Rifondazione Comunista tra Partito della Sinistra Europea e Movimenti
di Alberto Altamura

Fra i numerosi interventi sviluppati all'interno di Rifondazione Comunista sul Partito della Sinistra Europea (SE), riteniamo di particolare interesse il volume di Luigi Vinci, Sinistra alternativa e costruzione europea (Punto Rosso, Milano 2004), apparso poche settimane prima del congresso costitutivo della SE, che ha avuto luogo a Roma l'8 e il 9 maggio 2004.

Oltre ad essere organica e coerente, rispetto alla massa d'interventi attualmente in circolazione, la riflessione di Vinci, che scaturisce dalla sua esperienza di parlamentare europeo del partito, appare anche vicina alle posizioni della segreteria del PRC, come testimoniato dalla Prefazione al volume scritta da Bertinotti, che gli riconosce il merito di aver ripercorso “con dovizia di particolari e con meticolosità” il processo che ha condotto alla fondazione della SE.

La tesi di fondo del volume risiede nel legame che Vinci istituisce fra la nascita di una struttura organizzata delle sinistre di alternativa e la necessità, da esse avvertita, di dare risposta alla crisi globale della costruzione europea.

Nel capitolo Sinistre di alternativa e crisi della costruzione europea (pp. 191-204), vengono discussi gli aspetti più evidenti di questa crisi.

Al primo posto è collocata l'idea di crescita economica intesa come crescita di competitività sui mercati mondiali. Una crescita che viene, quindi, perseguita dall'Europa attraverso spostamenti di reddito favorevoli allo sviluppo dell'impresa capitalistica, cioè attraverso la riduzione del prelievo fiscale nelle classi medio-alte, il drastico ridimensionamento dei sistemi di welfare, la privatizzazione dei servizi, la precarizzazione del lavoro. Pur adottando da tempo queste strategie, osserva Vinci, l'Europa continua ad essere in crisi, perché non riesce affatto a recuperare competitività rispetto agli USA o ai paesi asiatici.

Un secondo motivo di crisi è rinvenuto nella tendenza dell'Europa ad uscire dalla crisi economica facendosi trainare dagli USA, raccogliendone cioè le briciole.

È il terzo motivo di crisi, tuttavia, ad apparirci particolarmente interessante. Esso riguarda la Commissione Europea che, scrive Vinci, “si è inzuccata fino alla fine nel suo ruolo di custode dei Trattati e dei Patti”, non capendo la drammaticità della situazione.

Per Vinci è grave che la crisi della Commissione si sia pienamente manifestata nel periodo della presidenza italiana dell'Unione, una presidenza, a suo parere, colpevole di non aver aiutato la Commissione “a capire cosa veniva maturando e quindi a stimolarla a ridefinire i criteri generali delle politiche di bilancio dei paesi membri dell'Unione”.

A questo punto viene vibrato un attacco profondo a Prodi, che merita di essere citato: “Tuttavia Prodi – il massimo responsabile di questo disastro capitato alla Commissione – è stato troppo preso in questi tempi dal fare imboscate pre-elettorali a Berlusconi e dall'ostentare in Italia e in Europa la grinta del leader decisionista, avvalendosi della sprovvedutezza di Berlusconi, per non accorgersi se non all'ultimo minuto che Tremonti gli stava tirando un trappolone di ben altra portata”.    

Trattandosi di un testo scritto da Vinci nel novembre 2003 e prefato da Bertinotti qualche mese dopo, ci sarebbe da chiedersi che senso ha avuto promuovere, in Italia, un accordo elettorale in vista di un governo guidato da Prodi, e, contemporaneamente, a livello europeo, aver puntato sulla nascita di un partito volto a scardinare, fra l'altro, soprattutto l'idea prodiana di governo dell'Europa. Ma un discorso in tale direzione oltrepasserebbe gli obiettivi più modesti di queste pagine.

In ogni caso, il discorso di Vinci diventa più impietoso quando, guardando alla decisione presa dal Consiglio Ecofin (consiglio che riunisce i ministri economici dell'Unione Europea) di congelare l'applicazione del Patto di Stabilità per Francia e Germania, sostiene: “Ora che, attraverso il Consiglio Ecofin, i governi più determinati a usare il patto di stabilità solo quando usarlo non fa problema, cioè solo nelle fasi espansive del ciclo, quindi più determinati a metterlo nel cassetto, siano stati in larga prevalenza governi di destra, non toglie nulla al fatto che siano essi ad aver ragione, sotto il profilo basilare della sensatezza della politica economica […]” (corsivo nostro).

