La sinistra europea del XXI secolo, una sfida anticapitalista
di Flavia D’angeli

Rifondazione comunista è impegnata in un processo di costruzione di una sinistra più larga, plurale e democratica. Noi pensiamo che una sinistra alternativa alla socialdemocrazia, alternativa anche al probabile e imminente partito democratico in Italia, non possa esistere se non declinando un'ipotesi anticapitalista. La crisi delle società capitalistiche, crisi di civiltà, di convivenza e, per settori larghissimi, crisi di benessere e di felicità, non può essere risolta da compromessi politici che rinuncino a incrinare le leggi del mercato e della concorrenza. Il bivio tracciato per la sinistra mondiale da Rosa Luxemburg – socialismo o barbarie – non può essere aggirato da soluzioni tattiche o da mediazioni inefficaci. Agli albori del XXI secolo la strada di un rivolgimento sociale e di un rivoluzionamento dei rapporti sociali resta la via maestra per costruire una sinistra realmente alternativa. Per questo pensiamo che il dibattito che si è aperto per la costruzione della Sezione italiana della Sinistra europea non possa prescindere da alcune basilari considerazioni.

 

La “sinistra europea” o è anticapitalista o non è

Da tempo lontano una sinistra anticapitalista non è pensabile solo su scala nazionale. è stato così fin dagli albori non solo del movimento comunista ma del movimento operaio nel suo insieme.

Oggi l'internazionalismo ha ripreso vigore e senso in relazione al movimento altermondialista che ha riproposto non solo l'esigenza ma anche la possibilità di una concertazione mondiale delle resistenze e dell'opposizione al capitalismo globalizzato. E allo stesso tempo il movimento dei forum sociali ha dato risalto a una forma moderna e fattibile di internazionalismo: non più il classico “internazionalismo proletario” che in realtà consisteva nella solidarietà ai popoli in lotta e nell'attesa di un'estensione in occidente della rivoluzione sovietica, quanto un'internazionalismo delle lotte comuni: tante, possibili azioni collettive sui nodi scoperti della lotta globale all'imperialismo e per una società alternativa. I forum sociali sono stati e continuano a essere un formidabile luogo di formazione di una visione comune e gli strumenti che rendono meno propagandistica e più comprensibile la necessità di costruzione di un'internazionale anticapitalista, rivoluzionaria, democratica, di massa. Non a caso la stessa Sinistra europea ha potuto prendere forma e corpo in seguito all'esperienza dei social forum.

Resta da chiedersi se quell'esperienza possa essere riconducibile a un progetto di governo delle società capitalistiche in relazione con la sinistra riformista e liberale. Noi crediamo che non sia possibile, per questo vogliamo impegnarci nella costruzione di una Sinistra anticapitalista, motore dei movimenti, luogo di elaborazione politica conseguente, rispettosa delle sue componenti e della loro autonomia, efficace socialmente, coerente politicamente. Una Sinistra anticapitalista in sintonia con questo nostro manifesto e prodromo di una sinistra più forte, in grado di contendere l'egemonia sul movimento operaio alla socialdemocrazia. Oggi esistono forme embrionali di questo progetto: una Conferenza europea della sinistra anticapitalistica ha riunito da diversi anni forze provenienti da culture ed esperienze diverse e impegnate nella ricerca di una convergenza più ampia. Alcune di queste forze, tra l'altro, partecipano al progetto della Sinistra europea con il proposito di ancorarla a sinistra e di battere propensioni moderate. Nella nostra vita interna a Rifondazione comunista anche noi lavoriamo in questa direzione. Per questo vogliamo partecipare alla costruzione di questo progetto nelle diverse forme che oggi si rendono necessarie.

 

La memoria dei vinti

Una sinistra del XXI secolo non nasce se rinnega la sinistra del XX secolo. Ma non la sinistra degli apparati e delle leadership responsabili della sconfitta storica del novecento. Il nostro sguardo va volto alle voci dei vinti, a coloro che hanno dato forza a un rivolgimento epocale e a una storia in cui le classi diseredate hanno preso parola, si sono organizzate, hanno combattuto e spesso hanno perso. Sotto le macerie di quella storia si può sentire ancora la voce di quanti hanno combattuto la nostra stessa causa e la nostra lotta: quelli che “hanno osato” l'assalto al cielo e poi sono stati spazzati via dallo stalinismo; quelli che sono stati uccisi in nome della socialdemocrazia; coloro che hanno dato vita a un socialismo umano, democratico, partecipato, critico e libertario. Abbiamo un vincolo con le generazioni passate e non possiamo reciderlo in nome di un astratto nuovismo. La rifondazione di un pensiero e di una pratica comunista e socialista resta un orizzonte da esplorare.

 

L'autoemancipazione

Il secolo alle nostre spalle è il secolo in cui apparati, partiti e stati hanno preteso di parlare in nome dei rappresentati e delle rappresentate. L'autogestione democratica, l'autorganizzazione e l'autoemancipazione dei soggetti in lotta resta il criterio fondamentale per progettare la trasformazione dell'esistente. Abbattuto dalle forze reazionarie della storia – fosse il capitalismo vincente o le caste burocratiche dei paesi a “socialismo realizzato” – quel principio resta oggi essenziale, agli inizi del nuovo secolo, per ridare dignità e legittimità a un'ipotesi di rivoluzione.

