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Una finta transizione, o meglio una transizione senza transizione La situazione politica del Messico è a dir poco incandescente e rischia seriamente di deflagrare in concomitanza delle elezioni presidenziali del luglio 2006. Il Paese è una polveriera, politicamente e socialmente. La scena politica del Messico, uno dei Paesi più grandi, popolosi e ricchi del continente desaparecido é stata, per tutto o quasi il ‘900, dominata dal Partido Revolucionario Institucional, il Pri, che ha imposto la propria “dittatura democratica” tra il 1929 e il 2000. Il Pri, partito ultraconservatore, ha avuto vita facile in un Paese dilaniato da innumerevoli contraddizioni sia nella distribuzione delle ricchezze, secondo in ambito continentale solo al Brasile, sia dal dominio incontrastato dell'oligarchia possidente, che ha utilizzato per rimanere al potere il determinante supporto delle amministrazioni statunitensi, repubblicane e democratiche, le quali in cambio hanno chiesto “solo” che il Messico assumesse lo status di vassallo nella costruzione dell'“Impero del male” e nell'imposizione dei dettami neoliberisti. Questo sistema che, come si è detto, covava in sé profondissime contraddizioni, abilmente edulcorate dai “maestri pasticcieri statunitensi”, ha mostrato le prime crepe già nel corso degli anni Ottanta ed è definitivamente deflagrato nel 1994: “Nel corso degli anni Ottanta, i salari precipitarono (di quanto dipende da come vengono misurati, ma furono all'incirca ridotti della metà, e prima non erano alti). La fame crebbe, ma anche il numero dei miliardari. Le cose infine crollarono completamente nel dicembre 1994 e il Messico sprofondò nella peggiore recessione della sua storia”.1 Nel luglio del 2000 la situazione pare cambiare con la fine del regime monopartitico del Pri, conseguente all'elezione dell'esponente del Partido de Acción Popular, il Pan, l'ultraconservatore Vincente Fox. Il neoeletto presidente e il suo partito in tale circostanza riescono sagacemente ad approfittare della profonda voglia di cambiamento, di libertà e di una più equa giustizia distributiva delle ricchezze del popolo messicano, e in particolare degli indigeni, producendo in campagna elettorale enormi aspettative: “L'ascesa del suo nome, trasformato in una marca di consumo dall'ingegnosità dei pubblicitari, ha attirato l'attenzione di un popolo che si sentiva profondamente frustrato dalle politiche disumane del neoliberalismo. [...] Rivitalizzare l'economia, avviare una più giusta distribuzione della ricchezza, consolidare e ampliare le conquiste democratiche, modernizzare il sistema politico e rispondere alle domande dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale “in 15 minuti”, sono state le esche pubblicitarie a cui la maggioranza dell'elettorato ha abboccato allegramente nel luglio del 2000”.2 Fox, subito dopo l'elezione, svela le vere carte, la propria predilezione per il sistema capitalista e l'asservimento alle multinazionali statunitensi e ai poteri forti della Chiesa. Del resto tutti conoscevano la sua estrazione sociale e la sua precedente occupazione di presidente nazionale di The Coca Cola Company. “Dal punto di vista economico, Fox ha continuato la strategia dei due governi precedenti. Fox, proprio come i suoi predecessori del Pri, ha realizzato una politica economica rigidamente neoliberale, servile fino alla noia, o meglio all'ignominia, di fronte alle direttive del Fondo Monetario Internazionale”.3 Fox segna sin dall'inizio della legislatura la propria “fine politica”: affida l'intera economia ai tecnocrati che a partire dal 1982 hanno applicato pedissequamente le “ricette” del Fondo Monetario Internazionale; tradisce le aspettative delle popolazioni indigene, rappresentate in Chiapas dal subcomandante Marcos, non opponendosi ad una riforma legislativa radicalmente opposta alle richieste zapatiste: “Dopo la rivolta zapatista vi è un consenso unanime sulla necessità di integrare i popoli indigeni in maniera più ampia e di prendere meglio in considerazione i loro interessi. La vittoria del presidente Fox ha fatto sperare che il processo fosse ripreso. Tuttavia, nell'aprile 2001, il Congresso ha approvato una legge sui popoli indigeni molto più restrittiva”4; acuisce i già “gravi conflitti sociali in aree strategiche: la crisi della campagna, devastata dal Nafta, che ha prodotto l'emigrazione di mezzo milione di contadini all'anno verso gli Stati Uniti, o il saccheggio dell'impresa Petróleos mexicanos (Pemex)”.5 A questo va ad aggiungersi l'inettitudine a governare, l'incapacità di mediazione, precipitata nell'inerzia di un Parlamento, in cui non c'è una maggioranza, la sfrenata bramosia di potere di sua moglie, Marta Sahagún, e la strepitosa ascesa della popolarità del capo del Distrito federal, Andrés Manuel López Obrador. Obrador, el hombre nuevo del centro-sinistra messicano, spaventa non solo Fox e il suo partito, ma l'intera destra, i poteri forti