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Il giorno 4 Marzo 1985 il Consiglio Comunale di Molfetta, sindaco prof. Enzo De Cosmo, conferisce l'incarico ai progettisti: ing. Girolamo Garofoli, arch. Antonio Renzulli, ing. Pietro Loliva, ing. Corrado Pisani, ing. Angelantonio Sallustio, di stilare un nuovo Piano Regolatore del Porto, al fine di rendere tale struttura rispondente alle esigenze richieste da un moderno sviluppo economico. Il 28 Gennaio1994 lo Stato Italiano approva la legge n° 84 sul “riordino della legislazione in materia portuale” per la disciplina dell'ordinamento e delle attività portuali, affinché venga adeguata agli obiettivi del piano generale dei trasporti attraverso l'adozione e la modifica dei piani regionali. Inoltre, con il DPR approvato il 12 Aprile 1996, viene conferito alle regioni ed alle province autonome il compito di attuare la direttiva 337/85/CEE sulla Valutazione dell'Impatto Ambientale (VIA) in merito a determinati progetti pubblici e privati. Anche l'elaborazione del nuovo PRP di Molfetta necessiterà dell'integrazione dello studio sulla Valutazione d'Impatto Ambientale (VIA), per essere rispondente alle nuove disposizioni. La consegna del piano avviene nel Dicembre 2003 e da quel momento in poi sarà soggetta ai vari passaggi burocratici, prima dell'adozione definitiva da parte del Comune di Molfetta. Ancora oggi si è in attesa dell'ultimo nullaosta da parte della Regione Puglia. La filosofia alla base del progetto può essere evidenziata attraverso il seguente stralcio presente nell'analisi economica (n.d.a. dalla Relazione Tecnico Illustrativa del PRP - RTI - E01, pagina 4 ): […] “A questo esito (n.d.a. il declino economico di Molfetta) non è estranea la flessione delle attività legate alla pesca ed alla gestione del porto, i cui effetti non sono stati compensati dalla parallela espansione delle attività industriali e florovivaistiche, mantenendo alla città di Molfetta uno dei più bassi tassi di attività, di occupazione e di densità imprenditoriale della provincia di Bari, in attesa che le potenzialità rappresentate dalle tre aree per insediamenti produttivi, già assegnate a nuove imprese, insieme ad importanti infrastrutture, come il nuovo mercato ortofrutticolo, tra i più grandi del Mezzogiorno, esplichino pienamente i loro effetti sull'occupazione e, ove ne sussistano le condizioni di convenienza e la necessaria attrezzatura logistica, sull'attività del porto” […]. In sostanza i progettisti, rilevando una significativa e inesorabile flessione dell'attività peschereccia a partire dagli anni '90, hanno individuato la causa principale di tale declino nella: – limitatezza della struttura portuale; – nella mancanza di infrastrutture idonee alla mobilitazione dei prodotti ittici e delle merci; – nella convivenza sullo stesso molo “San Michele” dell'area peschereccia e di quella commerciale; – nella sovrapposizione del traffico veicolare portuale con quello urbano. Da queste considerazioni è nata l'esigenza di separare nettamente l'attracco peschereccio da quello commerciale, oltre a ideare un non ben giustificato collegamento lineare tra le varie attività previste all'interno del nuovo porto: peschereccia, cantieristica, turistica e commerciale. In previsione di una crescita delle imprese presenti nelle tre aree adibite a insediamenti produttivi (n.d.a. zona artigianale e industriale), si è ipotizzata la necessità di far fronte a un ingente aumento del traffico pesante per il trasporto delle merci da indirizzare verso il trasporto via mare, in linea con il riordino del trasporto merci su scala nazionale (n.d.a. meglio conosciuto con l'appellativo di “autostrade del mare”) e in previsione dei traffici provenienti dalleuropeo (n.d.a. “Corridoio Transeuropeo n° 8”). Si aggiunga la necessità di rendere più sicura la struttura portuale, relativa agli attracchi dei natanti, per proteggerla dai venti dominanti del settore di traversia Nord-Nord/Ovest, spesso