Subito dopo Vinci rincara la dose affermando: “Il fatto che invece siano state soprattutto componenti europee del centro-sinistra moderato ad alzare la bandiera del “rigore” di bilancio (quindi molte socialdemocrazie, e tra i dirigenti socialdemocratici più convinti Bersani, Visco e Fassino, inoltre la maggioranza della Commissione Europea, e Prodi alla sua testa) la dice lunga, a sua volta sull'acquiescenza di quest'area a fronte delle richieste dei comparti più aggressivi del capitalismo europeo, di quelli cioè orientati ad un inseguimento infinito delle condizioni sociali dell'Asia. Di due destre aveva parlato a suo tempo Marco Revelli: si potrebbe oggi precisare che la destra-destra di Tremonti risulta essere, paradossalmente, meno antisociale della sinistra-destra di Prodi, Fassino, ecc.”.

Questi significativi elementi di crisi dell'Unione Europea offrono, secondo Vinci, una possibilità di ripresa alle sinistre di alternativa, a condizione, però, che proprio l'Unione Europea venga salvaguardata in quanto “terreno più propizio a lotte di classe per la democrazia, per politiche economiche e sociali progressive, per politiche di pace e di solidarietà con le popolazioni della periferia capitalistica”.

Sebbene l'Europa con le sue politiche antisociali liberiste e di restrizione del bilancio si sia “infilata nel tunnel del proprio declino”, è pur sempre a partire dalla costruzione politica europea che, secondo Vinci, ne può uscire, non essendo i singoli paesi in condizione di poterlo fare autonomamente. 

È in questo contesto che egli colloca la costituzione della SE.

Nella Postfazione al volume, datata 13 marzo 2004 - siamo nella settimana successiva al voto sostanzialmente di misura (67 favorevoli su 120 votanti) con cui il Comitato Politico Nazionale del PRC del 6-7 marzo confermò la scelta di aderire alla SE - Vinci individua nella SE il collettore “del nuovo ciclo della mobilitazione anticapitalistica, della nuova generazione militante, degli elementi correlati di ripresa della mobilitazione di classe”, cioè di tutto quello che difficilmente può essere rappresentato dalle socialdemocrazie europee di orientamento liberale, o pienamente subalterne al liberismo e alla dottrina Bush, né dal “passatismo” di una certa sinistra di alternativa, e meno che mai dal “vuoto strategico delle grandi organizzazioni sindacali”.

Per Vinci si tratta, inoltre, di riconoscere al PRC il merito di aver, all'interno del gruppo GUE-NGL del Parlamento Europeo, “influenzato, anche in profondità, il corso evolutivo politico e culturale di alcuni partiti, in fatto di rapporto ai movimenti contro la globalizzazione liberista”, di aver arrestato “la deriva socialdemocratizzante di alcuni di essi”, di aver fatto prevalere le posizioni di “contrarietà radicale ad ogni ricorso ai mezzi della guerra tanto nelle situazioni di crisi che contro il terrorismo”, e di aver congiunto un atteggiamento di “contrarietà radicale agli indirizzi attuali della costruzione europea” con “l'accettazione dell'Unione Europea come territorio politicamente strutturato necessario, al di sotto della cui dimensione di scala cioè ogni lotta contro gli effetti antisociali e antidemocratici della globalizzazione liberista è ineluttabilmente perdente” (corsivo nostro).

 

Secondo la categoria della necessità, la questione dell'Europa è posta da Antonio Negri almeno dalla metà degli anni Novanta, e ribadita con forza, dopo il fatidico settembre 2001, nel saggio Strategie politiche per l'Europa. Europa necessaria, ma possibile?, che chiude il volume collettaneo Europa politica, significativamente sottotitolato Ragioni di una necessità (a cura di A. Negri, H. Friese, P. Wagner, manifestolibri, Roma 2002, pp. 275-283).

