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E' dunque assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile (nell'ambito appunto di una Semiologia generale). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci. Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico
…nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: ... quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità Pier Paolo Pasolini
Pasolini, il programmaticamente contraddittorio, la vittima e il carnefice di se stesso, il “veggente”; Pasolini il letterato; Pasolini l'oltre-letterato, il letterato che smette di esserlo per quel bisogno fisico di andare oltre, d'essere rappresentativo e comunicativo in modo immediato, estremo, carnale; Pasolini il regista; Pasolini l'omosessuale, il pederasta (argomento che quasi mai si riesce a trattare); Pasolini il borghese; Pasolini che descrive il linguaggio della propria vita come “… intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità”; Pasolini l'eccessivo, l'incongruente, l'ambiguo, il provocatorio, col suo bisogno di scandalizzare, di vivere le contraddizioni fino in fondo; Pasolini, che afferma che “Solo grazie alla morte”, e al “fulmineo montaggio” che essa fa delle sequenze, dei momenti significativi della nostra vita, “la nostra vita ci serve ad esprimerci”, no-nostante i trent'anni passati dalla sua morte, continua ad irritare e interrogare. A fare i conti con il corsaro c'è sempre qualcosa che non torna, un surplus d'irrisolto e irrisolvibile.
“... corpo estraneo e quindi definito di questo mondo, mi ci adatto con prese di coscienza molto lente. […] Posso solo dirti che la vita ambigua… che io conducevo a Casarsa, continuerò a condurla qui a Roma. Per questo io qualche volta – e in questi ultimi tempi spesso – sono gelido, “cattivo”, le mie parole “fanno male”. Non è un atteggiamento “maudit”, ma l'ossessionante bisogno di non ingannare gli altri, di sputar fuori ciò che anche sono. Non ho avuto un'educazione o un passato religioso e moralistico, in apparenza: ma per lunghi anni io sono stato quello che si dice la consolazione dei genitori, un figlio modello, uno scolaro ideale... Questa mia tradizione di onestà e di rettezza – che non aveva un nome o una fede, ma che era radicata in me con la profondità anonima di una cosa naturale mi ha impedito di accettare per molto tempo il verdetto... …non mi è né mi sarà sempre possibile parlare con pudore di me: e mi sarà invece necessario spesso mettermi alla gogna, perché non voglio più ingannare nessuno ... Uno normale può rassegnarsi – la terribile parola – alla castità, alle occasioni perdute: ma in me la difficoltà dell'amare ha reso ossessionante il bisogno di amare... La vita sessuale degli altri mi ha sempre fatto vergognare della mia: il male e' dunque tutto dalla mia parte? Mi sembra impossibile. Comprendimi, Silvana, ciò che adesso mi sta più a cuore è essere chiaro per me e per gli altri: di una chiarezza senza mezzi termini, feroce. È l'unico modo per farmi perdonare da quel ragazzo spaventosamente onesto e buono che qualcuno in me continua a essere... Ho intenzione di lavorare e di amare, l'una cosa e l'altra disperatamente... La mia vita futura non sarà certo quella di un professore universitario: ormai su di me c'è il segno di Rimbaud, o di Campana o anche di Wilde, ch'io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no. È una cosa scomoda, urtante e inammissibile, ma è così; e io, come te, non mi rassegno... Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori, non c'entrava con me. Me la sono sempre vista accanto come un nemico, non me la sono mai sentita dentro. Solo in quest'ultimo anno mi sono lasciato un po' andare: ma ero affranto, le mie condizioni familiari erano di-sastrose, mio padre infuriava ed era malvagio fino alla nausea, il mio povero comunismo mi aveva fatto odiare, come si odia un mostro, da tutta una comunità, si profilava ormai anche un fallimento letterario: e allora la ricerca di una gioia immediata, una gioia da morirci dentro era l'unico scampo. Ne sono stato punito senza pietà.” (P.P. PASOLINI, Lettera a Silvana Ottieni, in AA. VV., Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte, Garzanti, Milano 1977).