causa di un eccessivo moto ondoso al suo interno. Alla luce delle sopraccitate necessità, i progettisti incaricati hanno individuato nel prolungamento dell'attuale diga frangiflutti (n.d.a. zona retrostante la Basilica della Madonna dei Martiri) la possibilità di realizzare un nuovo molo commerciale, da mettere in collegamento mediante un ponte stradale a due carreggiate da 8,2 metri, con 4 corsie da 3,5 metri, che si vada a collegare alla terraferma con le principali vie di comunicazione presenti in quella zona: S.S. 16, S.S. 16 bis, linea ferroviaria, autostrada. Tali dimensioni sono in grado di soddisfare la portata delle operazioni di carico e scarico merci pari a 1.325.000 tonnellate/anno, quadruplicando quasi l'attuale movimento merci che non supera le 372.000 tonnellate/anno. A servizio del molo commerciale è prevista una vasta area che sarà adibita alla mobilitazione e al deposito di merci, oltre che al parcheggio dei TIR, compresa tra la S.S. 16 e l'imbocco della zona ASI. La sua superficie ammonta a 134.500 metri quadrati (n.d.a. l'equivalente di circa 19 campi di calcio) sottratta a un vasto territorio agricolo. Adiacente al porto commerciale, procedendo verso levante, in un'area compresa tra la “secca dei pali” e il molo “Pennello”, è stata individuata l'area del porto turistico. Tale struttura si pone come obiettivo anche la riabilitazione e la riqualificazione del quartiere residenziale “Madonna dei Martiri”, […] “costituito esclusivamente da case di tipo popolare, totalmente sprovviste di strutture pubbliche e di ogni standard urbanistico” […]. è stato previsto […] “un insieme di manufatti e di impianti necessari per le attività e le esigenze a terra dell'utente e delle associazioni nautiche. Riportiamo di seguito l'elenco degli impianti, così come indicati nel PRP: […] “edificio principale pluriuso, edificio da adibire in parte ad officina meccanica ed in parte al rimessaggio delle barche con antistante piazzale di sosta dei battelli ed eventuali carrelli di traino, scalo di alaggio delle barche da diporto ed adiacente sistema per sollevamento e tiro a secco o in acqua delle barche con trave lift, aree di parcheggio per autovetture, superfici da adibire al verde di arredo e all'attività sportiva (parco giochi bambini, tennis, ecc.); attrezzature per servizi, depositi, centrale termica ecc.; impianto di rifornimento carburante delle barche, posizionato all'estremità Nord-Est delle banchine; edificio per la portineria ed amministrazione del complesso turistico; viabilità interna all'approdo e di allaccio alla viabilità urbana.” […] “Per quanto concerne la costruzione dei pontili, si è ritenuto di dover prevedere quelli a strutture fisse, stabilmente ancorate al fondo marino del tipo a giorno” […] (n.d.a. dalla RTI E03, pagine 15 e 16). A ridosso della zona turistica, dal molo “Pennello” all'estremità Ovest della banchina “S. Domenico”, è prevista la risistemazione dei cantieri navali. Nella zona antistante l'attuale ubicazione, si procederà con una colata in mare di un ingente quantitativo di metri cubi di cemento, al fine di ottenere una superficie di 25.300 metri quadrati tra area cantieristica e scalo di alaggio (n.d.a. un rettangolo di circa 250 metri x 100 metri). Resta l'attracco peschereccio a cui verrebbero destinate le intere banchine “San Domenico” e “Seminario”, più tutto il braccio di molo foraneo “San Michele”, a partire dall'attuale capitaneria di porto, per garantire una più comoda sistemazione dei natanti da pesca. Dai bordi della banchina “Seminario” è previsto un avanzamento verso il mare, per far posto a una viabilità di servizio, che si andrà a raccordare ortogonalmente con l'altra strada, a due carreggiate a 4 corsie, relativa alla banchina “San Domenico”. Il loro prolungamento mette in collegamento “linearmente” la zona peschereccia con tutte le altre aree del porto, cantieristica e turistica, fino ad arrivare al molo commerciale. Per