L'importanza cruciale di questa analisi è dimostrata dal fatto che il saggio sull'“Europa necessaria” è stato riprodotto da Negri nella sua opera L'Europa e l'Impero. Riflessioni su un processo costituente (manifestolibri, Roma 2003, pp. 113-125), e diffusamente utilizzato in una serie di interventi sviluppati fra il 2003 e il 2004, e raccolti nel recentissimo volume Movimenti nell'Impero. Passaggi e paesaggi (Raffaello Cortina Editore, Milano 2006).

Proprio a quest'ultima opera, in modo particolare alla parte intitolata Europa: un'occasione di lotta, vogliamo richiamarci per chiarire, attraverso Negri, a quale Europa non dobbiamo mostrarci minimamente interessati e a quale, invece, dobbiamo guardare come un'autentica possibilità di trasformazione, una “occasione di lotta” da cogliere, appunto, necessariamente.

Non può interessarci l'Europa come “area di mercato comune”, perché si tratterebbe di una semplice sub-organizzazione imperiale, cioè di una delle tante organizzazioni decentrate della piramide imperiale: “Nell'Impero, soprattutto nell'Impero a guida statunitense, aree di mercato omogeneamente organizzate sono auspicabili – meglio, sostenute e gerarchizzate – dentro lo sviluppo del comando imperiale”.

Non può interessarci nemmeno una comunità europea organizzata nella forma del superstato, destinata a riprodurrebbe i modelli giurdico-amministrativi della modernità organizzatasi nella forma dello stato-nazione.

L'Europa che, seguendo Negri, dobbiamo aver a cuore come necessaria è quella che si definisce non a partire da una “proposta di modelli politici”, ma come una “storia di lotte”. Non è l'Europa che si condensa in una “costituzione”, ma che si presenta come “espressione di una conflittualità democratica, spesso radicale, sempre aperta”.

Negri ritorna, così, sul tema a lui caro del “potere costituente”. Pensando, rispetto alla costituzione europea, ad una “costituzione senza stato”, cioè ad una associazione multilivello delle nazioni e degli ordinamenti costituzionali, egli punta su una “macchina costituzionale obbligata a tener aperto il conflitto, a muoversi dal punto di vista legislativo e amministrativo dentro pratiche di governance difficilmente chiuse”. 

Si tratterebbe, allora, di costruire in Europa non più un demos, ma “una articolazione di soggetti politici che tengano aperto, comunque e sempre, lo spazio pubblico europeo, come prodotto di mobilitazione democratica delle moltitudini”.

La moltitudine, questa nuova classe globale, è quella “rete di singolarità”, che, nella sua dimensione cooperativa-intellettuale-relazionale-affettiva, determina, oggi, produttività e valorizzazione del capitale.

In una società che è stata completamente messa al lavoro, solo la moltitudine può promuovere una resistenza che non è semplicemente resistenza allo sfruttamento industriale, come quella sviluppata dalla classe operaia novecentesca, ma resistenza contro lo sfruttamento sociale: “La resistenza – scrive Negri – non è più quella dell'operaio di fabbrica, estesa a un livello sociale, è una resistenza completamente nuova che si basa su innovazione ed eccedenza del lavoro produttivo, su una cooperazione autonoma dei soggetti produttivi, su una capacità di sviluppare potenze costituenti oltre il domino biopolitico. La resistenza non è più un comportamento di reazione ma una forma di produzione e di azione”.

Date queste sue caratteristiche, solo la moltitudine è in grado di praticare la democrazia non come una forma di governo, “il governo dell'Uno da parte dei rappresentanti dei molti”, ma come un modo di partecipazione che non può essere corrotto nelle forme della democrazia rappresentativa, “un governo di tutti da parte di tutti” (cfr. A. Negri, Resistenza e moltitudine, La moltitudine mostruosa, in Movimenti nell'Impero, cit., pp. 51-63).

È in questa prospettiva che Negri usa la formula, a nostro parere particolarmente efficace, dell'Europa come “non-luogo”: “non-luogo del potere”, perché spazio di un continuo confronto di forze multitudinarie; “non-luogo democratico”, perché sottratto alla condizione di una cittadinanza sottoposta allo stato nazione.

Non disposta a frasi ordinatamente strutturare in un modello imperiale a direzione americana, l'Europa può giocare il ruolo di una “forza trasversale” in grado di resistere all'affermazione dell'ordine imperiale.

