diversità”, confermata nel Memoriale di Yalta nel 1964, e destinata a caratterizzare i rapporti tra il PCI e il PCUS fino agli anni Ottanta6. Questa formula determinò una scissione tra gli aspetti nazionali e quelli internazionali. La diversità permise una relativa flessibilità e capacità di indipendenza politica e ideologica sul piano nazionale, mentre l'unità consentiva di ribadire il legame con l'URSS e sottoponeva ogni proposta di politica estera all'esame di compatibilità con gli obiettivi della diplomazia sovietica. I punti nodali della cultura internazionalista del PCI, nel dopo Stalin, furono senza dubbio il mantenimento del “mito sovietico”, il riferimento alla forza espansiva del comunismo fuori dall'Europa, in particolare nel Terzo Mondo, e le prospettive aperte dall'inizio dei processi di distensione internazionale. Anche durante la nuova crisi del comunismo internazionale, determinata dal conflitto “cino-sovietico”, Togliatti, benché estremamente cauto nell'operare una netta distinzione tra il dissenso dalle posizioni cinesi e la loro scomunica, ebbe modo di ricordare con una certa insistenza al gruppo dirigente del PCI che il partito era “parte della realtà del campo socialista mondiale, e che a partire da questo doveva essere concepita la funzione internazionale dei comunisti italiani”7.
L'interesse del PCI verso l'America Latina e verso la rivoluzione cubana ha risentito dello scarso interesse che il movimento operaio e comunista internazionale ha avuto nei confronti dei paesi coloniali o semicoloniali. Per molti anni in America Latina il movimento socialista di radice marxista si sviluppò solo nelle zone dove si addensavano i flussi di manodopera provenienti dall'Europa, mentre trovarono più diffusione le correnti anarco-sindacaliste. Inoltre, la stessa Internazionale, come scrive José Aricó, “non giunse mai a una reale consapevolezza della differenza esistente fra la sua esperienza, limitata all'Europa, anzi alla parte avanzata dell'Europa, e la sua pretesa universalistica, proprio perché aveva preliminarmente escluso dalla sua considerazione un mondo sottovalutato in quanto barbaro”8. Fu solo con il Congresso della III Internazionale in cui vennero approvate le Tesi sulla questione coloniale, redatte da Lenin e da M. N. Roy, che vennero riconosciute la peculiarità e “l'autonomia della situazione coloniale e il correlativo bisogno di una decentralizzazione”9. Questo importante passo in avanti verso il riconoscimento della potenzialità rivoluzionaria dei movimenti latinoamericani fu neutralizzato dalla tradizione operaista del movimento internazionale. Solo nel 1927 l'Internazionale comunista parlò in maniera specifica di un problema latinoamericano, facendo riferimento all'intervento degli Stati Uniti in Nicaragua10. Se da un lato, quindi, l'Internazionale “invitava” i comunisti ad appoggiare i movimenti di liberazione antimperialisti, dall'altro pretendeva che i movimenti dessero vita a partiti comunisti di estrazione prettamente proletaria. Ma è evidente che in America Latina mancavano le “condizioni oggettive” per costituire dei partiti “a immagine e somiglianza” di quelli europei. I partiti comunisti latinoamericani erano obbligati a porre alla guida dirigenti che, quasi sempre, erano studenti o intellettuali. Questo predominio intellettuale era giudicato come un elemento di debolezza dall'Internazionale, e ciò causò l'inasprimento del settarismo dei comunisti latinoamericani. Il settarismo e la diffidenza dei comunisti cubani verso alcuni gruppi politici realmente rivoluzionari della piccola borghesia avevano respinto nell'isolamento (se non addirittura verso la reazione latifondista ed ecclesiastica) gruppi importanti dell'opposizione nazionalista, democratica e liberale. Fu tale, ad esempio, anche il fondatore del Partito comunista cubano, Julio Antonio Mella, che non poté essere mai il segretario perché “era considerato un intellettuale, e quindi recava in sé, nonostante il suo spirito rivoluzionario, una tara d'origine, un vizio occulto che poteva manifestarsi ad ogni momento”11. La tendenza al settarismo andò via via sedimentandosi nel Partito comunista cubano, a cavallo tra gli anni '20 e '30, durante la dittatura di Machado, nonostante i dirigenti del Comintern, preoccupati di questa “deriva”, avessero tentato di porvi un argine nel 1931 con la sostituzione dello svizzero Humbert-Droz da parte dell'italiano Togliatti, alla direzione del segretariato latino del Comintern a Mosca, che comprendeva tutti i paesi ispanoamericani12. A quegli anni risale il primo incontro tra un esponente del Partito comunista italiano, Vittorio Vidali, e i due maggiori esponenti del Partito comunista cubano, Julio Antonio Mella e Rubén Martínez Villena13. Vidali, uno dei pochi europei ad aver ricevuto la tessera del PCUS, nel 1927 ricevette l'incarico da Elena Stassova, presidente del Soccorso Rosso internazionale (importante organo dell'Internazionale comunista), di recarsi in Messico per organizzare il Soccorso rosso dell'America Centrale e per sostenere le lotte dei minatori e dei contadini. Proprio in Messico incontrò Mella e Villena. Vidali in un articolo apparso su Rinascita nel 1972 ricordava Mella e ne metteva in evidenza le qualità di studioso, di educatore e di organizzatore nell'esperienza del Soccorso rosso internazionale. La ricerca delle forme organizzative del movimento comunista li accomunava e, al tempo stesso, comune era la considerazione che “qualcosa” impedisse che le rivoluzioni antimperialiste potessero concludersi positivamente: “Allora, noi pensavamo sempre alla lotta armata; allora non si parlava nemmeno di possibili vie pacifiche al socialismo. Si tentavano spedizioni in Messico, in Bolivia, nel Venezuela ed altrove e tutte andavano a finire male”14. Nel ricordo di Vidali appare anche chiara la sufficienza con cui il movimento comunista cubano veniva considerato dall'Internazionale: “Nell'inverno 1928 venni delegato dal partito e dalla organizzazione comunista del Messico al Congresso dell'Internazionale comunista e dell'Internazionale della gioventù comunista a Mosca. Credo che allora non fosse presente a Mosca alcun rappresentante della gioventù cubana perché fui io incaricato di venire all'Avana per porre il problema dell'organizzazione giovanile comunista”15. Dallo stesso articolo e dal rapporto che Vidali tenne con Mella e i comunisti cubani e messicani, si possono ricavare utili indicazioni relativamente a quelle che furono le aspettative dei movimenti e dei modelli rivoluzionari a cui si guardava con più fiducia. Il modello della rivoluzione cinese, ad esempio, aveva come fulcro i contadini. La rivoluzione sembrava potesse essere condotta da forze non operaie: “Nel movimento comunista internazionale di quegli anni si discuteva molto sulla lotta in Cina e ci si poneva il problema: fino a che punto era possibile marciare con la borghesia per l'indipendenza di un popolo? Altro argomento di dibattito era quello sulle affinità della rivoluzione cinese con quella messicana e sul carattere di quest'ultima.”16 I comunisti cubani, come quelli italiani, subivano una dittatura che aveva tratti molto simili, anche perché il dittatore cubano s'ispirava fortemente al modello mussoliniano: “Machado era assai avanzato sul cammino della instaurazione di un'altra Italia. Impressionato dall'esempio di Mussolini”.17 Allo stesso modo i due partiti, scrive Vidali, erano vicendevolmente interessati alla resistenza antifascista: “Mella dimostrò sempre vivo interesse per la lotta antifascista in Italia e partecipò a numerose manifestazioni contro i fascisti italiani sia a Cuba che in Messico. Ci sono molti episodi che dimostrano la sua simpatia per la lotta italiana contro Mussolini e per lui il tiranno Machado era il Mussolini tropical”18.
