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Perseo, dopo aver ucciso Medusa, si sdraiò sulla spiaggia e posò la testa del mostro su un ciuffo di alghe marine per non danneggiarla. Le alghe si impregnarono del sangue della Medusa e per questa ragione si pietrificarono. Queste, secondo il racconto di Ovidio nel IV libro delle Metamorfosi, le mitiche origini del corallo, accettate dall'antichità e tramandate nella tradizione iconografica. Questo l'affascinante tema della mostra Coralli segreti. Immagini e miti dal mare tra Oriente e Occidente allestita nel Museo Archeologico Nazionale di Potenza a Palazzo Loffredo. Da sempre il corallo appare legato indissolubilmente a storie e leggende che ne esaltano le virtù terapeutiche e scaramantiche. In realtà il corallo è un materiale molto particolare, perché nasce da una trasformazione, non a caso il mito raccontato da Ovidio. Piccole lastre cigliate, natanti e vermiformi, trascinate dalle correnti marine, si fissano alle pietre, dove ciascuna dà origine ad un individuo da cui per gemmazione nasce una colonia. Fino al XVIII secolo gli scienziati non sapevano come classificarlo, se appartenente al regno animale, vegetale o minerale. Questa ambiguità di fondo ha caratterizzato tutta la storia di questo pregiato materiale e ne ha condizionato l'uso, dando luogo ad una vasta produzione di oggetti di uso quotidiano di scopo ornamentale e scaramantico come ciondoli, pendagli ed amuleti portafortuna, che ha alimentato un artigianato artistico di altissima qualità che ha avuto i suoi centri più importanti nel meridione d'Italia, a Torre del Greco e a Trapani. Un tempo il corallo era diffuso in tutto il Mediterraneo nelle sue varietà, rosso, rosa e perfino blu, e da qui veniva esportato in tutto il mondo allora conosciuto, seguendo le stesse vie per le quali in senso inverso si importavano spezie, profumi e altre merci pregiate. E' difficile dire con certezza da quanto tempo l'uomo conosca il corallo, ma il suo uso, con finalità apotropaiche, nonostante le rare testimonianze archeologiche, è attestato sin dalle epoche preistoriche. Furono forse il colore sanguigno, l'origine indefinita, la misteriosa ed intensa bellezza a sedurre l'immaginario dei popoli antichi e a far identificare il corallo con la forza vitale; gli si attribuirono doti scaramantiche e poteri taumaturgici e terapeutici. Ogni popolo che gravitava attorno al bacino Mediterraneo inserì il corallo nel proprio sistema religioso legandolo a divinità prevalentemente femminili, per lo più connesse alla navigazione e alle fasi lunari. Nell'antichità le civiltà stanziate lungo le coste mediterranee hanno utilizzato poco il corallo nella gioielleria; Greci, Romani, Fenici, Egizi, ne hanno fatto un uso per lo più terapeutico, polverizzato e mescolato ad altre sostanze, o magico, sotto forma di portafortuna. Diverso è invece il caso di popoli che non abitavano direttamente sulle coste, come Celti, Sciti, Sarmati, Germani, Indiani, Cinesi e Mongoli, che lo importavano facendone un materiale privilegiato dell'oreficeria. Dagli scavi nelle regioni settentrionali dell'Europa provengono numerosi oggetti con inserti di corallo esposti in mostra. Si tratta non solo di fibule, vaghi di collane, anelli e orecchini, ma anche foderi di spada ed elmi da parata di elevatissimo livello artistico, oggetti in cui il corallo è usato con una certa parsimonia ad indicare che si trattava di un materiale esotico e per questo costoso, il cui commercio era certamente molto redditizio per i popoli produttori. Un elmo in particolare è davvero di pregevole fattura, si tratta di un reperto del IV secolo a. C. proveniente da Montlaures. La parte conservata rappresenta un po' meno della metà dell'elmo e contiene 264 inserti di corallo di varia foggia: piccoli gigli, pelta incisi, striature a ventre d'ape, filigrana, perle, placche di forma geometrica e un fregio di testine di chiara ispirazione celtica. Anche se poco usato in gioielleria nei paesi costieri, tuttavia non è del tutto assente negli scavi degli insediamenti punici, greci ed indigeni in Italia, infatti ci sono precise e