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Basta consultare un comune dizionario della lingua italiana per prendere atto di un allarme al quale dobbiamo riconoscere di non avere dato il dovuto peso. Nel Grande dizionario Garzanti della lingua italiana (edizione preeuropea) leggo: Frontiera. 1. Limite della sovranità territoriale di uno stato; luogo in cui, sotto la sorveglianza militare e doganale, è consentito attraversare il confine tra uno stato e l'altro. 2. Linea di divisione, di distinzione. Ci si potrebbe domandare, per eccesso di pignoleria, se nelle edizioni venute alla luce dopo l'unificazione introdotta dall'euro e la disgregante creazione di nuove frontiere anche interne, la definizione abbia subito modifiche. La cosa potrebbe riguardare chi per motivi di lavoro e di divertimento o solo “per seguir virtude e canoscenza” è portato a varcare confini anche meno impegnativi di quello del viaggio di Ulisse oltre le Colonne di Ercole. La preoccupazione viene piuttosto dalla seconda parte della definizione del citato dizionario: linea di divisione, di distinzione. Questa rappresenta la frontiera più materialmente invisibile e più pericolosamente insidiosa, perché costituisce barriera mentale, che può presumere, preparare o solo immaginare uno sbarramento materiale. Difficile dire, in questo momento, se siano più numerose le frontiere materiali, fatte di sbarramenti di cemento, di fossati, d'armi e di fuoco o quelle mentali, politiche, etniche e culturali, che possono disegnarsi virtualmente senza ingegneria militare, senza macchine da guerra, senza controllori dal grilletto facile, ma che sono rese insormontabili dalla nostra assuefazione al bombardamento a tappeto dei media. È diventato oggi facilissimo creare ragnatele di frontiere mentali intorno al mito delle radici, delle identità e delle diversità, contrapponendo a questi falsi miti l'insidia della globalizzazione, piuttosto che l'ideale del cosmopolitismo. Ma la storia c'insegna ogni volta che si ripete – e si ripete spesso – che non c'è stata linea di demarcazione, frontiera, divisione che non sia stata scavalcata dal libro. Tutta la vita del libro a stampa, costituita da una plurisecolare gimcana tra divieti, indici, proibizioni, condanne e roghi, è alla fine passata pressoché indenne sotto il tiro ad “alzo zero” delle artiglierie delle censure. Già dai primi tempi della diffusione della stampa, nel fitto reticolo delle maglie di inquisitori ecclesiastici e laici, passavano i libri e i cataloghi che li mettevano in commercio; i mille divieti locali erano beffati non solo dalla destrezza dei singoli venditori, ma anche dalla trovata del falso luogo di stampa, per aggirare il mancato “superiorum permissu”. I vincitori, è noto, distruggono la memoria scritta del vinto: pensiamo, per non andare assai lontano nel tempo, alla distruzione della Biblioteca Universitaria di Sarajevo o alla devastazione della Biblioteca Nazionale di Bagdad, poco conta se dovute a bombe, non sappiamo se e quanto “intelligenti”, o alla furia umana accecata da odio e paura. Nel 1905 Anatole France faceva dire ad uno degli interlocutori di Sulla pietra bianca: “Un omino con gli occhiali è seduto non so dove, davanti ad una tastiera: è il nostro unico soldato. Basta ch'egli metta il dito su un tasto, per polverizzare un esercito di cinquemila uomini”. L'incubo prefigurato da France incombe ancora. Ma da quella stessa tastiera - viene spontaneo aggiungere - è però possibile inviare a chilometri di distanza anche i libri. È possibile oggi, grazie proprio all'innovazione tecnologica, ricostruire e ridare vita proprio a quello che la stessa innovazione tecnologica è stata in grado di distruggere. Nelle nostre biblioteche sono state custodite tutte le scritture che l'alternanza di regimi intransigenti, il susseguirsi di stagioni culturali, l'avvicendarsi di totalitarismi intolleranti, di miti della razza e della diversità, hanno perseguitato. Quelle innumerevoli scritture che si sono salvate, grazie al virtuale sono pronte, ancora una volta, a reintegrare quanto è stato distrutto. Non ci sono più lunghi e perigliosi viaggi da affrontare, montagne da valicare, fiumi da attraversare sui mille ponti di Mostar, mille volte distrutti e mille volte ricostruiti. Le reti telematiche oggi consentono ai libri di spostarsi, quasi invisibilmente; intere biblioteche si compattano in file e in cd. La cooperazione, che è oggi uno dei capisaldi della vita delle biblioteche, è anche cooperazione contro la distruzione della memoria scritta e contro le frontiere mentali. La biblioteca pubblica è per sua natura un organismo senza frontiere, che conserva la memoria di tutti. Quella che non possiede in forma cartacea è “catturata” in rete e sistemata organicamente nei suoi spazi virtuali. La Biblioteca Nazionale “Sagarriga Visconti Volpi” di Bari vivrà nel corso di questa estate un suo momento storico: quello del trasferimento dalla vecchia sede dell'Ateneo alla nuova sede della Cittadella della Cultura (ex Cittadella Annonaria). Si sta per realizzare un progetto che il sindaco di Bari ha efficacemente definito “Progetto Esodo”. Ma non sarà solo un trasferimento di libri. È in atto un processo di trasformazione delle sue funzioni al servizio della città; la biblioteca sarà di tutti quelli che a Bari vorranno frequentarla, viverla e in qualche modo “farla”. Sarà la biblioteca di tutti, punto di aggregazione umana, di riferimento di quelli che in Puglia vivono e lavorano e che qui sono venuti a lavorare e a vivere, portando non solo la loro forza lavoro, ma anche la loro cultura e la loro civiltà. Sarà spazio ricettivo e aggregante per il quartiere nel quale si trova e per i giovani che vi vivono, spazio aggregante per la città e per la regione, intorno ad un progetto permanente di sviluppo della lettura e della cultura. La sua ricettività e l'agibilità degli spazi potranno consentire il sogno che tutti i bibliotecari hanno avuto dal momento della nascita dei libri a stampa, di rinsaldare il principio della biblioteca universale; principio che non è quello impossibile – tra l'ingenuo e l'utopistico - per il quale si deve possedere tutto e documentare tutto, ma quello della più ampia possibilità di accesso virtuale ad un patrimonio universale, della assoluta libertà di scelta delle letture, della promozione della sua vera natura di biblioteca che non può che essere sovraetnica, sovraculturale, sovranazionale, sovralinguistica. Non saranno solo rinsaldati i modelli della sua tradizione, ma saranno anche adottati i principi che devono ispirare una biblioteca del terzo millennio, interpretando altri e altrettanto antichi modelli culturali della regione, di apertura verso le culture e le memorie scritte delle civiltà d'oltremare. Aspetteremo studiosi e ricercatori, ma inviteremo anche chi poco o per niente conosce la biblioteca, i suoi spazi, i suoi servizi. Sarà un percorso lungo e difficile, per il quale sarà necessaria la collaborazione del Comune di Bari, della Provincia di Bari, della Regione Puglia, di quelle istituzioni e di quei cittadini che vorranno e potranno sentire come cosa propria la Biblioteca Nazionale e vorranno con lei e per lei crescere. È stato recentemente presentato alla Regione Puglia un progetto per realizzare la Biblioteca del Levante; una biblioteca in formato digitale nella quale raccogliere manoscritti e antichi testi a stampa della tradizione del Corano, della Torah, delle Bibbie poliglotte; una biblioteca multimediale e multietnica, che costituisce uno dei primi passi verso la fisionomia che la biblioteca intende dare di sé quale organismo per il dialogo e la pace. |
maggio 2006 |