rendere agibile la navigabilità all'interno dell'area portuale, saranno necessarie ingenti opere di dragaggio dei fondali: […] “È previsto il dragaggio per l'approfondimento, a quota -9,00 m di tutta la zona corrispondente al cerchio di evoluzione delle navi nonché di quella antistante il tratto di banchina, sita a ridosso del molo foraneo, imbasate a -9,00 m ed il dragaggio per l'approfondimento, a quota -7,00 m, di tutte le zone prospicienti i due bracci della banchina di riva. È inoltre previsto lo scavo per l'eliminazione della secca, denominata delle “Monacelle”, esistente nella zona prospiciente lo scalo d'alaggio. Tale scavo sarà effettuato sino a quota di -5,00 m. Sia quest'ultimo che quello per l'approfondimento a -9,00 m del cerchio di evoluzione potranno essere effettuati gradualmente, in fasi successive, a seconda delle future esigenze di traffico e delle disponibilità finanziarie” […] (n.d.a. dalla RTI E01, pagina 72). Dal punto di vista economico è possibile rilevare che […] “nell'ambito del sistema portuale della Puglia, il porto di Molfetta è collocato nel gruppo dei porti di rilievo regionale. Tale classificazione di secondo livello, più che dalla funzione storicamente svolta e da quella potenzialmente esprimibile, deriva da una posizione differenziale rispetto ai porti di Bari, Brindisi e Taranto che sono considerati di rilievo nazionale e dotati di Autorità portuale. Tuttavia tale classificazione, ancorché corretta, non rispecchia il ruolo effettivamente svolto dal porto di Molfetta, specie se esso venisse considerato in termini di sistema integrato di produzione di beni (pesca, cantieristica) e di servizi (trasporto, commercializzazione, formazione). Come porto peschereccio, esso è tuttora collocabile tra i primi cinque porti e come mercato ittico mantiene saldamente il secondo posto (dopo quello di San Benedetto del Tronto) all'interno del sistema portuale dell'Adriatico; inoltre, è frequente rintracciare su imbarcazioni da pesca e su navi da trasporto merci e passeggeri, sia battenti bandiera italiana che di altri paesi, personale navigante proveniente dalla marineria molfettese. Tuttavia, risulta altrettanto evidente dai dati riportati nel seguito, che il peso dello scalo molfettese nell'ambito delle attività peschereccia e trasportistica è in lento ma continuo declino, nonostante la disponibilità di saperi locali, la vivace iniziativa imprenditoriale, la diversificazione del sistema produttivo e la tenuta della filiera della pesca. Evidentemente, le cause di un tale declino vanno ricercate nella scarsa capacità di rinnovamento logistico delle strutture portuali e di servizi collaterali, specie in un contesto competitivo sempre più selettivo, a sua volta dipendente da un deficit di programmazione e di progettualità che ancora oggi si esprime nella percepibile separazione tra sistema urbano ed area portuale” […] (n.d.a. dalla RTI E01, pagine 3 e 4). Più in generale si rileva che: […] Il comune di Molfetta è caratterizzato da un tasso di attività e di occupazione piuttosto basso che lo colloca agli ultimi posti della provincia di Bari. […] Molte aspettative sono riposte nella localizzazione di circa 200 imprese nelle due aree PIP e nell'agglomerato ASI di Molfetta avvenuta nel corso dell'ultimo triennio (n.d.a. dal 1998 al 2001), ma queste attese devono ancora dare gran parte dei loro frutti” […] (n.d.a. dalla RTI E01, pagina 10).
Ricapitolando, gli obiettivi che il nuovo PRP si prefigge risultano essere quelle di separare nettamente le diverse funzioni delle attività svolte al proprio interno, aumentarne in modo considerevole gli spazi disponibili, dotarli di nuove strutture e di impianti rispondenti alle normative comunitarie. Si scommette su un rilancio economico legato a questo tipo di interventi, alla crescita delle attività legate alle zone industriali e artigianali, infine sul commercio derivante dalle moderne strutture dei mercati ittico e ortofrutticolo.
