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Se non fosse mai esistita l'immaginazione, forse non sarebbero noti gli effetti dello stato di infelicità che talvolta potrebbero derivarne. Forse non sarebbero esistiti il peccato originale, i romanzi e le commedie. Non sarebbero esistiti gli impressionisti e Kaith Haring; i notturni di Chopin, l'opera lirica e le canzoni dei Beatles. I navigatori solitari e la via della seta. Non sarebbero nemmeno esistiti la moda e l'architettura, ma con ogni probabilità non sarebbe esistito quel senso di scontentezza, di incerto malessere che non tiene desti né il cuore e né il corpo talvolta e che si accompagna generalmente all'insoddisfazione e alla tendenza alla malinconia. Fino a cosa non si sa. Da che punto però potesse nascere la relazione tra immaginazione e malinconia, era il contenuto delle strambe riflessioni che Tommaso faceva percorrendo a piedi il giardino comunale che arriva fino al porto. Chissà, pensava Tommaso, che non dipendesse dalla smoderatezza moderna di immaginare in tutti i modi di riuscire a scavalcare il posto degli astri e degli angeli con l'ostinazione di svelare l'esistenza della vastità dell'universo, della scienza e delle malattie. E se invece, continuava a chiedersi Tommaso, dopo aver immaginato di alzarsi dalla terra il tragitto si interrompe a metà oppure addirittura non si riesce a spiccare il volo, che cosa accade? Sorge quel senso di inettitudine che diviene infelicità o tristezza, o cos'altro? Con un certo accanimento, avvinto da questi pensieri che gli sembravano del tutto astratti e in fondo inattuali, sparpagliava sulla strada, calciandole nell'aria, le foglie che erano cadute dagli alberi dei viali e che nel frattempo avevano perso definitivamente il verde per diventare gialle, rosse, marroni, grigie, nere. La stagione autunnale le aveva rese rigide come carta; sulla superficie raggrinzita apparivano vistose lacerazioni simili a ferite profonde e insanabili che le avrebbero designate alla morte, eppure in quel momento di incomprensibile sofferenza, Tommaso provò un tremore, un'ebbrezza violenta accorgendosi che le ombre della notte diventavano sempre più sottili e tendevano a sfoltirsi come lanugine nel cielo mentre il resto della volta celeste si riempiva di colori e sfumature che soltanto quella stagione è capace di fare. La luce attribuiva la consueta immagine a tutti gli esseri e gli oggetti della realtà e ovunque voci, mormorii, stridori, cinguettii, latrati echeggiavano nelle strade ancora deserte. A un passo dal mare, con le scarpe bagnate di acqua salmastra che qui e là si radunava nelle pozzanghere melmose e maleodoranti sparse sulla banchina, Tommaso avvertì al cuore un battito irregolare, più accelerato, come se qualcosa l'avesse scosso. In realtà era lo stato di contrasto tra i suoi pensieri e l'avvio di quel mattino, dove tra il cielo e il mare, lentamente, dalle ombre nerastre delle nuvole cominciavano ad svelarsi i colori del primo mattino, i più vividi e appariscenti, dal rosso, che pareva sgorgare da un taglio insanguinato, all'azzurro, al violaceo che tendeva alle sfumature più trasparenti del pervinca e infine del ceruleo. Quel chiarore, che ebbe l'effetto di gettare scompiglio tra i pensieri e le sensazioni di Tommaso, riportava la giornata allo stesso punto del giorno prima. Una folata di vento imprevista, come il colpo di una mano, fece volare nell'aria il cappello che Tommaso si era calzato in testa uscendo di casa. Il vento lo spingeva lontano, trascinandolo nella sporcizia. Tommaso rimase fermo, impassibile; vedeva allontanarsi da sé un oggetto che gli apparteneva e del quale non avrebbe avuto nessun motivo di disfarsi, ma senza spiegarsene la ragione, restava immobile dov'era, indifferente, proprio come era accaduto il giorno prima con la moglie. Era uscito la sera per riportare l'automobile nel garage. – Portati le chiavi di casa – gli aveva detto la moglie – Non voglio alzarmi per venirti ad aprire la porta – ed aveva continuato a rimanere distesa sul divano davanti al televisore. La strada era battuta da soffi d'aria calda e umida di scirocco. Tommaso entrò nell'automobile, si sedette sprofondando sul sedile di tessuto grigio e rimase lì con lo sguardo fisso davanti al parabrezza annebbiato senza accendere il motore. Immaginò di prendere le chiavi dell'automobile e quelle dell'appartamento e di lasciarle cadere nel deposito dei rifiuti che sostava accanto alla sua automobile. Era ben consapevole che la stanchezza che si sentiva addosso era la conseguenza di un inganno dei sensi, poiché gli era ben noto che non era il desiderio di un allontanamento né tanto meno di una fuga, non era voglia di libertà, visto che non faceva molto affidamento sul significato pratico di queste parole; era invece l'effetto di impressioni e suggestioni prive di coerenza che si muovevano come lampi nella sua mente e abbagliavano con brevi sequenze immagini che derivavano ancora una volta da ricordi frammentari: una carezza frenetica sotto un maglione o abbracci fugaci con donne incontrate un istante prima al bancone di un bar o incrociando gli ombrelli sotto la pioggia. Non erano locali o strade di questa città, forse era a New York o a Londra, una stanza con le pareti sbiadite e il vetro di una finestra rotto al primo piano di un negozio di ceramiche a Praga. E se non erano donne, era una tazza di tè al limone o un bicchiere di birra, o la fragranza di mele cotte al forno con la cannella, o il profumo di resine di tamerici, e se non era un profumo era un divano con i cuscini sgualciti su cui erano visibili ancora le impronte di un breve abbandono, oppure la custodia di un violoncello appoggiato allo schienale di una sedia insieme ad una cartella dove era stata applicata una targhetta con la scritta Edizioni Musicali Schirmer, Salzburg, 1987, e se non era una custodia era il sorriso di Chagall chino sul cavalletto a dipingere angeli volanti oppure era la tomba di Josif Brodskij a Venezia ricoperta di edera e di matite e fogli di quaderno per scrivere di notte. E se non era un tomba era un viaggio per mare, o perdersi nella foschia con le mani tremanti o perdersi per colpa di tutti questi ricordi. In quel momento Tommaso provò una sensazione di vuoto che lo rese consapevole di non essere capace di allontanarsi da quella casa e dalle persone che vi abitavano. Non riusciva ad immaginare che cosa avrebbe potuto fare adesso o dove andare. L'immaginazione nel caso di Tommaso era un eccesso insostenibile. In fondo era più dolce ricordare. Uscì dall'automobile senza aver acceso il motore. Strinse nel pugno della mano le chiavi, poi le infilò nella tasca dell'impermeabile. Forse era passata un'ora da quando era uscito di casa; eppure quel tempo gli era sembrato una notte intera. Guardò il cielo, si stava facendo mattina, inutilmente ancora una volta. |
gennaio 2006 |