Io lo chiamavo Massimo. Ragione e rivolta.
Una giornata di studi sulla vita e l’opera di Nicola Massimo de Feo

di Mario Centrone

È stata una giornata di passione, una giornata di studio e di lotta, in ricordo di Nicola Massimo de Feo. C'erano quasi tutti, reduci del Sessantotto, quelli del Movimento del '77, quelli della Pantera e quasi per garantire la continuità lui, “il grande Vecchio”, Toni Negri. La giornata era stata organizzata dal Dipartimento di scienze filosofiche dell'Università di Bari in occasione della pubblicazione del volume Ragione e rivolta, in cui compaiono gli scritti a volte inediti di de Feo dagli anni sessanta al 2002, l'anno della sua morte.

La prima relazione è stata di Ottavio Marzocca che, dopo alcuni cenni sulla biografia, ha cominciato a delineare l'evoluzione intellettuale del giovane filosofo di Barletta con la sua adesione alla Fenomenologia di E. Husserl sotto la guida di G. Semerari. Siamo nel '58 e in tutta la cultura italiana si sta operando un'intensa  revisione della egemonia crociana attraverso la cospicua introduzione e lettura di autori come Kierkegaard, Nietzsche, Sartre, Camus, Heidegger. Tutte le opere di questi autori possono essere ricondotte ad un elemento unitario: la collocazione problematica del soggetto nello spazio del mondo e la sua posizione antagonistica nei confronti dell'inerzia dell'essere. Soprattutto nelle opere di Sartre e Heidegger si può rinvenire questo elemento unitario, anche se in Heidegger la fenomenologia si sostanzia della sospensione assoluta dell'esistente senza raccordo con un orizzonte progettuale. In quegli anni de Feo comincia a vedere in Nietzsche la possibilità di superare la dimensione di una razionalità normata, coniugando l'epoché fenomenologica di Husserl con la tensione al superamento presente in Nietzsche, la possibilità di mettere in discussione gli oggetti, l'idealità dell'oggetto, l'inerzia degli oggetti e delle cose, l'inerzia del mondo per aprirsi al progetto di una gaia scienza.

Sono gli anni del miracolo economico e del reclutamento forzato degli operai dal Sud verso il triangolo industriale. Le valigie chiuse con lo spago, le buste con i panini di salame e formaggio nelle carrozze ferroviarie, l'immancabile fiasco di vino, lo sguardo triste di chi parte, la speranza di un lavoro in qualche fabbrica della cintura torinese. In quegli anni il PCI rafforza il suo carattere di massa e comincia a occupare spazi culturali precedentemente gestiti dalla borghesia. Si cominciano a tradurre di nuovo le opere di Marx, di Lùkacs e di Weber. Nicola de Feo vede nell'opera di Weber la storicizzazione del rapporto antagonistico uomo-mondo, mentre del Lùkacs critica l'autonomizzazione della coscienza di classe che comporta una visione totalizzante e astratta della classe operaia. Sempre in quegli anni vengono introdotti autori del blocco sovietico, autori russi, slavi; nel 1969 de Feo scrive un saggio su Cibernetica e dialettica sociale in cui, analizzando il materialismo di G. Klaus, pone il problema della collocazione delle nuove scienze come la cibernetica, la logica matematica, la teoria degli algoritmi e dei sistemi nelle dinamiche di trasformazione della società italiana. In quel saggio de Feo non formula ipotesi conclusive, ma affida al primato della politica e del partito leninista la possibilità del controllo sui nuovi saperi. Il '68 e il '69 furono gli anni della decisiva destabilizzazione della società italiana dagli assetti definiti nel dopoguerra. Furono occupate fabbriche e università, un nuovo soggetto politico comparve sulla scena rappresentato dalla classe operaia non professionale, l'operaio massa, e da settori del movimento studentesco. Cominciava a risultare evidente una certa collocazione cogestiva del Partito comunista e si vedeva nella formazione dei giovani, nella crescita di una loro coscienza critica una reale possibilità di trasformazione politica e sociale.