La situazione attuale
I destini del porto di Molfetta sono strettamente legati alla tradizionale attività peschereccia. Essa ha garantito stabilità economica a tante famiglie del posto, raggiungendo il picco di attività negli anni ottanta. Attualmente il comparto della pesca, da una parte, deve fare i conti con la tutela della fauna ittica per assicurarla alle generazioni future, dall'altra, garantire remunerazione per andare incontro alle esigenze legate all'economia e alle imprese del settore. Abbiamo interpellato l'ex direttore del Mercato Ittico di Molfetta, dottor Francesco Gesmundo, il quale ci ha descritto come un fattore determinante della crisi del settore l'innalzamento dei costi di gestione per l'attività peschereccia, stimabile dal 18% al 36% circa, principalmente a causa dell'aumento del costo del carburante. A ciò si aggiunga anche il mercato d'importazione, che rende pressoché stazionarie le quotazioni del pescato, impedendo maggiori margini di guadagno per le ditte armatrici. A fronte di questa crisi del settore, il governo dell'Unione Europea ha adottato misure tampone, tipo gli incentivi economici per la rottamazione dei natanti da pesca più vetusti, per puntare ad una progressiva riduzione del numero di imbarcazioni e, di conseguenza, limitando l'eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche disponibili. Tali provvedimenti restano comunque insufficienti ed economicamente dispendiosi, sicché sarebbe auspicabile puntare a una più efficace riorganizzazione del sistema, con effetti stimabili a medio e lungo termine. In quest'ottica, è stato già approntato un progetto denominato “e-fish”, che punta allo sfruttamento di moderne tecniche di comunicazione e trasferimento dati. Si doteranno le imbarcazioni da pesca di tecnologia apposita, dai costi contenuti, in modo da sfruttare in tempo reale le informazioni relative alle quotazioni dei vari prodotti ittici. Con questo sistema si potranno evitare gli inevitabili sprechi dovuti all'assoluta disorganizzazione degli operatori e, al tempo stesso, sarà possibile ottimizzare i ricavi per far fronte ai sempre crescenti costi di produzione. Per favorire un ripopolamento della fauna ittica del mare Adriatico, oltre alle disposizioni di “fermo biologico”, è necessario un recupero dei fondali marini fortemente martoriati dalla pesca a strascico. Questa tecnica di pesca, largamente usata dalla marineria molfettese, determina la migrazione di molte varietà di pesci. Una possibile alternativa a questa forma di “depredamento” del mare è costituita dalle tecniche di allevamento. Il professor Nicola Melone, docente di geochimica applicata presso l'università di Bari e preside della facoltà di scienze alla Seconda Università degli Studi di Napoli, ha evidenziato come l'Italia non sia ai primi posti a livello europeo come quantità di pescato, mentre può vantare il primato relativo alla qualità dei propri prodotti ittici. Il mare Adriatico, in particolare, ha come caratteristiche fondali poco profondi ricoperti da un notevole quantitativo di alghe, queste ultime capaci di assorbire sali come cloruri e solfati di magnesio, che conferiscono ai pesci pregevoli qualità. In sostanza, non essendo possibile aumentare in modo sensibile il quantitativo di cattura del pesce, risulta indispensabile aiutare le imprese ad abbattere i costi di gestione. è necessario, inoltre, rendere possibile l'adeguamento dei prezzi del pescato, puntando sulla qualità dei prodotti e impedire la dispersione delle risorse nei canali di intermediazione commerciale. Favorire un buon sistema di cooperazione può rappresentare una ulteriore soluzione, per la sopravvivenza della categoria degli armatori. Il settore della cantieristica a Molfetta risente in modo diretto della crisi della