Psichiatria Democratica in Europa
di Mariella Genchi

Dal 10 al 12 novembre si è svolto a Torino il convegno “Per un'Europa senza manicomi” organizzato da Psichiatria Democratica che, in queste tre giornate, ha aperto all'Europa un dibattito sulla “questione politica” della salute mentale, punto fondamentale del movimento antiistituzionale italiano.

Il convegno si è svolto in un momento di particolare attenzione dell'Unione Europea rispetto alla salute mentale. Nell'ottobre scorso, la Commissione delle Comunità Europee ha redatto un Libro Verde per avviare una vasta consultazione che porterà, alla fine del 2006, all'elaborazione di una strategia europea in materia di salute mentale. Il Libro Verde pone, come priorità di questa strategia, la deistituzionalizzazione dei servizi psichiatrici e la creazione di servizi di salute mentale nella comunità, assumendo le raccomandazioni del Rapporto sulla Salute nel Mondo 2001 dell'OMS.

Sicuramente l'Italia, unico Paese al mondo ad aver abolito il manicomio e il concetto di pericolosità del malato mentale, ha avuto un ruolo fondamentale nell'assunzione delle priorità poste dall'Europa. Per questo, la nostra storia trentennale ci impone di affrontare e di avviare un confronto con le istituzioni europee per denunciare, non solo il persistere degli ospedali psichiatrici in Europa, ma  anche le pratiche di contenzione, i nuovi luoghi di internamento e i dispositivi di esclusione che vengono riproposti a fasce sempre più ampie di popolazione considerate a rischio.

Questo è stato il proposito del convegno di Torino a cui hanno partecipato operatori provenienti da molte realtà europee (Francia, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia), rappresentanti di utenti e familiari, parlamentari europei, amministratori, sindacalisti e intellettuali. 

Nel confronto tra le diverse realtà è scaturito un dibattito che ha evidenziato in maniera forte ed esplicita il nesso tra le politiche neoliberiste e le condizioni di povertà e precarietà in cui vivono milioni di persone  a cui viene negato l'accesso ai diritti fondamentali. Su queste politiche si erge il paradigma della sicurezza sociale, nel cui nome si perpetuano e si ripropongono forme di esclusione come gli ospedali psichiatrici, gli ospedali psichiatrici giudiziari, i CPT, solo per citare i luoghi più espliciti dell'internamento. Come ha sottolineato don Luigi Ciotti, nel suo appassionato intervento, “in nome della sicurezza, si stanno creando chiusura e odio… Si sta negando il diritto alla rabbia, che è un estremo gesto d'amore per il mondo”.

La necessità di essere attenti a ogni forma di occultamento dei conflitti sociali dietro nuovi paradigmi scientifici funzionali al controllo sociale, è stata la preoccupazione principale dell'assise di Torino. Infatti anche il Libro Verde, se da una parte sostiene una visione progettuale dell'UE come spazio di libertà e di giustizia, dall'altra ribadisce la necessità di sicurezza e di protezione da ciò che minaccia un benessere inteso in termini di produttività e di funzionamento delle persone.

È emerso chiaramente che il controllo del rischio continua a essere decisivo nelle scelte delle politiche sanitarie e sociali delle diverse realtà europee. Nel convegno sono state denunciate le situazioni più diverse: laddove i manicomi sono scarsamente presenti, come in Inghilterra, esistono però altre forme di istituzionalizzazione, come i centri di crisi, dove i pazienti non hanno contatti e relazioni con l'esterno; in altre realtà, come la Bosnia, i manicomi sono stati creati negli ultimi anni, a seguito di una vera e propria forma di deportazione di persone dalla Germania.

Allo stesso tempo, in molte di queste realtà, soprattutto anglosassoni, troviamo una forte presenza di organizzazioni di pazienti psichiatrici, che testimoniano una grande capacità di protagonismo e che rappresentano una sfida per il potere del tecnico, costretto a confrontarsi con tali organizzazioni, costruendo alleanze, sperimentando forme di partenariato. 

Grande rilievo ha assunto nel convegno di Torino la denuncia della condizione di reclusione dei migranti nei Centri di  Permanenza Temporanea. Livio Pepino di Magistratura Democratica, oltre a ricordare che la logica è sempre stata quella per cui “quando diminuiscono le carceri aumentano i manicomi e viceversa”, ha riportato i dati della reclusione di quest'anno in Italia – 60.000 detenuti in carcere, in buona parte immigrati, 25.000 migranti passati nei CPT – che mostrano chiaramente la volontà di rinchiudere “le categorie pericolose”, ossia chiunque sia fuori da una norma prestabilita di sicurezza sociale. I dati dimostrano che oggi si tratta soprattutto degli immigrati. Si sta creando, ha concluso Pepino, “un diritto penale del “nemico” per rimuovere le persone eccedenti”, ma che in realtà sono portatrici di un bisogno radicale di democrazia, di partecipazione sociale, di costruzione di nuovi diritti. Alle parole di don Ciotti, che invitava ad accogliere il diritto alla rabbia, hanno fatto eco quelle di Livio Pepino: “Bisogna dare un posto al disordine, cercando di valorizzarlo e non di opprimerlo con risposte repressive”.

Nel documento finale, Psichiatria Democratica ha assunto le istanze emerse nel convegno di Torino, impegnandosi a promuovere una legislazione europea mirante al definitivo superamento degli ospedali psichiatrici, e a istituire un “Osservatorio Permanente sulla salute mentale in Europa”, per monitorare i bisogni delle popolazioni attraverso forme dirette di partecipazione. Nel convegno si è deciso anche di dar vita alla costituzione di un gruppo europeo, denominato “Psichiatria Democratica Europea”, a cui hanno aderito i rappresentanti dei diversi Paesi.

Sicuramente, il Convegno di Psichiatria Democratica ha rilanciato a livello europeo un confronto sulla psichiatria e sulle politiche di salute mentale. L'auspicio è che si apra un dibattito più ampio sui dispositivi di controllo delle popolazioni e sulle politiche neoliberali: le analisi lungimiranti di Michel Foucault e di Robert Castel sui dispositivi di sicurezza, sulla biopolitica, sulla gestione dei rischi, che si sono storicamente intrecciate con l'esperienza trasformatrice di Franco Basaglia, ci offrono la speranza concreta nella capacità della critica e dell'impegno pratico e politico di incidere sul nostro presente.

gennaio 2006