della Chiesa, il mai morto Pri. Queste componenti conservatrici tentano un disperato attacco alla popolarità di Amlo, così viene affettuosamente chiamato dalle iniziali dei suoi nomi Obrador, accusandolo di illeciti amministrativi a dir poco ridicoli, – è stato additato al pubblico disprezzo per aver ignorato il divieto di costruire su un terreno privato una strada d'accesso a un ospedale. Un'iniziativa illegale della destra che ha ottenuto il cosiddetto “effetto boomerang”: hanno tentato di metterlo fuori gioco col processo del desafuero, ma la gente si è mobilitata e ha fermato l'illegalità. L'accordo tra il Pan e il Pri per destituire il sindaco di Città del Messico, Andrés Manuel López Obrador, dirigente del Partito della Rivoluzione Democratica (Prd), ha significato per molti messicani il ritorno all'uso partigiano delle leggi in una battaglia elettorale. Non l'hanno accettato. Un milione di messicani, sceso in strada il 24 aprile, ha rimesso in sella il personaggio minacciato d'incarcerazione, e per questo motivo eliminato dalle prossime elezioni presidenziali del 2006, che era dato per favorito dai sondaggi, “vicenda politica ha fatto smuovere anche il Sub Comandante Insurgente Marcos, notoriamente silenzioso sui temi politici nazionali «Si tratta di un colpo di stato preventivo», ha fatto sapere dalle montagne del sud est messicano”.6 Gli altri due candidati, entrambi espressione della destra, non sembrano entusiasmare particolarmente gli elettori. Calderon ha vinto le elezioni interne al Pan sorprendendo tutte le previsioni che assegnavano la vittoria all'attuale Ministro degli Interni Santiago Creel, e rappresenterà, in caso di vittoria, la continuità della linee politiche liberiste di Fox, uno degli ultimi presidenti totalmente filoamericani rimasti nel continente latinoamericano. Se invece dovesse vincere Madrazo, candidato del PRI, distaccato per ora di otto punti rispetto ad Amlo negli ultimi sondaggi, le prospettive per i messicani sarebbero ancora peggiori. Governatore negli anni ‘90 del Tabasco, Madrazo rappresenta la peggiore continuità con il sistema clientelare e corrotto di cui il Pri si è fatto portatore nei 70 anni di potere che hanno dato luogo quasi ad una sorta di semidittatura.
“Per il bene comune, i poveri prima di tutto” È il motto che sta alla base delle strategie politiche e amministrative di Amlo. Obrador ha assunto l'incarico di sindaco di Città del Messico contemporaneamente al mandato ricevuto da Fox come presidente della nazione. Quasi a sottolineare la sua diametrale diversità culturale e politica da Fox, nonché di ceto, è nato in una famiglia di umili origini, il “pesce lucertola”, così lo chiamano gli abitanti della capitale, compie scelte politiche e amministrative completamente opposte. Mentre le politiche fiscali di Fox rendono ancora più drammatica la già precaria situazione di milioni di messicani, Obrador “regala” una pensione integrativa mensile di 60 dollari a tutti i residenti nella capitale con più di settant'anni. E ancora, quando, qualche mese dopo, il governo centrale aumenta in modo sproporzionato il prezzo del latte messicano, Almo decide di regalare alla gente l'ammontare della differenza prodotta da questo aumento. Importanti azioni vengono intraprese per migliorare l'efficienza infrastrutturale e più in generale la qualità della vita del Monstruo, l'inferno metropolitano di Città del Messico: viene costruita un'università pubblica, un ospedale super specializzato ed altre opere architettoniche che nessuno aveva pensato né tanto meno realizzato negli ultimi trent'anni. In campo sociale l'amministrazione Obrador realizza programmi di alimentazione per i bambini delle scuole pubbliche, stabilisce un'assicurazione per le ragazze madri. Viene varata una colossale riforma urbana grazie alla quale circa 150.000 famiglie povere ottengono una casa e viene posto un freno alla selvaggia urbanizzazione delle zone ecologicamente protette. A coronamento di tutte queste iniziative Città del Messico negli ultimi cinque anni è diventata la regione del Messico più affidabile per gli investimenti stranieri. La condotta di Obrador è stata definita “populista alla venezuelana” dagli avversari della destra, del partito “dinosauro” del Pri e del Pan. Per rispondere a questi incessanti attacchi Obrador ha chiarito quale sarà il suo programma in caso fosse chiamato dal popolo messicano a governare: “Il cambiamento che propongo non equivale a un ritorno allo statalismo. Chiedo solo di stare a vedere cosa accade se il Messico prova a muoversi in modo indipendente. Prendendo per suo conto le decisioni che ritiene convenienti”.7 Obrador ha dato l'impressione di un uomo che si batte contro i “potenti”. Ha acquisito un notevole prestigio presso la popolazione svantaggiata, naturalmente, ma anche presso la classe media. Lui, che non disporrà delle risorse del Pri e del Pan nel 2006, “finanzia” già la campagna elettorale con il prestigio derivante dalle sue “avversità”.