Alla sinistra del PCI nacquero i gruppi extra-parlamentari, il Manifesto, Avanguardia operaia e Lotta continua. In un primo momento de Feo aderì al Manifesto di Rossanda e Magri, mentre nei corsi universitari cominciava ad introdurre i Quaderni rossi e la lettura dei Grundrisse  di Marx. Ne derivava la centralità dell'analisi della fabbrica fordista e l'individuazione della classe operaia come soggetto della trasformazione. La natura carceraria della società moderna cominciava a svelare il suo aspetto non solo nelle fabbriche (La fabbrica e il cronometro di K. H. Roth), ma anche negli apparati destinati a creare consenso e subordinazione: i corpi di polizia, le carceri, le strutture psichiatriche, la scuola, l'università. Risultava sempre più evidente che la proletarizzazione e la povertà non riguardavano solo la nuova classe operaia, ma anche interi settori della società inserita nel lavoro impiegatizio e terziario come tutti i lavoratori addetti ai servizi o quelli inseriti nella scuola e nelle strutture formative. L'operaio massa si andava configurando come operaio sociale. In questo contesto di eventi bisogna collocare l'inizio degli studi sulla classe operaia tedesca e sui processi di razionalizzazione capitalistica introdotti in Germania nella prima metà del secolo scorso.

Secondo de Feo, Max Weber non era soltanto l'autore de L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, ma il più lucido interprete dei processi di razionalizzazione del capitale nella sua fase di  massima espansione. Questi processi trovavano un poderoso antagonismo nell'“altro movimento operaio”, una classe operaia immigrata di recente, non professionalizzata e quindi non legata alla fabbrica, spesso serbatoio di forza lavoro non qualificata che costituiva l'esercito industriale di riserva da reclutare nei momenti di espansione e licenziare nei momenti di recessione. Una classe operaia che sempre più si presentava come soggetto della trasformazione, per la ricchezza dei bisogni e delle istanze che esprimeva; erano uomini che volevano amare e sognare, volevano vivere, generare, ma erano tenuti nelle baracche come i carcerati. Il luogo teorico in cui questo magma di istanze e bisogni si condensa è l'autonomia del negativo, un luogo non ancora esplorato completamente da de Feo in quegli anni, ma che prelude alle future analisi che il pensiero negativo avrebbe elaborato negli anni Ottanta, dopo gli anni del desiderio, quando l'idea non controllata e non controllabile del rizoma comincia ad apparire nei saggi prodotti nell'ambito della controcultura. Il negativo e il rizoma come liberazione del proletariato dalla condizione di dominio in cui è stato gettato. L'autonomia del negativo e il rizoma spinti fino al limite del demoniaco attraverso la lettura di Dostoievskj, Bataille, Foucault, Baudrillard. Il negativo, la trama rizomatica, il demoniaco come risposte al comando biopolitico. Sempre alla ricerca di un nuova gaia scienza, il dionisiaco.

Dopo la relazione di Ottavio Marzocca, è intervenuto Roberto Nigro, un allievo di de Feo, ora residente a Parigi. Nella relazione dal titolo Un nietzschianesimo senza riserve  intende recuperare l'analisi del potere come forma di mediazione politico sociale della lotta di classe.

Secondo Nigro si tratta di un pensiero dell'immanenza come divenire dell'essere nell'orizzonte dei possibili, pur rischiando una condizione di solitudine e di inattualità rispetto al presente. Solitudine ed inattualità che de Feo ha vissuto sulla propria pelle, tanto da non essere mai accettato dai poteri accademici delle università del nostro paese. Si tratta di una filosofia che sia pure in modo implicito fa riferimento al freudo-marxismo, anche se l'orizzonte teorico prevalente resta l'operaismo italiano degli anni Settanta. In quella fase de Feo si avvicina a Toni Negri, segue per un certo periodo le vicende di Potere operaio, anche se a distanza aderisce ad Autonomia operaia, continua a sostanziare di bisogni inespressi il suo concetto di autonomia del negativo. Il protagonismo delle femministe, degli omosessuali, dei diversi, degli emarginati, dei malati doveva costiture l'oggetto teorico degli anni successivi seguendo le linee delle più importanti filosofie della differenza. Ne derivava una ontologia del molteplice tesa alla ricerca del magma pulsionale dell'uomo post-moderno. Si collocano in questo contesto alcune anticipazioni che Foucault avrebbe avanzato con il suo storicismo politico e l'analisi del biopotere. Il piano investigativo proposto da Foucault si articola nell'opera di de Feo nell'incrocio della inversione di tutti i valori espressa da Nietzsche, della nozione di esistenza prodotta da Heidegger e nel sovvertimento di classe enunciato da Marx. Il dionisiaco si presenta ancora una volta come il non detto, come ciò che sta per arrivare, per l'arrivante, la problematica del nomadismo e dell'erranza che da vent'anni sta occupando il dibattito in tutta la cultura europea. A parere di Nigro non si può parlare di una decisiva lettura del post-strutturalismo francese nell'opera di de Feo; i suoi punti di riferimento restano il comunismo anarchico, certe fabbriche avvolte nelle nebbie della Germania del Nord, quelle bandiere nere su Kreuzberg.

