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Le istituzioni economiche, politiche e sociali di una civiltà, devono la loro configurazione ed articolazione alla particolare natura della risorsa energetica e della sua relativa infrastruttura, su cui s'innestano e modellano per irrorarsi. La irrorazione ci rammenta che un tratto specifico delle risorse energetiche è il flusso, da mantenere costante e continuo, onde evitare il “termodinamico equilibrio” dell'architettura sociale, ovvero la sua progressiva estinzione. Parallelamente all'uomo, od a qualsiasi altro essere vivente, anche la struttura istituzionale è un “trasformatore d'energia”, bisognoso di monitorare, controllare, accaparrare e canalizzare a suo vantaggio il traffico energetico. Traffico, destinato ad accrescersi in base al progressivo grado di efficienza/resa del traffico medesimo, aumentando inevitabilmente l'entropia (ovvero il livello di dispersione energetica) e pertanto bisognoso di essere inserito in una parallela e proporzionata cornice governativo-gestionale, sempre più sofisticata e specializzata, in grado di catturare una maggiore quantità d'energia disponibile. Finché con l'invecchiamento di questa cornice, il suo mantenimento non diventi sconveniente in rapporto alla insufficiente resa: assorbimento di quantità d'energia tale da impedire innovazione ed espansione del sistema socio-economico. Un aumento del traffico comporta, quindi, un maggiore coefficiente di complessità e centralizzazione delle Istituzioni sociali, che assecondino questo voluminoso traffico con un regime energetico che vada dall'alto verso il basso, similmente ad un maggiore controllo del “Centro” sui meccanismi/processi politico-sociali-economici. Il modo in cui è organizzata la società, matura e si sviluppa sulla falsariga di un essere vivente: Rudolf Kjellèn parlerà infatti del concetto di “organismo geografico”, riferendosi allo Stato moderno, risposta politica ad un cambiamento di regime energetico (dal legname al carbone nel XVII secolo). La dinamica interna di uno Stato, secondo Carl Haushofer, trova una territoriale corrispondenza nella espansione (“crescita”) delle frontiere/confini, che si ferma allorché raggiunge una superficie soddisfacente le necessità statali e che fornisca al popolo i mezzi per la sussistenza (“legge sulle frontiere e sullo spazio vitale”) Dinamiche interne che gioco-forza avrebbero condotto a smuovere le frontiere dei rispettivi Stati fino al punto di “bellica collisione”, come la geopolitica d'anteguerra prospettava tra le possibilità di riconfigurazione dell'assetto politico-strategico mondiale: probabili conflitti che avrebbero visto contrapposti le diverse organizzazioni statuali, con il fine di estendere il proprio spazio vitale, conquistare il “perno del mondo”, tramite l'Europa orientale (Sir Halford J. McKinder – “Teoria dello Heartland”) o la mezzaluna interna-marginale (Nicolas Spykman – “Teoria del Rimland”), oppure impedire ad altri Stati di mettere le mani su quelle porzioni di terra ed evitare la realizzazione di un SuperStato eurasiatico (o un'alleanza Russo-Tedesca), controllore del cuore-perno del mondo, dell'isola mondiale, e quindi del globo. “Rivalità di potere sul piano territoriale”, secondo la definizione lacostiana, che avevano come fine unico l'accaparrarsi terre manodopera, risorse energetiche e minerarie, e monitorarne i relativi traffici: in una parola energia, indispensabile ai “fuochisti” dei governi nazionali per alimentare la caldaia delle rispettive locomotive, e non rimanere indietro, rispetto alle altre, sulle rotaie della sopravvivenza o dimensione di potenza, e soddisfare i bisogni dei rispettivi passeggeri. Rivalità che giocarono un ruolo imprescindibile nel raggiungimento del climax, nella folle corsa tra i Complessi Militari Industriali (C.M.I.) nazionali: un climax dai nomi apparentemente innocui di “Little boy” e “Big fast”. L'evoluzione