A partire dal 1959 Cuba divenne il luogo preferito di una sorta di “pellegrinaggio politico” di molti intellettuali italiani di sinistra, che fino al XX Congresso del PCUS avevano avuto come meta l'URSS. Cuba era la prima repubblica socialista dell'America Latina, a sole novanta miglia dall'archetipo dell'imperialismo. La mediterraneità fu una componente da non sottovalutare. Infatti, come afferma Lorenzo di Nucci, “Cuba era un paese di lingua spagnola, di un idioma cioè fortemente familiare agli intellettuali di area mediterranea”, dove essi trovavano “il senso di una stessa discendenza, cioè a dire la comune appartenenza al mondo latino”19. l'Unità pubblicò nei primi quattro anni della rivoluzione cubana ben quattro corposi reportages. Il primo fu pubblicato a metà del 1960: un dossier di Marcel Very, che già era stato dato alle stampe in Francia da L'Humanité. Sempre del 1960, in settembre, venne pubblicato un reportage di Velio Spano e qualche mese più tardi uno di Arminio Savioli20. Nel 1962 fu Paolo Spriano, lo storico del PCI, a pubblicare il suo diario di viaggio nell'isola, Cuba anno quarto21. Il fascino suscitato dalla rivoluzione cubana non coinvolse immediatamente i vertici del PCI. Togliatti non si recò a Cuba, mantenendosi sulla linea di diffidenza e distacco con cui ancora per qualche tempo il movimento comunista internazionale avrebbe guardato la rivoluzione castrista. Una inversione di rotta in tal senso si ebbe solo il 1965, anno in cui fu costituito il Partito comunista cubano, ma ancor più dopo il 1970, quando Castro decise, ignorando le dure critiche di Guevara, di entrare a tutti gli effetti nel “blocco sovietico”. Fino al 1962, cioè durante i primi tre anni di vita della rivoluzione cubana, Castro non definiva la sua rivoluzione come comunista, bensì “umanista, radicale e libertadora”. La “freddezza” degli esponenti di vertice del PCI, in particolare dei più legati all'ortodossia, è dimostrata dalle dichiarazioni di Mario Alicata22 in cui si sosteneva che a Cuba la “svolta” si era verificata solo tra gli anni 1963-65, mentre la Cuba “affascinante ma un po' anarchica degli anni 1959-62” apparteneva ormai al passato23. Tutti i giornali di sinistra in Italia pubblicarono, in maniera intensiva, precisi e ampi resoconti di quello che succedeva a Cuba: non solo le impressioni di giornalisti, politici e studiosi, ma anche le considerazioni di poeti impegnati politicamente come Neruda24 e le poesie dedicate alla Revolución da Evtuschenko e Alberti25. Tra i diari e i reportages che attestavano la frenetica attività dei cubani per la costruzione di quello che fu definito il “socialismo tropical”, vogliamo ricordare quelli del comunista Vittorio Vidali, che già aveva avuto dei trascorsi di impegno politico a Cuba e in Messico durante il suo esilio “fascista”, del sindacalista Luciano Lama, dello scrittore ed esponente del PCI, K. S. Karol26 e di Saverio Tutino, inviato a Cuba de l'Unità.
