La Sinistra europea? Un’anomalia positiva
Ruolo dei movimenti e idea di rappresentanza
di Francesco Caruso

L'Iraq, le banlieues parigine, la Val di Susa, ma anche Abu Graib, Guantanamo, i Cpt, Scampia, sono situazioni particolarmente distanti e differenti tra di loro, ma tutte mettono a nudo un dato incontrovertibile: la crisi della democrazia.

Una crisi profonda che dimostra non solo la fragilità della visione liberista della democrazia come banale sommatoria di libere elezioni e libero mercato, ma soprattutto mostra la necessità di una sua radicalizzazione in grado di produrre gli anticorpi necessari nella società, per contrastare quella sorta di deriva  autoritaria e militarista dello Stato  oggi predominante che appare alla destra la soluzione da opporre all'inasprirsi del conflitto sociale.

 Le leggi speciali in Francia, il decreto Pisanu, il pacchetto sicurezza a Napoli, l'occupazione militare di Baghdad, Scampia, Parigi, Venaus, sono tutti segnali non di uno “scontro di civiltà” ma di una “crisi di civiltà” che le élite imperiali cercano di occultare fomentando il terrore verso il nemico esterno, che sia Bin Laden, l'islam o il noglobal poco importa.

La globalizzazione neoliberista e la sua figlia legittima, la guerra globale permanente, portano infatti con sé non solo la sistematica distruzione delle risorse, dell'ambiente, dell'umanità, ma anche una “democratizzazione passiva”, un attacco diretto nei confronti delle pur esili pratiche di democrazia esistenti e ancor più ai movimenti che si pongono sul terreno dell'estensione delle stesse, cercando di zittirli e soffocarli sotto una montagna di arresti, denunce, inchieste e teoremi giudiziari.

Dal canto suo, il mondo della politica “ufficiale” va avanti inesorabile con i suoi teatrini, le sue kermesse, le sue alchimie, conchiusa in una delirante “autonomia del politico” che l'allontana sempre più dalla realtà. Nel mondo reale, fortunatamente invece, l'irruzione dei movimenti è riuscita ad imporre con la sua dirompenza sociale non solo la critica al neoliberismo, ma anche alle forme e al concetto stesso della rappresentanza.

I principi nefasti della delega e della verticalità decisionale che per anni hanno alimentato un processo di professionalizzazione, da una (piccola) parte, e di passivizzazione sociale, dall'altra, sono stati investiti da un'ondata di protagonismo diffuso che ha scompaginato le dicotomie classiche della sinistra novecentesca (avanguardia/massa, politico/sociale, riformismo/rivoluzione) ma anche quelle più recenti (esodo/conflitto, vecchi/nuovi movimenti sociali). Sono state infrante le compartimentazioni prodotte dal riflesso condizionato dell'organizzazione sociale fordista che per oltre un secolo ha segmentato e separato l'impegno culturale dall'azione politica, l'attivismo sociale dalla vertenza sindacale. E' chiaro come questa dinamica di autopoiesi sociale dei movimenti, di riappropriazione e riconfigurazione dal basso dell'azione collettiva, così come la potenza innovatrice e costituente della generazione di Genova, non possa essere sussunta e mortificata dentro i meccanismi stantii della politica tradizionale; non può diventare la flebo per tentare di resuscitare una sinistra che non c'è più, morta soffocata dai miti dello sviluppo, della centralità dello stato-nazione, del riformismo progressista, ma piuttosto deve diventare la linfa per reinventare una sinistra radicale e alternativa che non c'è ancora.

In questo senso le proposte di confederazioni, liste, listini e cartelli elettorali, non sono la cura ma la malattia perché non si pongono il problema di sfidare la crisi della politica “ufficiale”, ma rimandano invece alla legittimazione delle forme esistenti della democrazia rappresentativa.  La cecità politica che sottende queste proposte è il frutto della burocratizzazione di weberiana memoria, la tendenza cioè delle organizzazioni a preservare innanzitutto la propria autoriproduzione. Non è un caso infatti che la stragrande maggioranza delle grandi organizzazioni di massa, durante il G8 di Genova, abbia scelto di disertare e demonizzare quelle giornate, lasciando da sola a resistere contro i proiettili, i gas cancerogeni, i pestaggi di massa, le torture, una nuova generazione politica nata proprio sotto quel “battesimo di fuoco”. Perché quelle giornate, così come il movimento che da lì è sorto, mettevano e mettono in discussione non solo il G8 ma anche queste stesse organizzazioni di massa, il loro monopolio esclusivo sulla politica, l'inviolabile zona rossa dei partiti. Ora, con Berlusconi e il suo governo ormai alla frutta grazie anche e soprattutto alle mobilitazioni dei movimenti, quegli stessi signori tornano alla ribalta e dicono “ragazzi, la ricreazione è finita, andate a casa...”.

