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Con l'assassinio di Pier Paolo Pasolini ha inizio un'epoca di vuoto e solitudine. La voce dell'intellettuale viene ridotta al silenzio, ma lascerà spazio alle invasive “urla” di quella televisione di cui egli aveva denunciato la stupidità delittuosa, “[…] il lacerante vuoto culturale creatosi con la sua scomparsa sarà riempito solo dalle parole racchiuse nei suoi scritti. Sia quelle che rivelavano con meraviglia l'armonia della vita, sia le ancora urlanti dichiarazioni corsare“.1 Esattamente da quel momento, da quell'inseguire la verità, prende il via il film di Marco Tullio Giordana Pasolini - un delitto italiano, che inizia la sua narrazione-inchiesta mostrando l'inseguimento tra l'auto di Pier Paolo Pasolini e la polizia. Alla guida del veicolo il giovane diciassettenne Pino Pelosi, che si dichiarerà colpevole dell'assassinio di Pasolini. Da quella notte l'esigenza di svelare i misteri, cara al poeta, si trasforma quindi nella necessità per la parte più progressista della cultura italiana di scoprire la verità sulla sua uccisione. I media, attraverso cui il Potere esplica tutta la sua forza manipolativa sulla coscienza del cittadino-schiavo, hanno il compito, nel sistema Stato-capitale, di insinuare l'idea che il nemico, che può camuffarsi sotto le più disparate maschere, sia sul punto di attaccarci e che perciò dobbiamo correre a rifugiarci sotto l'ala protettiva del potere. Il Potere abbisogna, per non perdere la propria essenza, dei media, ma soprattutto del loro potere di plasmare le coscienze. I media devono agire e interagire in modo da creare “una minaccia con cui spaventare la gente per impedirle di focalizzare l'attenzione su quel che realmente accade loro e intorno a loro”.2 Il sistema dei media nel suo agire, quindi, ha un modo più che sperimentato per mantenere la gente passiva e obbediente, ossia limitare rigorosamente lo spettro delle opinioni accettabili. Ma permette, al tempo stesso, dibattiti molto vivaci all'interno di questo campo di azione, incoraggiando perfino le posizioni più critiche e dissenzienti. In questo dà la sensazione, subdolamente, che esista la libertà di pensiero. In questo modo il Potere, sia esso di destra, di centro o di sinistra, ha “concesso” che si discutesse se il “processo a Pelosi” dovesse riguardare l'ambito politico o l'ambito sessuale; ha pure fatto in modo che s'insinuasse nella gente l'idea che quello di Pasolini fosse un chiaro omicidio politico nella eterna disputa tra DC e PCI, tra Destra e Sinistra. “Ricordate quante volte si diceva: che dirà la Dc, a chi giova questa verità? Così il delitto politico calzava a pennello contro la destra e il centro della società italiana e serviva a creare i prodromi di una adorazione del poeta che dura ancora oggi. Il delitto politico fu recitato proprio da tutta la stampa di sinistra, […].”3 Nel periodo precedente gli “anni di piombo”, il Potere ritenne necessario fomentare l'idea che il cittadino italiano fosse in pericolo, che l'intera società fosse sul precipizio di una profonda crisi d'identità culturale, che si volle far ricadere nel perenne dissidio tra fascisti e comunisti. Ma non solo. Era necessario che questa crisi avesse un inizio. E quale migliore segnale di questa catastrofe epocale se non quello di un omicidio-eccellente? Del simbolo più attuale del neoantifascismo militante? Anche la dinamica del processo e le relative indagini, a ben guardare, mal celano un preciso piano del Potere, che lascia alla gente l'illusoria convinzione di potersi esprimere sulla natura dell'omicidio, ma in realtà non permette di argomentare il fatto, e senza dubbio si tratta di un fatto, che il cosiddetto “processo Pelosi” ha, poi, spazzato via tutti gli sforzi sostenuti affinché fosse riconosciuto il diritto della famiglia Pasolini e, più in generale, di tutti noi ad avere un giusto processo e che Pino Pelosi fosse condannato per una “giusta causa” o quanto meno che questa fosse la più vicina alla verità effettiva. A partire dalla metà degli anni Settanta ci si trovò a di-scutere aspramente se Radio e TV dovessero essere a disposizione del pubblico o gestite dal potere privato. Si sa bene chi la spuntò alla fine. In entrambi i casi tutto ciò è stato fatto in nome della democrazia! Si tolgono i media dalle mani del pubblico, si passano alla tirannia privata e questa la si vuol far passare per democrazia! Questo stesso democratico sistema dei media oggi tace, o quasi, sulla riapertura del caso Pasolini da parte della magistratura, nonostante le dichiarazione del presunto unico responsabile. Analogamente, allora, non si ritenne di insistere sul caso perchè aveva ormai perso i crismi dello scoop, nonostante le successive dichiarazioni degli abitanti del posto rilasciate a Furio Colombo. La stampa di sinistra avrà quasi un atteggiamento di sospetto per questo caso giudiziario, soprattutto dopo il dossier di Oriana Fallaci: “Lo scoop che diviene un boomerang blocca ogni altra possibilità di avviare inchieste giornalistiche, pure in un periodo nel quale, da Piazza Fontana in poi, esse erano di grande attualità ed efficacia, avendo contribuito a smascherare versioni ufficiali e di comodo in più di un occasione”.4 Il caso Pasolini fa ancora paura al sistema-Potere, il quale ha ancora necessità si secretarlo. Di nascondere ancora la verità, annacquando il tutto con lo spauracchio del “Segreto di Stato”. E non importa se debba essere taciuta, la morte di Sergio Citti, uno dei più grandi attori e sceneggiatori italiani, solo perché ha avuto la maldestra idea di dire, seguendo il suo fraterno amico Pier Paolo: “Io so. Io so i nomi dei responsabili”. Bisogna preservare la coscienza della gente, non la si più distogliere dal difficile compito di scegliere tra il “Presidente operaio” o la “Mortadella più amata dagli italiani”. E che importa di Carlo, chi sennefrega di Calipari e lasciamo pure che tutto segua le note del motivetto borgataro “ma che ce frega, ma che ce ‘mporta”...” Per rispetto dell'omertà di Stato. 2 Noam Chomsky, Il bene comune, Edizioni Piemme, 2004. 3 Renzo Paris, articolo tratto da Liberazione 16 ottobre 2005. |
gennaio 2006 (inserto) |