In occasione del primo
anniversario della morte di Mario Luzi (28 febbraio 2005), il volume
curato da Daniele Maria Pegorari (contemporaneista della Facoltà di
Lettere e Filosofia di Bari) Non disertando la
lotta
(Palomar, Bari 2006, pp. 262) propone la raccolta completa degli
scritti civili del poeta.Dall’introduzione
riportiamo alcune pagine significative della costruzione di un
originale ‘ermetismo morale’. |
Se il recupero della nozione platonica di arte come
imitazione e dunque allontanamento dalla realtà produrrà in Per il
battesimo dei nostri frammenti (1985) l’anelito a una poesia non più
metaforica, ma metafisica, potremmo dire, capace di tendere allo
scioglimento di qualunque linguaggio allegorico a tutto favore della
pronuncia diretta del Logos, già in Al fuoco della controversia (1978) appare chiaro che la distanza metaforica che preservava l’autonomia
reciproca dei destini e dei domini dell’artista e del politico non regge
più, poiché la brutalità del quotidiano irrompe con prepotenza nella
pagina e rende attuale, e nondimeno incomprensibile, ciò che un tempo
poteva essere solo fantasticato eppure spiegato dall’invenzione narrativa:
il fatto, cioè, che il vero poeta sia non solo intrinsecamente estraneo ai
meccanismi del potere, ma persino irriducibile e dunque pericoloso,
avversario da piegare o eliminare. Il libro in questione è quello cruciale
della partecipazione civile di Luzi, dal momento che raccoglie l’eredità
della distensione discorsiva e plurilinguistica delle due raccolte
precedenti e insieme trasferisce nei versi l’enorme quantità di stimoli e
suggestioni che gli eventi della cronaca internazionale e italiana
propongono all’autore. Se qualche impressione del viaggio in Unione
Sovietica del 1966 (come membro di una delegazione di scrittori italiani,
insieme con Carlo Levi, Leone Piccioni ed Edoardo Sanguineti) aveva già
trovato posto in qualche sequenza del “Corpo oscuro della metamorfosi”, la
meditazione più complessa suggerita dalla partecipazione alla tappa
georgiana è documentata dal poema in tre parti “Graffito dell’eterna
zarina”, che costituisce la seconda sezione di Al fuoco della
controversia.
La visione delle grandiose manifestazioni di regime dedicate
al leggendario poeta nazionale del sec. xii Rustaveli, origina una catena
di riflessioni sui rapporti fra il flusso storico e le manipolazioni
ideologiche, fra il mito letterario e il pragmatismo politico, fra il
sogno della giustizia e il cinismo del potere: alfine il tema nodale,
direi, è quello del contrasto fra la trasposizione epica delle guerre e
della figura del principe (che è materia tipicamente rustaveliana) e la
realtà attuale delle guerre in corso e della politica contemporanea. Così
già nella prima parte del poema
(vv. 48-60), il
pensiero della zarina tutrice della pace, protagonista del poema di
Rustaveli, richiama la tragedia vietnamita in corso (siamo nei primi anni
Settanta) e l’eterna farsa della diplomazia (“i grandi provveditori della
pace / con la loro coda di esperti […] i signori dell’onesta convivenza /
assai larghi di sorrisi”) che finge di prendersi cura dei destini dei
popoli: il loro volare da una parte all’altra del mondo come veri e propri testimonial della civiltà democratica è figura del loro facile
sorvolare sulla realtà dei “morti che la storia ha voluto”. Ancora alla lunga spedizione statunitense in Vietnam sono
dedicati alcuni versi della seconda parte (vv. 111-130), che ritraggono i
soldati americani in una pausa del combattimento, “al parlottio sospetto
della corrente […] lungo il delta del Mekong”: essi, ormai svuotati dalla
consuetudine con il “massacro”, ridotti essi stessi a dei morti costretti
a indossare la maschera dei vivi, sognano il loro ritorno a casa, nella
mediocre cornice di un “minigiardino” piccolo-borghese. Di questo
passaggio vorrei segnalare la precocità della riflessione sulla peculiare
alienazione dei marines statunitensi, che precede di qualche anno
la letteratura e soprattutto la ricca e nota cinematografia sul disagio
dei reduci che costituisce oggi una sorta di anti-epica americana
contemporanea. Ma la seconda parte del poema non trascura di guardare
anche ai recenti temi del dibattito e della cronaca politica italiana di
quegli anni; i vv. 41-57, con un arguto gioco di parole tra “ammiraglio” e