pesca, dovendo subire un inevitabile decremento degli ordinativi relativi alla tradizionale costruzione di nuove imbarcazioni da pesca in legno, ormai anacronistiche. L'area adibita a tale attività risente della presenza di strutture ormai fatiscenti, di spazi troppo limitati e male organizzati, di inadeguate vie d'accesso, della mancanza di reti idriche e fognarie, infine dell'assenza di sistemi antincendio a norma di legge per la tutela dell'incolumità dei lavoratori. Lo scalo turistico e da diporto, così come attualmente predisposto al molo “Pennello”, non ha potuto svilupparsi in modo proficuo, a causa di inadeguate strutture di supporto. Il numero di posti barca risulta essere alquanto limitato e disponibili solo per natanti di piccole dimensioni. La presenza di porti turistici limitrofi maggiormente attrezzati, come Trani e Bisceglie, più il contorno di una zona lasciata al degrado, rende poco concorrenziale l'attività turistica per il porto di Molfetta. L'attività mercantile occupa da sempre una rilevanza marginale rispetto ad altri porti pugliesi quali Brindisi e Taranto. Ciò è rilevato anche all'interno dell'analisi economica presente nel PRP, da cui si riporta quanto segue: “Il movimento di navi mercantili nell'ambito del porto in esame, non essendo mai stato particolarmente rilevante, risulta negli anni dal 1997 al 2002 ancora in notevole contrazione, sia in termini di unità transitate che di merce movimentata. In particolare, il numero di navi in arrivo è passato da 164 nel corso del 1997 a 112 nel 2002, dato peraltro lievemente superiore a quello dell'anno precedente quando avevano attraccato solo 100 navi” […] Le tonnellate di merce scaricata dai mercantili si sono ridotte di oltre un terzo dal 1997 al 2000 (passando da oltre 300 mila tonnellate a 92 mila) salvo poi aumentare nel 2001 ad oltre 192 mila tonnellate. Le principali merci scaricate sono legno (il 38,5% circa del totale scaricato nel 2001) concime e grano (rispettivamente il 29% ed il 26% circa del totale). Sebbene risulti fortemente marginale, anche rispetto alla merce in arrivo, essendo nell'ordine delle decine di migliaia di tonnellate, la merce imbarcata presenta – per contro – un andamento crescente negli anni dal '97 al '01, passando da più di 15 mila tonnellate ad oltre 32 mila, di queste ultime ben 20.783 tonnellate sono costituite da tondini in ferro, tipologia che prima del 1999 non era imbarcata nel porto di Molfetta, a dimostrazione dei nuovi flussi tipologici e quantitativi attivati dall'insediamento di un cospicuo numero di imprese meccaniche e di lavorazione del ferro nelle tre aree per insediamenti produttivi della città […] (n.d.a. dalla RTI E01, pagina 20). Lo stesso porto di Bari, sebbene goda di una struttura portuale di gran lunga più attrezzata rispetto al nostro porto, secondo le elaborazioni ISTAT “occupa una posizione di scarso rilievo a livello nazionale” (n.d.a. dalla RTI, pagina 20) e si appresta a diventare in maniera quasi esclusiva una stazione marittima per passeggeri e croceristi. Nell'ottica del piano dei trasporti, all'interno del contesto regionale, il porto di Molfetta potrebbe aspirare ad accogliere i picchi di domanda generata dall'attività del trasporto merci che lo scalo di Bari non sarebbe in grado di smaltire. Resterebbe comunque sprovvisto di autorità portuale, quindi destinato a ricoprire un ruolo subordinato rispetto agli scali di Brindisi, Barletta e Taranto. Si aggiunga la questione legata ai bassi fondali dell'area portuale, che impedirebbe in ogni caso l'attracco di navi mercantili di stazza medio-grande. Da questi dati, è facile prevedere come il molo mercantile, così come previsto nel nuovo PRP, non avrebbe importanti ricadute economiche e occupazionali sulla popolazione molfettese.