Ripercorrere brevemente il pensiero di Togliatti è certamente importante per comprendere sia come il fenomeno terzomondista venisse inteso all'interno del partito stesso, sia quale sarebbe stata l'influenza che l'interpretazione togliattiana avrebbe avuto sul movimento operaio europeo. Tra il 30 gennaio e il 4 febbraio 1960 il PCI tenne il suo IX Congresso. La rivoluzione cubana aveva ormai da più di un anno “deposto le armi” e si avviava a dar inizio alla riforma agraria e alle nazionalizzazioni delle multinazionali statunitensi. Le vittorie delle rivoluzioni nazionali e socialiste in altri continenti, attestavano che il processo rivoluzionario mondiale aveva preso altre vie, magari particolari da paese a paese, ma sempre disposte a riconoscere nell'URSS il centro di raccolta di tutte le forze antiimperialiste. Nell'elencare le rivoluzioni nazionali che hanno dimostrato la debolezza dell'imperialismo statunitense, Togliatti porta anche l'esempio della rivoluzione castrista: “Se dall'Asia si ebbero subito dopo la guerra le più grandi vittorie contro l'imperialismo e il colonialismo, dal trionfo della rivoluzione cinese alla liberazione dell'Indocina e della Corea, oggi entrano impetuosamente sulla scena i popoli dell'Africa, dagli arabi ai negri. […] In un altro continente, il popolo di Cuba già ha lanciato a tutta l'America latina la parola e dato l'esempio della liberazione dall'asservimento agli interessi dell'imperialismo americano.”27 La radicale svolta avvenuta nella situazione internazionale veniva ribadita nelle Tesi del IX Congresso del PCI: “La nascita e la forza contro ogni forma di asservimento di tipo coloniale si sta estendendo all'America centrale e meridionale. In uno spazio sempre più esteso del mondo i popoli non solamente si sottraggono al giogo dell'imperialismo, ma attivamente ricercano nuove vie di sviluppo, che escludono ogni forma di sfruttamento e oppressione, e si oppongono quindi o resistono, in diversi modi, alle trame politiche imperialiste”28. Togliatti ritornava sulla “questione” cubana anche in un articolo apparso su Rinascita nell'agosto del 1961, dedicato all'analisi dell'incontro avvenuto nel giugno tra Chruscëv e J. F. Kennedy29. Definendo fallimentare la politica americana degli anni precedenti, Togliatti dimostrava come spesso essa avesse potenziato lo sviluppo del socialismo nel mondo, ossia proprio quello che voleva impedire: “Progressiva estensione del campo socialista sino ad abbracciare un terzo dell'umanità, […] nella perdita del monopolio dell'arma atomica, nell'approdo di una rivoluzione democratica e socialista nell'emisfero americano (Cuba) e nel crescente numero di popoli e paesi che respingono la sedicente tutela dell'imperialismo statunitense.”30 Togliatti passava poi ad esprimere un giudizio profondamente negativo sulla strategia kennedyana, della “nuova frontiera”: “Se la nuova frontiera deve essere quella della libertà, del diritto dei popoli a disporre di se stessi, come si spiega che sono satelliti degli Stati Uniti e tenuti in piedi da loro i regimi più abietti, reazionari e sanguinari, che esistono oggi nel mondo? […] Se la nuova frontiera deve essere quella del benessere, come si spiega che l'economia degli Stati Uniti poggi una parte del suo sviluppo sullo sfruttamento e sulla miseria dei popoli dell'America Latina?”31 Gli Stati Uniti sembravano a Togliatti pervasi da una sorta di esasperazione ideologica che li portava a considerare l'avanzata del socialismo nel mondo non come un fatto oggettivo, ma come il progetto demoniaco di agenti segreti sovietici. E ancora una volta si riferiva a Cuba per avvalorare il suo giudizio sugli Usa: “Se i contadini di Cuba vogliono la terra, la prendono e sostengono un regime che li deve liberare da ogni sfruttamento, questo diventa “la creazione di una base sovietica nell'emisfero occidentale”. Il problema non è più