“almirante”, si riferiscono ai fondati timori circa la ricostituzione di
un partito autenticamente fascista, nonostante i divieti imposti dalla
Costituzione repubblicana. A preoccupare il poeta è la recente adesione al
Movimento sociale italiano, guidato dal suo coetaneo Giorgio Almirante, da
parte dell’ammiraglio Birindelli, che genera il sospetto di una deviazione
golpista di una parte delle nostre forze armate, ma ancor più preoccupante
è l’oblio che “la repubblica” stende rapidamente su coloro che morirono
per consentirne la nascita o per preservarne la natura democratica e
libertaria. Né il triste destino dell’oblio riguarda solo lo scenario
italiano, anzi un altro viaggio, in Ungheria questa volta (e siamo nel
1970), è l’occasione per riflettere con sconcerto circa la capacità del
regime totalitario (restaurato dopo la repressione sovietica di Budapest
del 1956) di stroncare non solo gli oppositori, ma anche la loro memoria,
la loro presenza nei libri di storia, complice proprio la riduzione
dell’intellettuale a mero “amanuense”, “prendinota ufficiale degli
avvenimenti” (“Cacce all’uomo”). Figura dell’intellettuale comunista,
chiuso nell’“abbraccio […] protettivo” del Partito è anche la donna che
apre la sezione ‘Il filo perduto dell’avvenimento’, colta in un momento di
sospensione, tra incanto per la visione di una rondine in volo e quieto
riposo “su una sdraia”, mai scalfita dal dubbio che il “compito”
affidatole non sia in accordo con quel progresso spirituale e materiale in
cui ella crede; questa straordinaria icona femminile di “La rondine salita
incontro alla pioggia”, è la manifestazione forse più evidente di un topos ad alta frequenza nei libri luziani di questa stagione,
offrendosi come estroflessione della meditazione del poeta sulla storia,
eppure non semplice suo alter ego, ma figura di interlocutore
silenzioso dal quale il poeta può all’occorrenza prendere le distanze o,
al contrario, essere sollecitato al dubbio, memore della funzione
dialogica scoperta nel Magma (1966). Così la sua calma postura, la
parvenza di libertà che traspare dal suo sguardo e da una certa sua
luminosità sembrano dibattere il poeta fra l’“ammirazione”, per la sua
sicurezza ideologica e per la sua grande spinta morale, e l’“indulgenza”
per l’inganno e il controllo politico di cui è ella stessa
vittima.Il tono ormai esplicito con cui Luzi si riferisce alle
vicissitudini collettive ha in “Muore ignominiosamente la repubblica” (1976), nel cuore della Controversia, il suo testo con ogni
probabilità più memorabile, anche per via di quell’avverbio così
fastidioso da leggere e così impoetico da segnare il culmine della
prosaicizzazione del testo poetico nell’itinerario di Luzi:
“ignominiosamente” è ripetuto ben sei volte in una lirica di soli dieci
versi e dice tutta la mortificazione provata dal poeta nello scoprire
l’irredimibilità della crisi della Repubblica, l’orrore dinanzi allo
sfacelo delle istituzioni che dovrebbero non solo regolare la vita dei
cittadini, ma anche salvaguardarne le libertà e i diritti, consacrando la
Storia nel segno della pacificazione e della democrazia reale. Invece i
cosiddetti ‘anni di piombo’ sono scanditi da una lingua altra da quella
della legge e della convivenza civile, una lingua minacciosa e sospettosa,
una lingua di complotti e di menzogna; il riferimento immediato della
poesia riguarda, infatti, gli opposti terrorismi di destra e di sinistra,
infame e stragista il primo, crudelmente ideologico il secondo e ispirato
alla folle mitologia del ‘tribunale del popolo’, ma più in generale i
versi descrivono il cinismo di ogni violenza politica e il tramonto della
cultura repubblicana nata dalla Resistenza e dall’antifascismo, colti dal
poeta con estrema lucidità analitica, oltre quindici anni prima che questa
dissoluzione assumesse il nome di ‘seconda repubblica’.
Non
disertando la lotta contiene
l’omaggio poetico di:
Bàrberi Squarotti, Beck, Bertoni, Bettarini, Buffoni, Cappi, Conte,
D’Amaro, Deidier, D’Elia, Del Serra, Dotoli, Erba, Ermini, Ferri A., Fo,
Gualtieri, Guglielmin, Insana, Isella, Lenisa, Loi, Lunetta, Maffia,
Magrelli, Mancino, Merini, Minore, Moretti, Moriconi, Oldani, Ramat,
Ritrovato, Rondoni, Rosato, Scarabicchi, Serrao, Serricchio, Troisio,
Verbaro, Viviani.
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maggio 2006 |