Le nostre osservazioni sul nuovo PRP
Dalle analisi presenti all'interno delle Relazioni Tecniche Illustrative del nuovo Piano Regolatore del Porto di Molfetta, si evince come i progettisti incaricati siano partiti dall'idea di dotare la città di una struttura portuale più capiente e meglio organizzata, con l'auspicio di invertire in questo modo la fase di declino in atto già da alcuni anni. Molte speranze riposte nell'incremento delle attività insediate nelle zone di sviluppo artigianale e industriale oggi continuano ad essere disattese o in grave ritardo, così come il riordino del trasporto merci su navi mercantili sia in ambito nazionale che in quello internazionale (n.d.a. “autostrade del mare” e “Corridoio Transeuropeo n° 8”). Per queste ragioni ci sono apparse in larga parte ingiustificate le dimensioni degli interventi previsti nel progetto: – le strade al servizio del porto lungo le banchine “Seminario” e “San Domenico”; – la colata in mare di svariati metri cubi di cemento per l'allargamento della zona cantieri; – l'attracco turistico e l'area a servizio del molo commerciale. Tali interventi incidono pesantemente sull'identità storica di tutta l'area urbana interessata (n.d.a. dalla zona borgo antico, fino oltre il rione “Madonna del Martiri”) e devastano in modo irrecuperabile l'ambiente naturale, sia di tipo marino che agricolo (n.d.a. in base al progetto dell'area di servizio allo scalo commerciale, detta “autoporto”). Inoltre, per adeguare i fondali al piano previsto, sono necessari ingenti e dispendiosi interventi di dragaggio, i cui materiali di risulta possono costituire un pericolo per la salute pubblica, qualora non vengano smaltiti in appositi siti autorizzati. In merito a queste problematiche si esprime il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, per mezzo del decreto n° 648 del 23 Giugno 2005. In esso viene indicata la necessità di elaborare un progetto dettagliato, prima dell'avvio dei lavori, relativo alle tecniche delle operazioni di dragaggio prescelte e i relativi siti di smaltimento per materiali pericolosi. Vengono riportate anche prescrizioni indicate dalla Regione Puglia, emanate il giorno 2 Marzo 2005 (n.d.a. nota n° 2536), con i seguenti punti: – Stralcio dell'ampliamento della “Banchina Seminario”; – Riorganizzazione dell'area “Cantieri navali”, al fine di evitare l'ostruzione della visuale del mare dalle strade del borgo, accompagnata dalla definizione di un programma di riqualificazione dell'area delle strutture cantieristiche esistenti; – Definizione di adeguate soluzioni progettuali per la sistemazione idraulica delle aree “di pertinenza” ed “annesse” delle lame (n.d.a. sistema delle lame che confluiscono nella zona denominata “secca dei pali”, attualmente inglobata nella urbanizzazione). Infine viene rilevato che […] “per quanto riguarda il Piano Territoriale Tematico e Paesaggistico (PUTT/P) le aree ricomprese nella zona portuale di Molfetta, ad esclusione dei territori costruiti che non sono sottoposti a tutela del PUTT/P, […] valgono obiettivi di salvaguardia e valorizzazione paesaggistico-ambientale nel rispetto di indirizzi di tutela in cui vige la massima cautela negli interventi di trasformazione del territorio. Le aree interessate dal progetto, oltre a lambire a sud il centro storico risultano inoltre adiacenti all'AREA PROTETTA con vincolo faunistico A8 – Oasi di Protezione – Torre Calderina. Infine l'area di progetto risulta vincolata ai sensi della ex-legge 1497/1939, in quanto una parte del progetto risulta nell'area compresa tra la basilica della Madonna dei Martiri, la S.S. 16, via Madonna dei Martiri, via Ragno, via Sergio Pansini, Piazza V. Emanuele, corso Umberto, via Maranta, via La Vista, piazza Garibaldi fino al mare soggetto al vincolo paesaggistico.” […] Le osservazioni fatte dalle istituzioni di controllo richiamano la tutela dell'identità culturale relativa al tessuto urbano, la cautela degli interventi per la salvaguardia e la valorizzazione dell'ambito paesaggistico e ambientale, la riqualificazione delle strutture già esistenti, la tutela della salute pubblica, a fronte dei fattori inquinanti che potrebbero derivare sia in fase di realizzazione del progetto, sia in relazione alle attività che si andranno a sviluppare al suo interno. Sul piano strettamente economico, riteniamo necessario dotarsi di studi di settore sulle varie attività connesse al porto, sulla scorta di dati più aggiornati. In questo modo si potranno fare considerazioni più realistiche sulla sostenibilità dell'opera, piuttosto che immaginare scenari futuri sulla base di prospettive attualmente scarsamente verificabili.
