Uccellacci e uccellini, ovvero il “cinema impopolare”
di Mimmo De Ceglie

“La ricerca di nuove forme di comunicazione attraverso la rivoluzione formale di quel ‘linguaggio della realtà' che è il film, sarà uno degli assi portanti della nuova fase del cinema pasoliniano che si apre con Uccellacci e uccellini. In questo caso diventa emblematico che per esprimere la sua crisi il regista scelga un registro interamente metaforico, che si presta a differenti livelli di lettura e che propone simboli al posto delle antiche ‘tipologie umane' del suo cinema ‘popolare'; simboli che, in quanto tali, rifiutano una decifrazione definitiva, una loro ideologizzazione riduttiva”1.

La fase della “denuncia” lascia il posto alla sperimentazione formale. L'avanguardismo schietto, la rivoluzione della forma, critica il sapere razionale borghese ed è l'unico modo per sopravvivergli. L'ideologia del corvo è destinata ad essere liquidata nel divenire del mondo, i riferimenti spaziali sono spostati su cartelli stradali che indicano città che esistono solo “per rimando”, i personaggi rincorrono autobus che sfuggono, aeroplani sovrastano la terra col frastuono del nuovo sviluppo fittizio, gli ambienti e gli spazi rimandano a profondità metafisiche nelle quali ruderi, sospesi in una dimensione favolistica, hanno da poco abbandonato la Storia.

La provocazione, la sovversione, dai contenuti si sposta verso la forma in modi molto sottili: si fa allegoria.

Il corvo, simbolo dell'intellettuale marxista “ideologo”, è mangiato dai due Innocenti: è questa, forse, l'allegoria della “fagocitosi” che la società borghese, attraverso il “benessere” e il “consumo”, fa dei propri antagonismi? E' il 1966, siamo dinanzi al “miracolo economico” italiano: è forse finita l'era dell' “impegno diretto”? Siamo davanti ad una crisi del marxismo, rappresentata dal funerale di Togliatti, senza possibilità di ritorno?

Il funerale di Togliatti è l' “icona”, se non della morte, di un mutamento.

Uccellacci e uccellini, così, non ci lascia l'eredità di un pensiero, di una coscienza ideologica, ma di un'immagine, di un'allegoria: l'allegoria del movimento, del farsi stesso del pensiero e della coscienza. E anche se Pasolini dichiara che il suo film è ideologico, o meglio “ideo-comico”, il corvo mangiato rappresenta il “superamento” della stessa ideologia, della falsa coscienza marxista e borghese, verso il “nuovo” simboleggiato dalla strada che non si sa dove condurrà i due Innocenti e la stessa umanità.

La strada è percorsa e di continuo abbandonata, prima per soddisfare le necessità naturali e fisiologiche (nel caso della prostituta Luna, come del nascondiglio per espletare i bisogni corporali), poi per necessità legate alla “seconda natura” e al “valore di scambio” degli oggetti (nel caso della riscossione e del pagamento dei presunti debiti e crediti) e, da ultimo, abbandonata per visualizzare l'episodio centrale della vicenda, quello narrato dal corvo.

Proprio in quest'episodio, non a caso, è rappresentato l'oggetto stesso della ricerca volta a codificare un tipo di linguaggio, arduo da isolare, che si colloca al di là di quello umano e vocale per “tendere” ad essere quello degli uccelli: essi sono gli unici depositari di un'originarietà archetipica e primitiva e sostituiscono, nel film, la classe sottoproletaria storicamente estinta.

Frate Ciccillo, per volontà di S. Francesco, si pone assorto ad ascoltare “le voci lontane […], ad afferrarne le modulazioni misteriose e remote”2.

Il tema dell'episodio è quello della “ricerca”. E questa è tormentata e non priva di delusioni: alla fine, al di là del linguaggio che frate Ciccillo riesce a codificare, resterà pur sempre lo spettro della morte.

C'è sempre qualcosa di non completamente afferrabile, qualcosa che eccede il Logos: e il falco, educato alla verità di Dio, creatura di Dio, si avventa sul passero, anch'esso messo a conoscenza da Frate Ciccillo dell'esistenza di Dio: e il falco divora il passero.