Nella sessione pomeridiana è intervenuto Sandro Mezzadra.Nella sua relazione dal titolo Nicola Massimo de Feo interprete di Max Weber, l'autore metteva in evidenza le anticipazioni fornite dal filosofo barese delle politiche neo-liberiste varate in Germania nel Novecento, la natura di controllo che esercitavano sulla classe operaia vecchia e nuova attraverso l'organizzazione taylorista della produzione.

A Weber de Feo deve il suo accostamento all'operaismo e la conseguente critica del marxismo umanistico. Il saggio L'empirismo logico nella Dottrina della scienza di Max Weber porta la data del 1965; in esso de Feo allontanandosi dalle interpretazioni correnti circa la specificità della sociologia di Weber, l'aver cioè introdotto il criterio di avalutatività all'interno delle scienze sociali, mette in evidenza la consapevolezza dell'intellettuale tedesco della tragica realtà in cui viveva. Weber non è l'ideologo della non valutazione, ma l'intellettuale che avverte i gravi rischi del capitalismo, la negazione dell'umano prodotta dalla sua espansione. L'apertura a Nietzsche rappresenta in quegli anni la riscoperta del valore prometeico della prassi umana che una volta espressa nel ciclo inaugurale dello sviluppo capitalistico è destinata a scomparire per le contraddizioni che induce. Da questo punto di vista, dall'altezza dello slancio prometeico di Nietzsche, anche le strategie della II Internazionale appaiono obsolete nella nuova definizione dell'umano.

Nel tardo pomeriggio è intervenuto il “grande vecchio”, Toni Negri (Nicola Massimo de Feo tra sociologia tedesca e comunismo anarchico). Io lo chiamavo Massimo, massimo fra noi giovani docenti era colui che più degli altri riusciva ad interpretare il tempo presente, ad avere un'acuta percezione della realtà che ci circondava. Eravamo ancora nell'università selettiva consegnataci dal fascismo e dal crocianesimo; tutti gli sforzi di noi giovani intellettuali erano rivolti a liberarci dal passato, a costruire un nuovo mondo. Nell'opera di de Feo il superamento delle contraddizioni a triade del metodo dialettico avviene attraverso l'approdo all'autonomia del negativo. Da intendersi come individuazione del soggetto della trasformazione.

I teorici del comunismo anarchico costituivano il referente di questo percorso teso alla individuazione dei bisogni e alla riscoperta del corpo come risposta diversa a quella fornita dai teorici dell'autonomia del politico. All'interno dell'operaismo, infatti, si aprirono due strade che segnarono la vita, le biografie, i percorsi segmentati dei giovani intellettuali italiani: coloro che seguendo il discorso dell'autonomia del politico approdarono al PCI e, attraverso l'entrismo, al governo della cosa pubblica (Cacciari, etc.), coloro che come de Feo esasperarono le linee di fuga, le aperture tenendo sempre aperto lo spazio della domanda, l'interrogarsi. Nell'opera di K.H. Roth il giovane de Feo individuava la valenza strategica aperta dal nuovo movimento operaio su scala europea ed internazionale. Una classe non professionale, non sindacalizzata, costituita da emigrati che spesso non si riconoscevano nella fabbrica in cui operavano; non era più il vecchio operaio della FIAT legato all'azienda da anni di lavoro a costituire il nuovo movimento di massa, ma il nuovo operaio, inurbato di recente che magari aveva lasciato al Sud la moglie e i figli, che vedeva i prati delle cinture urbane invase dal cemento e di domenica sognava i prati assolati della sua terra, mentre da solo si aggirava per la periferia della città perché in stazione c'era già stato a guardare i treni che partivano verso Palermo o Reggio Calabria. Una classe operaia che denunciava la strategia sindacale tutta tesa al recupero salariale, ma incurante della vita, del soffio vitale, del rantolo, del respiro, la sfera del biopolitico. In questa sfera bisogna collocare il lavoro di decostruzione del potere da parte del contropotere, il lavoro del negativo, il rifiuto da parte del corpo della natura carceraria del lavoro, l'imposizione e la costrizione al lavoro come forma del potere.

Alla fine dei lavori la moglie di de Feo, Rossella  ha ringraziato commossa tutti i partecipanti alla giornata di studi, rivelando il senso di isolamento e la sofferenza che hanno accompagnato gli ultimi anni della vita di de Feo. Uno dei tanti esclusi dalle strategie del potere, dai giochi, dalle fabbriche di consenso, quello che in sostanza sono diventate le università italiane invase da parentopoli e da pratiche malavitose.

gennaio 2006