Cosa proponiamo
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, proponiamo una visione alternativa rispetto al Progetto del Piano Regolatore Generale per il Porto di Molfetta, basata sulla tutela dell'identità storico-culturale di tutta l'area interessata dall'intervento, sulla valorizzazione e riqualificazione delle strutture già esistenti e sulla ricerca di un modello di sviluppo che concili il rispetto dell'ambiente con scelte economiche efficaci. Così come indicato dal Ministero dell'Ambiente e del Territorio, vogliamo richiamare i progettisti alla massima cautela negli interventi onde modulare nel tempo le dimensioni degli spazi e delle strutture al servizio delle varie attività portuali. Riteniamo prioritario che vi sia la restituzione dell'attività peschereccia a quel ruolo di primo piano che le spetta di diritto nello scenario economico, sociale e culturale della realtà molfettese. Come si è già evidenziato in precedenza, una mirata politica per il riordino di tutto il comparto, più una serie di misure tese alla riduzione dei costi di gestione, possono rilanciare il settore legato alla pesca, determinando nuove prospettive di sviluppo nel pieno rispetto dei parametri di sostenibilità ambientale. Ragionando sulla planimetria del porto, abbiamo provato a indicare una nuova organizzazione degli spazi e delle strutture già esistenti. Secondo la nostra idea sarebbe opportuno assegnare l'intero molo foraneo “San Michele”, dalla sede della Capitaneria di porto in poi, al solo attracco delle imbarcazioni da pesca. In questo modo sarebbe possibile garantire un ormeggio più consono al numero di pescherecci oggi esistenti, nella consapevolezza che esso resterà pressoché costante anche in futuro. Un problema molto sentito dagli operatori del settore è legato dall'aumento dei costi del carburante. Una buona soluzione può derivare dalla riconversione dei motori marini dal diesel di derivazione petrolifera al bio-diesel di origine naturale ottenuto dalla lavorazione dei semi oleosi (girasole, colza, soia, canapa, etc.) a basso tasso di inquinamento. Indichiamo, inoltre, una riduzione o totale abolizione delle tassazioni legate ai combustibili (le accise), per quelle imbarcazioni che utilizzeranno il bio-diesel per la loro attività e l'avvio di politiche agricole che mirino a promuovere la coltivazione di girasole o colza (colture che si adattano molto bene ai nostri climi e ai nostri campi) anche mediante incentivi economici. Inoltre, per rilanciare una corretta valorizzazione del pescato, sarebbe possibile organizzare sagre ed eventi eno-gastronomici, mediante un'intesa programmatica fra il settore ittico e quello agricolo. In merito ai periodi di “fermo biologico”, che le imbarcazioni da pesca sono tenuti a rispettare, si potrebbe puntare alla creazione di itinerari turistici marini (sfruttando ad esempio l'Oasi protetta di Torre Calderina), con la conversione stagionale dei pescherecci alla ricezione di turisti. Un aspetto per nulla secondario legato alla pesca riguarda gli incidenti che talvolta avvengono durante il lavoro a bordo dei natanti. Nel corso degli anni, purtroppo, numerose e preziose vite di nostri concittadini sono state consegnate alle onde del mare. è possibile limitare al massimo i rischi di incidenti attraverso: – incentivi per la demolizione delle imbarcazioni più a rischio; – moderne tecniche di progettazione e costruzione delle imbarcazioni con utilizzo di materiali all'avanguardia; – l'ausilio di apparecchiature di segnalazione e monitoraggio a terra, oggi a disposizione, per i casi di emergenza. Come già abbiamo avuto modo di dire, liberando le banchine “Seminario” e “San Domenico” dagli attracchi dei natanti da pesca, si potrebbe individuare in quella zona lo scalo turistico e da diporto, in virtù di fondali meno profondi, un moto ondoso più contenuto e con una cornice più consona a questa destinazione rappresentata dal “Vecchio Duomo”, dal palazzo della Dogana e dagli altri stupendi edifici che si affacciano sul borgo. Lo sfruttamento degli spazi più ampi all'interno del porto esistente, la