 

Il potere di cambiare il mondo

“Cambiare il mondo senza prendere il potere” è un refrain che va per la maggiore ma non ci convince. Noi vogliamo avere il potere di cambiare il mondo. Non ci interessa quindi il potere come sostantivo, l'organo istituzionalizzato, sia esso il palazzo o la stanza dei bottoni, da contendere in una battaglia all'ultimo sangue, ma il potere come verbo, la dispiegata possibilità, grazie a strumenti decisionali nuovi e rivoluzionari – i nuovi consigli – di autodeterminare il corso del nostro tempo.

 

Il socialismo come libertà

Vogliamo un socialismo che sia “libertà da” e “libertà di”. Libertà dal bisogno e libertà individuale. Un socialismo che riattualizzi il nodo dell'autogestione collettiva, della riappropriazione dei mezzi di produzione e dei beni comuni, dei meccanismi di partecipazione democratica. Di questo ci hanno parlato le grandi lotte antiburocratiche e per il socialismo democratico del novecento, inascoltate e vinte ma non per questo prive di un futuro.

 

Il partito come strumento

Il partito non è lo strumento per prendere il potere, non è nemmeno il luogo dell'alternativa sociale. E' solo uno strumento, che a noi sembra indispensabile, per costruire una mobilitazione collettiva e di massa, supportare la formazione di istituti democratici nuovi e alternativi a quelli esistenti, rendere possibile l'autorganizzazione dei soggetti del cambiamento. Un filo conduttore delle lotte,  portatore di memoria e di coscienza che non inietta dall'esterno ma che mette a disposizione dell'unico soggetto titolare della trasformazione sociale: il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti.

 

Ricostruire i soggetti della trasformazione

Proporsi come compito politico la costruzione di un nuovo movimento operaio significa dire che la ricostruzione di soggettività è l'autentico orizzonte strategico. Il soggetto di cui c'è bisogno è un soggetto plurale, animato da percorsi differenti, da culture che si intrecciano ma che a un certo punto è capace di dotarsi di una strategia di superamento dell'esistente. Alcune esperienze dell'America latina mostrano oggi come questo percorso non sia astratto, ma possibile e concreto. L'integrazione, in un programma, in una lotta, in una prospettiva comuni, del sindacalismo operaio, delle culture indigene, delle istanze del movimento antiglobalizzazione è la miscela che spiega, ad esempio, parte dei successi di Morales in Bolivia o di Chavez in Venezuela.

 

Elogio dell'opposizione

Per questo motivo oggi non ha senso alcuna prospettiva di governo in collaborazione con forze socialiberali che puntano all'abbellimento dell'esistente. Oggi le sinistre radicali, anticapitaliste e/o rivoluzionarie dovrebbero far proprio “l'elogio dell'opposizione” non per preservare un'astratta purezza, quanto per mantenere intatta la propria credibilità e l'effettiva possibilità di contribuire alla ricostruzione di una soggettività della trasformazione. Quando la rivoluzione non è possibile, nemmeno il riformismo è possibile. Un'ipotesi strategica infatti è la prefigurazione dei percorsi di un soggetto e dei possibili traguardi legati ai suoi bisogni e alle sue aspettative, alle sue caratteristiche e alle sue possibilità. E se il vecchio soggetto si decompone e l'identità del nuovo è ancora vaga e indistinta, la prefigurazione dei suoi percorsi e dei suoi punti di arrivo risulta in larga misura sospesa.

 

Ricomporre il sociale per traguardare l'esistente

Il nuovo movimento operaio è oggi molto più articolato, frammentato, disperso di quanto lo sia stato nel corso della sua storia. Differenziazioni di genere, nazionali, generazionali, collocazione produttiva disgregata rendono molto più difficile la ricomposizione di uno schieramento unitario, determinato nelle lotte, in grado di guadagnare il percorso per un cambiamento di sistema. Eppure, questa resta l'unica strada possibile per rendere attuale un progetto rivoluzionario. La ricomposizione di un soggetto, di soggetti dispersi dalla logica del capitale, resta la funzione preminente per una sinistra anticapitalista.

 

Riappropriamoci del nostro mondo

Non si ricostruisce una nuova soggettività critica senza un'idea di programma, cioè di società alternativa a quella basata sulla logica del profitto. E che proponga una logica diversa, della solidarietà contro l'egoismo sociale, con un'idea dello sviluppo e del benessere collettivo contrapposto al benessere di pochi, che difenda i beni comuni dall'appropriazione privata, che si fondi sui bisogni sociali e non sulla proprietà privata. Un governo di un paese con un'economia capitalistica, si può dare – oltre che in presenza di condizioni particolari: contesto internazionale, forza dei movimenti, peso specifico di una forza anticapitalista – solo tramite una rottura esplicita con l'ordine esistente, che realizzi un programma immediatamente rappresentativo di profondi bisogni popolari e che promuova un reale processo di transizione. Non un programma minimo contrapposto a un programma massimo, ma una serie di misure e obiettivi che rendano possibile lo scardinamento della società attuale e la prefigurazione della società che vogliamo. Si tratta di una dinamica transitoria, pietra angolare di un programma per l'alternativa che non voglia ridursi a esercizio letterario. In questo senso l'ipotesi di programma è intrecciato alle lotte che sa raccogliere e innescare, ai movimenti con i quali si relaziona, al grado di conflittualità che sa rappresentare.

L'idea-forza che può veicolare un programma siffatto, può essere mutuata da uno degli slogan più efficaci del movimento antiglobalizzazione: riappropriamoci del nostro mondo. Si tratta di un modo diretto per riproporre la questione della proprietà – intellettuale, dei mezzi di produzione: quindi delle forme della cooperazione sociale – che rimane il punto nevralgico della critica al capitalismo e l'unica possibilità reale di fondare una trasformazione radicale.

maggio 2006