Forse la verità originaria è proprio nel silenzio imperturbabile dell'aquila del primo episodio - l'Aigle del soggetto poi divenuto L'uomo bianco e infine Totò al circo - proprio quello che, per esigenze legate alla necessità di ben strutturare la pièce, sarà espunto.

Monsieur Cournot, uomo di cultura e intelletto, davanti al silenzio dell'aquila, esclama:

“Il tuo silenzio è inammissibile! Il tuo rapporto con me è scandaloso! Il rapporto tra un uomo civilizzato e un essere preistorico deve essere di dare e avere! Io ti do tutto! La cultura, la civiltà, il benessere, tu dammi almeno la tua presenza! Mettiti in un rapporto dialettico con me!”3.

Oppure: “…accetta il nostro mondo anche per rifiutarlo! Dì una parola! Parla!”4.

E la contrapposizione tra mondo borghese e sottoproletariato, ormai appianata ed estinta, diviene, nella nuova fase del cinema pasoliniano, quella tra mondo civilizzato e Terzo Mondo (come mondo non contaminato dall'industrialismo e dal sapere razionale borghese), tra “Ideologia” e “Passione”, tra langue e parole, tra e altro da sé, tra astrazioni dei sistemi e della Verità universale, e verità particolari delle singole, concrete fisiologie, dei singoli corpi.

Nei paesi occidentali, come a Roma, ormai, i “borgatari” cominciano a partecipare, a prender parte al lauto banchetto imbandito a seguito dello sviluppo industriale, del “miracolo economico”, anche se del banchetto ad essi non è assegnata che qualche esile briciola. In Uccellacci e uccellini il “borgataro” della precedente produzione pasoliniana è sostituito da un Innocenti Ninetto vestito con degli abiti da studentello americano ormai omologato ed alter-ego poco conflittuale del padre Innocenti Marcello, detto anche Totò. Il “sotto-proletariato” è divenuto “proletariato”, ha cominciato ad assumere una coscienza formale, razionale e consumistica imposta dal contatto con la classe borghese e dalla contrapposizione dialettica che ne deriva. Il “borgataro” entra nella Storia, perde la sua “sacralità senza tempo”, non è più, come Accattone, l'eroe di un'umanità che vuole vivere interamente e a tutti i costi l'esistenza, anche al prezzo della vita.

L'antagonista nuovo è il Terzo Mondo. O, per lo meno, l'antagonista, l'“incontaminato”, da ora in poi, non è più “dato” (identificato nella realtà del sottoproletariato) ma deve essere “ricercato” e “prodotto”.

In questa ricerca è anche il senso del suo nuovo “cinema d'élite”.

Ed élite non nel significato tradizionale. Non è all'élite intellettuale che Pasolini si rivolge: essa non è più “data”, ma va “ricercata”, “prodotta”, “disomologando” la massa, spezzando la sua uniformità culturale e provando la relatività del pensiero borghese, della sua pretesa oggettività, razionalità, universalità. La nuova élite nasce dalle ceneri del razionalismo borghese, recuperando ogni diversità, ogni scarto, ogni possibilità di dialogo, di discussione e costruzione che parta dall'assunto che non vi è alcun “sistema conchiuso” di regole nella vita, come nella società, come nell'arte.

Pasolini cerca nel confronto - testimoniato anche dalla pubblicazione su Vie Nuove dei tre soggetti di cui il film è costituito al fine di instaurare un dialogo aperto con i lettori - la possibilità di svelare l'altro da sé, come di isolare in ogni struttura quegli elementi residui, irrazionali, dinamici e a-sistematici che ci pongano nella condizione di “voler essere altra struttura”5, di desiderare un altro sistema sociale, senza un inizio né una fine dello “sforzo della volontà”, vivendo semplicemente il “mentre della tensione”, il movimento, il processo.


1 S. MURRI, Pier Paolo Pasolini, Milano, 1995, p. 67, miei i corsivi.

2 P. P. PASOLINI, Uccellacci e uccellini, in Tutte le opere: Per il cinema, Milano, 2001, p. 720.

3 P. P. PASOLINI, L'uomo bianco, in Tutte le opere: Per il cinema, op. cit., p. 700.

4 Ivi,  703.

5 P. P. PASOLINI, La sceneggiatura come «struttura che vuol essere altra struttura», in Empirismo Eretico, Milano, 1972, pp. 192-202.

gennaio 2006 (inserto)