L'“altra campagna” del Subcomandante Marcos L'“allarme rosso” da parte degli zapatisti è stato proclamato nel giugno di quest'anno e per molti dei movimenti antisistemici è arrivato all'improvviso. I vertici del movimento zapatista hanno così invitato tutte le comunità ad un incontro nella foresta per una grande “consultazione”. La ragione di questa iniziativa sta nel fatto che si è ritenuto di dover far qualcosa in più per far sì che lo stato messicano ottemperasse alle promesse fatte negli accordi di tregua: “Si sono dichiarati pronti a “rischiare il poco che hanno conquistato” per tentare qualcosa di nuovo. Gli zapatisti hanno dichiarato di aver concluso la prima fase della loro lotta e che era tempo di muoversi verso la seconda fase, una fase che sarebbe stata politica e non militare”.8 La Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona mette chiaramente in risalto come all'interno del movimento zapatista si sta delineando una linea politica che prevede una decisa adesione a tutti i gruppi di persone oppresse, e di sinistra, che stanno lottando non solo in Messico, ma su scala planetaria, contro la violazione dei propri diritti. La necessità di “dover far di più” sentita dagli zapatisti è certamente sintomo di un sentimento diffuso un po' ovunque nel continente sudamericano. Anche, e forse soprattutto, laddove si sono instaurati governi di centro-sinistra. Questo è facilmente dimostrabile ad esempio in Brasile o in Argentina, dove i movimenti civili che avevano inizialmente appoggiato il governo, in cui avevano riposto la più ampia fiducia, ora chiedono di più. Molti di questi governi sono scesi a fin troppi compromessi con la Banca Mondiale e il Fmi. Con la Sesta Dichiarazione il movimento zapatista ha decretato una nuova fase da cui scaturirà un nuovo programma nazionale di lotta, grazie alla partecipazione attiva del popolo messicano, che sarà attentamente “ascoltato e con cui si parlerà direttamente, senza intermediari né mediazioni”. Né tantomeno grazie all'aiuto di un partito politico, sia pur di sinistra. Quello che si propone l'Eznl è di dar vita ad un nuovo modo di fare politica, un modo nuovo di creare una vasta alleanza tra i settori sociali, politici e culturali, scrivere man mano un programma e addirittura una “nuova Costituzione”. La sfida e insieme la necessità è quella di testare una forma altra di vivere e di fare politica, che non è quella elettorale, dettata dal sistema partitico, ma è quella desiderata dalla gente: “la resistenza ai trattati internazionali di commercio, per difendere le lingue e le culture, a non perdere la sovranità sulle risorse naturali; tutto questo sembra banale ma è rivoluzionario. Tutto questo non lo offre Obrador né nessun altro candidato, ci deve essere un movimento nazionale che lo tenga vivo, di modo che chiunque arrivi al governo, indipendentemente da quale sarà il risultato elettorale, si trovi a governare con questo movimento di fronte, con qualcuno che difenda questi valori”.9 Oltre a questa volontà di dare corso ad un nuovo modo di far la politica, il perché dell'“allarme rosso” e della Sesta Dichiarazione va ricercato anche nelle pressioni che lo zapatismo sta subendo sia dal governo centrale che dagli Usa: “Lo zapatismo è arrivato ad un limite, ad un'ora di definizioni: li incalza l'esercito messicano - in Chiapas è presente la metà di tutti gli effettivi militari del paese - i paramilitari, il saccheggio di risorse e la nuova idea di frontiere flessibili che gli USA vogliono introdurre nel sud messicano”.10 Insieme all'allerta rossa, l'Eznl si è lanciato in un attacco alla classe politica, compreso al sindaco del Distrito final, Andrés Manuel López Obrador, del Prd e favorito alle presidenziali del 2006. Essi addirittura definiscono Amlo, “l'uovo del serpente” [così nel comunicato di Marcos che precedette l'“allarme rosso”].