pregevoli testimonianze a partire dal VII fino al III secolo a. C. rinvenute a Genova, a Gravisca, a Canosa, a Lavello, a Ruvo, a Metaponto. A partire dal VII secolo in poi il corallo rosso è utilizzato da tutte le culture mediterranee, dagli Egizi ai Fenici, alle popolazioni italiote ed italiche, ai Greci. Per le riconosciute valenze magico-sacrali e terapeutiche del corallo, si tratta soprattutto di oggetti provenienti da depositi santuariali o da sepolture, in cui è usato come materia complementare, qualche volta anche allo stato grezzo, oppure sottoforma di piccoli inserti applicati su supporti di metalli pregiati. Il corallo non perde la sua importanza anche in altri contesti religiosi, quelli delle grandi religioni monoteiste come l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam. Gli Ebrei avevano il monopolio per la lavorazione dei metalli e per la fabbricazione e commercializzazione di gioielli che realizzavano per una committenza sia ebraica che musulmana, adattando di volta in volta simbologie e forme appropriate al diverso contesto culturale e alle richieste dei clienti, dando prova di un'esemplare integrazione culturale. Essi introdussero nella gioielleria locale elementi caratteristici della loro tradizione, come il copricapo, che risponde alla norma secondo cui i capelli delle donne sposate devono essere nascosti, ed iconografici, come la stella di David. Ebrei sefarditi costretti ad emigrare dall'Andalusia e definitivamente espulsi in seguito alla caduta di Granada nel 1492, e Moriscos espulsi nel 1609 furono decisivi per gli sviluppi dell'oreficeria nel mondo mediorientale per l'introduzione di tecniche quali la decorazione a smalti cloisonnés, il niello e la filigrana. In questo contesto giudaico-musulmano il corallo assume grande importanza per il suo colore sanguigno, poiché ritenuto necessario per allontanare quella negatività che si crede associata al sangue, considerato impuro. Nel mondo islamico il corallo fu la gemma più usata insieme al turchese e all'ambra, abbinato più all'argento che all'oro, così come raccomandava Maometto e diventò simbolo di bellezza, infatti nel Corano le vergini nel giardino del Paradiso sono paragonate a rubini e coralli. Il Cristianesimo adottò il corallo quale parte integrante della sua simbologia come emblema del sangue di Cristo. Da qui tutta una vasta produzione di arredi sacri, oggetti devozionali destinati al culto privato ed ornamenti con inserti di corallo, come documentato dagli oggetti esposti in mostra, tra cui un pregevolissimo ostensorio raggiato di manifattura trapanese del 1622 costituito da una base ottagonale con coralli sagomati ed incastonati e testine di cherubini, proveniente da Bitonto, dall'Oratorio del SS. Sacramento. Altro manufatto importante è una borsa in taffetas di seta bianca con ricami in fili d'oro, perline di corallo, al cui centro è posta una minuscola statuina in corallo intagliato, rappresentante una Madonna con Bambino. Altre volte il corallo è raffigurato nei dipinti sia di pittori importanti come Piero della Francesca, Mantegna, Vasari, tanto per citarne alcuni, che di oscuri maestri minori, dove assumeva la funzione di simboleggiare il sacrificio di Gesù. Spesso il corallo era appeso al collo del Bambino secondo un'antica consuetudine popolare che mirava a proteggere i bambini dal malocchio e dalle malattie infantili. Completano la mostra gioielli di varia fattura e di epoca più moderna, doni per le balie, perché preservassero la loro salute, o regali per le fidanzate, e coralli “regali”, oggetti di pregevole fattura del XIX e XX secolo realizzati per membri di casa Savoia quali la culla di Vittorio Emanuele del 1869 disegnata da Domenico Morelli in legno, tartaruga, madreperla, corallo e conchiglia, conservata al Palazzo Reale a Caserta, e la culla di Vittorio Emanuele di Savoia del 1934, manifattura di Torre del Greco, realizzata in legno, tartaruga, bronzo argentato, argento, corallo, conchiglia, seta, lino e cotone, che contiene alla base dell'arco di sostegno una sfera di corallo particolarmente rara e pregiata per colore e dimensione. |
settembre 2006 |