Nell'ordine imperiale, che è un intreccio di “monarchia” americana - “aristocrazie” capitalistiche multinazionali - “moltitudine”, occorre, tuttavia, aver presente che una eventuale crisi del “polo” monarchico può finire con l'aprire spazi di azione per le “aristocrazie” imperiali, dai quali è esclusa la “moltitudine”. La Costituzione Europea di Giscard è assunta da Negri come esempio chiarissimo di una “costituzione aristocratica”, una sorta di Magna Charta, dalla quale sono evidentemente escluse le moltitudini, elaborata per restringere il campo d'azione del polo monarchico americano.

Ostacolare l'unilateralismo americano è un obiettivo valido, ma perseguirlo attraverso la costituzione della “Fortezza Europa” significa rimanere ancora all'interno di un processo di “gerarchizzazione imperiale dei mercati”. In questa prospettiva, anche le politiche sociali progressiste di cui l'Europa potrà dotarsi finirebbero col risultare in realtà subordinate a un progetto imperiale di stampo “aristocratico”.

A spezzare questo rapporto di subordinazione, secondo Negri, non possono essere i partiti, la cui rappresentanza istituzionale è “necessariamente inclusa nel processo di costituzione imperiale”, ma i movimenti, che hanno il vantaggio di “presentarsi a livello globale con tutta la potenza di espressione della moltitudine”.

Questa inclusione imperiale dei partiti, compresa Rifondazione, è a nostro parere perfettamente rinvenibile nei paradossali giudizi positivi espressi da Vinci sulle politiche sociali perseguite in Europa dai ministri di destra dell'Ecofin, presentati come esempio virtuoso rispetto ai socialdemocratici rigoristi.

Un importante esponente di Rifondazione Comunista sembra non comprendere che politiche economiche di rigore o allentamenti del patto di stabilità, lungi dall'essere autentiche alternative, sono soltanto variazioni utili per governare la sub-organizzazione imperiale Europa.

Ma, forse, non si tratta semplicemente di incapacità di comprensione, forse è proprio il ruolo attualmente giocato dai partiti, e anche del Partito della Rifondazione Comunista, all'interno dell'ordine imperiale, ad impedire che si denuncino apertamente i meccanismi di quell'ordine.

In una conferenza tenuta il 21 maggio 2004 al Forum romano del Partito della Rifondazione Comunista, pochi giorni dopo la nascita della SE, Negri esplicitamente afferma: “I partiti hanno oggi, per bene che vada, una funzione di mediazione, sindacale, che si propone all'interno delle singole istanze continentali del nuovo patto fra monarchia e aristocrazia imperiale” (in A. Negri, Movimenti nell'Impero, cit., p. 130).

Senza escludere, per l'oggi, l'importanza di questa funzione di mediazione, Negri fissa come obiettivo ultimo da conseguire “la disarticolazione della figura centrale dello stato-nazione, e in generale del “governo”, per aprire nuovi processi di governance aperti alla pressione continua dei movimenti”.

Del resto, lo stesso Bertinotti, presentando in un importante Dossier Europa, pubblicato da la rivista del manifesto, l'appena costituita SE, sostiene: “Con la costruzione del Partito della Sinistra Europea ci proponiamo di iniziare a colmare la distanza tra la grande e irruenta crescita dei movimenti e la debolezza della risposta politica a quella straordinaria crescita. Naturalmente, non intendiamo minimamente riproporre lo schema classico del rapporto tra i partiti e i movimenti per il quale i primi si propongono meccanicamente come l'espressione istituzionale dei secondi; parliamo, invece, di una formazione politica della sinistra di alternativa che riesca a interloquire e a farsi carico della radicalità della prospettiva della costruzione di un nuovo mondo possibile” (F. Bertinotti, Un partito per l'alternativa, in “la rivista del manifesto”, giugno 2004, p. 52).

La prospettiva tracciata da Bertinotti è straordinariamente interessante, ammesso che, in un processo in cui la centralità spetta ai movimenti, i partiti, compreso quello della SE, punteranno a presentarsi al massimo, e in ciò applichiamo anche ad esso le parole di Negri, come “scatola degli attrezzi in un processo di progressiva loro estinzione”.

maggio 2006