Marcos e Obrador facce della stessa medaglia? “Continuate con le vostre interviste, dichiarazioni, colonne, articoli, pettegolezzi, conciliaboli, cartoni umoristici e caricature. Noi continueremo a parlare e, soprattutto, ad ascoltare altri come noi, altri che, come noi, voi, quelli della classe politica, avete disprezzato, umiliato e represso”. Queste sono le accuse che l'Eznl e il subcomandante Marcos fanno agli uomini politici, sia di destra che di sinistra. Il Prd e Obrador sono accusati di portare avanti una politica che mal cela le propensioni neoliberiste e capitaliste, che in questo poco o niente si differenziano dalla destra. “Esiste una differenza tra una sinistra incoerente ed una destra coerente. Entrambe fanno la stessa cosa, ma una dice di non farlo”.11 Marcos ha posto in campo un'offensiva contro il principale aspirante alla candidatura alla presidenza della Repubblica della sinistra messicana, che ha generato sconcerto e interpretazioni contrastanti tra gli intellettuali di sinistra del Paese. Per alcuni, l'atteggiamento di Marcos è considerato uno “sproposito”. Questo segmento dell'intellighenzia sostiene che sarebbe conveniente per l'Eznl e Marcos “che sia López Obrador al potere, perché ha detto che la prima cosa che farà sarà applicare gli accordi di Sant'Andrés”. Gli accordi, firmati nel 1996 tra la guerriglia ed il governo. Sostengono che il proposito del leader zapatista sia quello di squalificare López Obrador con l'autorità che gli dà essere un personaggio con “molto seguito tra i giovani e su scala internazionale”. In definitiva definiscono questa situazione come l'eterna storia della divisione della sinistra. In Messico, la sinistra riformista non ha ottenuto un risultato pari a quello degli anni passati. La fine del regime priista ha premiato la destra tecnocratica e comunicativa, mentre la sinistra, che pure con Cardenas governa la capitale, resta ancora divisa al suo interno ed in eterna ricerca di una mediazione identitaria tra antagonismo e co-governo, si trova a dover ora fare i conti con una dimensione che le impedisce un ruolo di governo ma non le consente un ruolo decisivo nell'opposizione. La novità rappresentata dall'ingresso sulla scena del movimento zapatista non ha prodotto uno spostamento a sinistra dell'elettorato messicano. Pur configurandosi come un dato politico nuovo e interessante sotto il profilo delle problematiche che solleva e del rispetto delle identità indigene che rivendica, l'Ezln ha mancato diverse volte l'appuntamento con l'unità possibile della sinistra messicana che avrebbe potuto costituire, a livello locale come nazionale, la spallata decisiva da sinistra al regime priista. Il rifiuto della politica quale terreno della mediazione tra le rivendicazioni e il quadro politico generale, consegna al Chiapas una grande esposizione mediatica che riduce gli spazi di manovra per i settori più reazionari del latifondo messicano, ma non muta sostanzialmente la condizione disperante degli indios, che, zapatisti o no, continuano ad essere massacrati e sfruttati. D'altra parte, pur chiamandosi esercito zapatista, hanno saggiamente evitato l'imbuto del confronto militare, che avrebbe chiuso con l'ennesima repressione, l'ennesima rivolta. Il nodo come sempre è la politica. Quando si ritiene che dottrine economiche, interessi sociali e culture siano uguali contro ogni evidenza e, anzi, si rivendica la neutra distanza tra regime e opposizione di centrosinistra, significa che si vuole scegliere di privarsi di alleanze e sostegno interno, contando solo sulla solidarietà internazionale. Una solidarietà fatta da giovani cui va riconosciuto l'impegno lodevole e il coraggio della sfida aperta, ma ai quali certo non è possibile chiedere di decidere un altro destino per il Messico. 1 N. CHOMSKY, Il bene comune, Edizioni Piemme, Casale Monferrato 2004, p. 106. 3 L. CAPUZZI, La promessa tradita: Paco Ignacio Taibo II racconta la politica messicana, 11 marzo 2005. 4 UE, Documento di strategia nazionale 2002-2006, p. 7. 5 IBIDEM. 6 A. GRANDI, Abuso di potere, in “La Jornada”, Messico, 30 aprile 2005. 7 A. NOCIONI, Messico, la piazza sta con Obrador, in “Liberazione”, 26 aprile 2005. 8 I. WALLERSTEIN, Il nuovo tempo dello zapatismo, in “Carta”, settembre 2005. 9 F. MINERVA, Hermann Bellinghausen, l'inviato nella ribellione, in “Carta”, settembre 2005. 10 N. RESTIVO, Marcos e la politica messicana, come cambia lo zapatismo, intervista ad Ana Esther Ceceña, El Mundo del 25/06/2005. 11 H. BELLINGHAUSEN / E. HENRIQUEZ, L'EZLN sfida il PRD e Obrador, in “La Jornada”, 15 agosto 2005. |
gennaio 2006 |