degli armamenti bellici a cavallo del secondo conflitto mondiale, ha avuto l'effetto di congelare il quadro politico-strategico internazionale, legandolo al sottile filo della “Atomica deterrenza”, e di modificare le costanti geopolitiche d'anteguerra: lo spazio, la predestinazione geografica e le frontiere/confini. Nel secondo dopoguerra era necessario per i governi concentrare e centralizzare la gestione economica, controllando le leve di comando, e infondere coesione all'interno, tra i propri cittadini, mobilitando quest'ultimi e le risorse nazionali in vista degli obiettivi già in precedenza citati, così da assicurare che alla guerra non fosse seguita una depressione, che avrebbe vanificato promesse, ideali e sacrifici antifascisti. Le parole d'ordine erano ricostruzione, crescita economica, piena occupazione equità, per i paesi occidentali, lotta alla povertà, sviluppo da associare alla indipendenza nazionale e alla successiva costruzione della nazione, per i paesi prossimi a liberarsi dal pluri-decennale, e per alcuni quasi centenario, giogo coloniale. Per attuare questi propositi, era essenziale che la gestione delle risorse energetiche, dei loro flussi, delle politiche industriali e delle politiche monetarie, fosse nelle mani dello “onnisciente Stato” (gestione centralizzata), permettendo allo Stato-nazione di aver in pugno e modulare le “leve di comando” di leniniana memoria, “concatenando i flussi”, ed attivare il “grande scatto/decollo” economico: forte e diretto coinvolgimento statale in campo economico, settore fiscale e costruzione del Welfare State, assi portanti della britannica “economia mista”, che con opportuni distinguo (disinteresse per il mercato) in America latina prenderà il nome di “Teoria della dependencia”. Gli Stati Uniti si differenzieranno dal modello britannico: già prima del 1939-45, non si parlava di nazionalizzazione, concentrazione, e pianificazione, ma, rispettivamente, di regolamentazione, anti-trust, controllo decentralizzato (Public Utilities Holding Company Act del 1935, e Commissione federale per l'energia elettrica - F.P.C.). La recessione di fine anni'30, l'avvento del keynesismo, le influenze della economia mista provenienti dall'altra sponda dell'Atlantico, la espansione economica post-1945, che non poteva essere rallentata, concorsero negli anni '60 del XX secolo ad ammorbidire i principi della regolamentazione, sino a divenire progressivamente inefficiente, sovraccarica, senza vigore: inadeguata. Gli anni '60 del XX secolo, si configureranno quale periodo di incubazione del fenomeno economico-finanziario caratterizzante il successivo decennio, la stagflazione (un mix di alta inflazione e disoccupazione, e bassa crescita economica), che coinvolgerà non solo l'approccio Usa alla regolamentazione, ma soprattutto l'interventismo statale dei paesi ad economia mista, e l'iperdipendenza statale dell'America latina. Da questo quadro sintetico degli anni'70, che si prospettavano poco rosei per le economie a traino statale, sarà estranea l'Urss, esempio massimo di economia socialista a pianificazione centralizzata e nazionalizzazione dell'apparato produttivo (economia di comando): la quasi concomitanza tra la prima crisi petrolifera, datata 1973-74, con annesso quadruplicamento del prezzo del greggio, e la scoperta di giacimenti petroliferi nella Siberia occidentale, sviluppati a fine anni '60, permisero alla nomenklatura Urss di sfruttare sinergicamente i due eventi, al fine di poter reperire le risorse finanziarie indispensabili per mandare avanti il malandato sistema, senza dover ricorrere a riforme del sistema, o scorporare risorse dal C.M.I., attraverso l'enorme afflusso di valuta estera, derivante dalla crescita stellare del prezzo del petrolio. Un tale afflusso di valuta estera, oltre ad essere dopato dall'azione politica dell'O.P.E.C., che per la prima volta a seguito della IV^ guerra arabo-israeliana (definita dello “Yom Kippur” – 6 ottobre 1973) usava l'arma del petrolio contro l'occidente alleato di Israele, evidenziava la intima e viscerale dipendenza della economia industriale e proto-industriale (per i P.V.S.) dall'oro nero: negli anni '70 parlare di “intima dipendenza delle economie dal petrolio”, significava ampliare il riferimento a chi dalla politica “stanza dei bottoni” controllava le leve di comando economiche. Una dipendenza pagata a prezzo di una generale e incontrollabile escalation degli indici macroeconomici del pannello di controllo: spesa statale, tasse, deficit di governo, inflazione, e disoccupazione. La certezza di un “illimitato orizzonte di spesa”, rende bene la idea della fragilità e vulnerabilità di un sistema economico-politico centralizzato (modellato in tal senso dalla natura dei combustibili fossili), ormai affannosamente diretto verso la prima crisi petrolifera della storia: è bastata una decisione degli esportatori arabi di oro nero alla fine del 1973 (embargo e restrizione alla produzione nei confronti degli occidentali), per chiudere i rubinetti energetici al mondo occidentale e in via di sviluppo, lasciandoli increduli (“Shock delle tariffe”) a raschiare e prosciugare rapidamente ciò che rimaneva nel barile della fino ad allora sregolata e illimitata spesa pubblica, per evitare recessione e limitare i danni inerenti l'inevitabile indebolimento della stabilità e coesione interna. La redistribuzione economica (seguita all'accelerazione del processo di nazionalizzazione delle concessioni petrolifere post-'73), che ne seguì, fu una realtà altalenante per alcuni stati (in virtù dell'andamento della quotazione petrolifera), ed un “Giano bifronte” per gli altri emergenti: gli shock petroliferi contribuirono a dividere il Fronte di Bandung, togliendo con una mano ciò che dava con l'altra: la recessione post-1973 del mondo occidentale coinvolse indirettamente i P.V.S., a causa della contrazione della domanda occidentale di prodotti di base, dei prezzi ad essi legati, determinando un minor reddito per i P.V.S., che significò minore possibilità di onorare i prestiti, aprendo le porte del “decennio perduto”: perduto rincorrendo una soluzione che rimodellasse le proprie economie e che ovviasse alla galoppante “Crisi debitoria”, risvolto terzomondista delle due crisi petrolifere, dopo i risvolti occidentali della stagflazione e della rigidità, caratterizzanti il precedente decennio. Il primo indicatore di qualche mutamento di fondo, imminente nella intelaiatura economica occidentale degli anni' 70, fu la inflazione: la cui tendenza al rialzo sarà favorita dal pesante contributo alla bilancia commerciale degli stati della voce energia, post-1973. “Una delle ragioni che rese aurea l'Età dell'oro fu che il prezzo di un barile di petrolio saudita ammontò in media a meno di due dollari per tutto il periodo che va dal 1950 al 1973, rendendo così ridicolmente basso il costo dell'energia e facendolo calare costantemente” (Hobsbawn). Secondo lo stesso Hobsbawn per una delle “tante ironie della storia” fu solo dopo il 1973, che gli ecologisti si accorsero seriamente degli effetti ambientali del traffico stradale, che avevano annerito i cieli delle grandi città nelle aree motorizzate del mondo: smog, riscaldamento atmosferico da biossido di carbonio i cui responsabili erano rintracciabili in entrambi i blocchi pervasi da quella ideologia dominante del progresso, che dava per scontato che il crescente dominio della natura da parte dell'uomo desse la misura effettiva del progresso della umanità. DANIEL YERGIN, JOSEPH STANISLAW, La grande guerra dell'economia (1950-2000), Garzanti, Milano, 2000; PASCAL LOROT, Storia della Geopolitica, Asterios editore, Trieste, 1997; JEREMY RIFKIN, La fine del Lavoro, Mondadori, Milano, 1995; L'economia all'idrogeno, Mondadori, Milano, 2002; Ora bisogna entrare nell'era dell'idrogeno, “La Repubblica”, 27 Febbraio 2005. |
maggio 2006 |