presenza dei cantieri navali più l'esaurimento dei posti barca nei porti vicini (come Trani, Bisceglie e Giovinazzo) implicherebbe interessanti prospettive di ricaduta economica per la città. I cantieri navali, a traino dello sviluppo dell'economia legata alla pesca e del rilancio del polo turistico avrebbero interessanti prospettive per le loro attività. Nascerebbe la necessità di adeguare gli spazi alle nuove esigenze e attrezzare l'area con tutta la rete dei servizi idrici e fognari oggi assenti. è indispensabile la messa in sicurezza di quei luoghi, mediante sistemi antincendio a norma di legge, e dotare di adeguate vie d'accesso le attività che si svolgono all'interno dell'area. Con la riqualificazione dell'approdo turistico, vi sarebbe la possibilità per i cantieri di differenziare le loro attività, per non essere troppo legati soltanto al comparto pesca. In questo modo si potrà puntare anche su un rinnovamento tecnologico avanzato. Oltre al recupero degli edifici da ri-assegnare alle officine meccaniche già presenti, al fine di razionalizzare meglio gli spazi a disposizione, si può prevedere la costruzione di capannoni funzionali alle fasi di assemblamento finale delle imbarcazioni, da affidare temporaneamente con quote d'affitto alle ditte interessate. Si è anche pensato di annettere l'edilizia povera retrostante la zona dei cantieri, come scuole-museo dei saperi per la cantieristica e la marineria molfettesi. La zona commerciale, così come previsto nel Piano Regolatore generale del Porto, sarebbe bene localizzarla lungo la diga foranea collegata alla terraferma per mezzo di un ponte stradale: un intervento che andrebbe a completare il sistema di protezione dell'intero porto, qualora venga accertata la sua compatibilità con l'area protetta da vincolo faunistico di Torre Calderina. Tale localizzazione può risultare funzionale per via di una favorevole disposizione planimetrica, che andrebbe a connettere il trasporto merci direttamente alle principali vie di comunicazione, senza che esso si vada a sovrapporre al traffico cittadino e restando ben al di fuori del contesto urbano. Anche l'area prevista al servizio del sistema portuale per la raccolta e la di-stribuzione delle merci (il cosiddetto “autoporto”), prevista nel Piano Regolatore Generale del Comune di Molfetta, necessita di un più corretta valutazione di impatto ambientale, così come indicato nel decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio.
Conclusioni
Dall'analisi sopra esposta si evince come molte soluzioni progettuali descritte nel nuovo Piano Regolatore del Porto e presentate al Consiglio Comunale di Molfetta, entrino in aperta contraddizione con le indicazioni riportate all'interno dell'analisi sulla sostenibilità ambientale: […] “il sacrificio ambientale che comunque viene richiesto alla collettività nella costruzione di un porto, sia pure mitigato ed eventualmente compensato, si giustifica unicamente se sostenibile. Ciò vuol dire che con la sua realizzazione non si produce degrado bensì ricchezza e che questa condizione risulti prevedibilmente valida anche per le generazioni successive.” […] Sono stati già stanziati 62 milioni di euro di finanziamenti pubblici per la realizzazione dell'opera, che noi riteniamo debbano essere utilizzati per il recupero e il rilancio delle attività locali già presenti all'interno del porto. Bisognerà individuare le priorità degli interventi da effettuare in fase realizzativa, che non vadano nella direzione di favorire esigenze di natura esterna rispetto a quelle della città, con ricadute economiche marginali per gran parte della popolazione. Le attuali capacità del porto di Molfetta sono in buona parte già sufficienti a soddisfare le previsioni di sviluppi futuri e non serve ingrandirne le dimensioni. Ribadiamo la necessità di partire dall'adeguamento delle strutture, per favorire principalmente il comparto legato all'attività della pesca, in modo tale che vengano innescati quei presupposti per il rilancio di buona parte delle attività legate al porto, nel pieno rispetto della tradizione. |
maggio 2006 |