il progresso economico, politico e sociale, ma di strategia bellica.”32 Ancora una volta Togliatti riprendeva l'esempio della rivoluzione cubana per attaccare pesantemente l'operato del presidente Kennedy, le cui affermazioni e scelte verso il socialismo definiva “di scarso valore e anche negative”. Definiva irresponsabile l'azione di un presidente che aveva organizzato la conferenza di Punta del Este “per imporre la messa al bando della Repubblica cubana, rea di aver nazionalizzato qualche grande monopolio, di aver dato la terra ai contadini e di aver relazioni di amicizia con i paesi socialisti.”33 Tra il 2 e l'8 dicembre 1962 si svolgeva a Roma il X Congresso del PCI. La situazione internazionale si era fatta molto tesa: gli Stati Uniti, infatti, avevano chiesto e ottenuto dai governi di Gran Bretagna, Italia, Grecia e Turchia l'installazione sul loro territorio di missili Nato, e in particolare i missili Jupiter erano stati collocati in Turchia, ai confini con l'Unione Sovietica. I due “colossi” Cina e India davano inizio alle prime schermaglie militari, mentre nel mese di ottobre scoppiava la “crisi dei missili” a Cuba34. Il Congresso discuterà ampiamente il tema della minaccia atomica, già al centro del IX Congresso, e quello della disputa cino-sovietica. Togliatti, in quell'occasione, per dimostrare l'ineluttabilità della “coesistenza pacifica” tra Stati socialisti e imperialisti farà esplicito riferimento proprio alla soluzione della “crisi dei missili a Cuba”. Il PCI nei giorni della crisi dei missili fu costantemente in mobilitazione in molte città tra cui Roma, Milano, Torino e Genova. Le manifestazioni furono spontanee e, senza bisogno di speciale richiamo dal centro, si ebbero astensioni dal lavoro e scioperi cui parteciparono due milioni di lavoratori. Negli ultimi mesi del 1963 si moltiplicano le iniziative del PCI in campo internazionale, non solo verso i paesi del blocco socialista, ma anche verso quelli impegnati nelle “lotta di liberazione”. L'interesse crescente del Partito Comunista Italiano per l'esperienza cubana è infine dimostrato dall'incontro a Cuba, all'inizio del 1964, di una delegazione guidata da Ingrao con Che Guevara35. 2 G. GIRARDI, Cuba dopo il crollo del comunismo, pref. di F. Bertinotti, Ed. Borla, Roma 1995. 3 S. PONS, L'URSS e il PCI nel sistema della guerra fredda, in Il PCI nell'Italia repubblicana 1943-1991, a cura di Roberto Gualtieri, pref. G. Vacca, Carocci, Roma 2001, p. 6. 4 Ibid. p. 20. 5 Cfr. A. AGOSTI, Ascesa e declino del comunismo europeo, in Storia d'Europa, a cura di P. Bairoch e E.J. Hobsbawm, vol. V, Einaudi, Torino 1996, p. 1090 e sgg. 7 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio del Partito comunista italiano (apc), Direzione, Verbali, 9 aprile, 12 maggio 1964. 9 Ibid. p. 1031. 10 S. TUTINO, L'ottobre cubano. Lineamenti di una storia della rivoluzione castrista, Einaudi, Torino 1968, p. 94. 12 Cfr. H. THOMAS, Storia di Cuba. 1792-1970, Einaudi, Torino 1972, p. 428. 13 J. A. Mella, laureatosi nel 1921, milita nel movimento antimperialista dal 1922; è dirigente del movimento studentesco cubano e messicano. Verrà esiliato in Messico e parteciperà al Congresso antimperialista di Bruxelles nel 1927. Dopo aver visitato l'Unione Sovietica, sarà fondatore del Partito comunista cubano e collaboratore attivo del Soccorso rosso internazionale. Cadde la notte dl 10-11 gennaio 1929 assassinato a Città del Messico dai sicari del dittatore cubano Machado. R. M. Villena, avvocato, poeta di fama internazionale e uno dei massimi dirigenti del Partito comunista cubano. Diresse, due battaglie memorabili per il proletariato cubano, lo sciopero generale del 1930 e quello del 1933 che mise fine alla dittatura di Machado. Le informazioni biografiche dei due esponenti comunisti cubani sono state tratte da “Rinascita”, n. 3, 21 gennaio 1972, p. 24. |
settembre 2006 |