In questo quadro politico così disarmante, la proposta di Rifondazione comunista di costruzione della Sinistra Europea rappresenta una evidente anomalia, il partito pone coraggiosamente il problema della propria inadeguatezza e la necessità di mettersi in discussione e guardare oltre se stesso. Alla disponibilità a condividere la costruzione di uno spazio politico di incontro tra le esperienze che hanno segnato il ciclo da Genova in poi, Rifondazione ha affiancato la scelta di cedere una quota della propria sovranità per sperimentare un percorso concreto di innovazione oltre le formule tradizionali dell'organizzazione e della rappresentanza politica. Credo che questa sfida possa rappresentare, se opportunamente colta dai movimenti, un interessante banco di prova nella costruzione di un' inedita relazione tra politica, movimenti e conflitti, per riuscire insieme ad individuare una possibile fuoriuscita a sinistra dalla crisi della democrazia che non eluda la centralità che i movimenti hanno assunto in questi anni. Non si tratta banalmente del fatto che i movimenti si devono buttare (mai termine così azzeccato) in politica, ma piuttosto di uno strumento - non certo l'unico né tantomeno esaustivo - di interconnessione tra esperienze e percorsi che, nella sempre più densa compenetrazione tra politica, società e cultura, cercano di sperimentare forme radicali e innovative di azione biopolitica, strategie inedite di costruzione di una nuova soggettività politica anticapitalista. Il carattere del tutto aperto e deliberatamente indefinito nelle sue forme pone questo percorso come una scommessa per i soggetti in campo, i cui esiti non sono affatto scontati: da una parte, senza un meccanismo reale di connessione, di messa in moto di energie, partecipazione e conflitti, il rischio è che questa sperimentazione si traduca in un mero strumento di cooptazione da parte del ceto politico. Dall'altra parte, ed è quello che ci dobbiamo proporre di realizzare, è possibile sperimentare meccanismi inediti di rovesciamento delle forme tradizionali e verticali della rappresentanza, di reinvenzione e riappropriazione dal basso delle pratiche e del concetto stesso di democrazia, di costruzione di spazi pubblici di condivisione e di partecipazione oltre gli istituti tradizionali della democrazia rappresentativa.

Le esperienze maturate all'interno del movimento dei movimenti, da questo punto di vista, sono fondamentali per la costruzione innanzitutto di una metodologia innovativa di confronto e iniziativa, in grado di abbattere e sostituire il formalismo burocratico con l'informalità, il voto di maggioranza con il principio del consenso, il centralismo democratico con il valore delle autonomie e delle differenze, la piramide e la monoliticità organizzativa con un modello rizomatico di messa in rete e di contaminazione.

Abbattere quindi il fortino dell'“autonomia del politico”, ma anche e soprattutto porsi con determinazione il problema dell'abbattimento dello Stato, per dirla con il Lenin di Stato e Rivoluzione, attraverso però non la presa del potere ma il suo superamento, la sua esautorazione, cioè attraverso la sistematica distruzione della distanza tra politica e società, l'annientamento della separazione tra società e sovranità.

La base di partenza per questa sperimentazione non possono che essere le soggettività, individuali e organizzate, che hanno condiviso l'esperienza di Genova, quelle drammatiche e al tempo stesso avvincenti giornate. Tuttavia le insorgenze sociali che hanno scosso il meridione in questi anni, da Scanzano a Melfi, da Acerra a Terlizzi, da Ariano Irpino a Termoli, possono rappresentare un ulteriore trampolino di lancio per affrontare questa scommessa, perché proprio a partire da quelle ondate di protagonismo sociale è possibile implementare una base innovativa di riconfigurazione di una democrazia partecipativa che non sia semplice elargizione dall'alto di quote di spesa pubblica, ma processo di sovversione e di costruzione.

maggio 2006