È il 1950 quando Pasolini è denunciato per corruzione di minori, espulso dal partito comunista, privato dell'insegnamento, e fugge a Roma; aveva perso tutto ed era disperato, ma allo stesso tempo c'era in lui un senso di liberazione: la possibilità di essere finalmente, ferocemente se stesso senza più “dover essere”. Quello che subisce nel ‘50 è il primo di una lunga serie di processi, che da Ragazzi di vita in poi sono stati intentati contro di lui e le sue opere. Pasolini ha parlato, scritto, filmato provocando sempre, in qualche modo, delle rotture: era per lo scandalo nei confronti del mondo borghese, del Potere dominante. Il privato, le sue preoccupazioni esistenziali, le sue passioni, il pubblico, la realtà politica, le provocazioni anche violente: tutto questo erano le sue opere. E anche se non era possessore della verità assoluta, quello che gli si deve assolutamente riconoscere e attribuire è il coraggio, l'onestà, la capacità di portare avanti i discorsi che lo interessavano con grande slancio a costo, spesso, di essere aggredito, attaccato, criticato diversamente da tanti intellettuali, che in un paese poco coraggioso come il nostro, spesso non parlano chiaro, non prendono posizioni ben definite, rimangono ”. Pasolini fa delle sue opere ordigni, non oggetti estetici, esplosivi che deflagrando riescano a trasmettere, a svelare, a render manifesta una nuova percezione della realtà. E quando sente la limitata capacità di diffusione della parola, la voglia di toccare un maggior numero di persone e attraverso uno strumento più immediato lo fa avvicinare al cinema: “Il cinema è la realtà. Il cinema è la lingua scritta della realtà”- dice Pasolini. Il cinema di Pasolini e il suo linguaggio sono immediati e comunicativamente senza intermediari rispetto alla parola scritta, e sempre corporei, provocatori, crudi. Come crudo, essenziale è Pasolini quando parla del “genocidio culturale” operato dal consumismo: distruzione del mondo di Accattone e della cultura contadina e popolare in favore di un impoverimento generalizzato del parlato, del gestuale, del corporeo, della sessualità, dell'espressione, del comportamento, “dei vari modi – come scrive - di essere uomini che l'Italia aveva prodotto in modo storicamente molto differenziato”.
Quando è morto Pasolini non piaceva a nessuno, o comunque piaceva a pochi; non piaceva alla destra, non piaceva alla sinistra, non piaceva agli intellettuali, non piaceva per le sue idee contro l'aborto, il femminismo, il ‘68. Non piaceva la sua ricerca della verità, ricerca radicale, non piaceva la sua “lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni”. L'amore, dai più scambiato per odio e vacuo criticismo, per il mondo e gli uomini gli procurava un'incredibile rabbia contro la realtà italiana: “irreale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l'ha mai liberato”. In tanti, quando è morto, avranno pensato “se l'è cercata”, o “in fondo è colpevole del proprio assassinio”. Pasolini scomodo, scomodissimo.
“Non ci sono più esseri umani, ci sono strane macchine che sbattono l'una contro l'altra. E noi, gli intellettuali, prendiamo l'orario ferroviario dell'anno scorso, o di dieci anni prima e poi diciamo: ma strano, ma questi due treni non passano lì, e come mai sono andati a fracassarsi in quel modo? O il macchinista è impazzito o è un criminale isolato o c'è un complotto. Soprattutto il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità.”. Questo Pasolini disse a Furio Colombo il 1° novembre 1975; la mattina dopo il suo corpo sarà trovato privo di vita. In quell'ultima intervista disse anche:
“Prima tragedia: una educazione comune, obbligatoria e sbagliata che ci spinge tutti dentro l'arena dell'avere a tutti i costi […] L'educazione ricevuta è stata: avere, possedere, distruggere.” “Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere il padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati.” “Il potere è un sistema di educazione che ci divide in soggiogati e soggiogatori. Ma attento. Uno stesso sistema educativo che ci forma tutti, dalle cosiddette classi dirigenti, giù fino ai poveri. Ecco perché tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo. Se ho tra le mani un consiglio di amministrazione o una manovra in Borsa uso quella. Altrimenti una spranga.”
“…tutti vogliono le stesse cose e si comportano nello stesso modo”… Come funziona oggi? “…c'è un complotto…” C'è qualcuno che si batte per abbattere il padrone senza diventare quel padrone? A quanti sarebbe davvero piaciuto Pasolini oggi? Quanti altri sarebbero stati imputati a quel processo che egli richiedeva per la Dc? Quanti?
Avere, possedere, distruggere. Il “veggente” - anche se quella che qualcuno chiama veggenza è stata, invece, una capacità d'analisi senza risparmi di verità e senza indulgenze o compromessi - ha osservato quello che allora era il nuovo fenomeno culturale “omologatore”, l'edonismo di massa e il suo grande potere. La televisione, mezzo, ma non solo, di questo potere, “ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo”. Il modello del “Giovane Uomo e della Giovane Donna proposti e imposti dalla televisione sono due persone che avvalorano la vita solo attraverso i suoi Beni di consumo (e, s'intende, vanno ancora a messa la domenica: in macchina)”. Gli italiani hanno accettato con entusiasmo questo nuovo modello che la televisione impone, “ma sono davvero in grado di realizzarlo? No. O lo realizzano materialmente solo in parte, diventandone la caricatura, o non riescono a realizzarlo che in misura così minima da diventarne vittime. Frustrazione o addirittura ansia nevrotica sono ormai stati d'animo collettivi. I ragazzi sottoproletari - umiliati - cancellano nella loro carta d'identità il termine del loro mestiere, per sostituirlo con la qualifica di “studente”. (…) “Nel tempo stesso, il ragazzo piccolo borghese, nell'adeguarsi al modello “televisivo” - che, essendo la sua stessa classe a creare e a volere, gli è sostanzialmente naturale - diviene stranamente rozzo e infelice. Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio “uomo” che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. (…) in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre”.
Avere, possedere, distruggere. E gli italiani di oggi che fanno? Come sono le dinamiche del potere oggi? Dominio da una parte; assuefazione e abitudine dall'altra. E gli intellettuali di oggi che fanno? Sembra, a guardarci, che certe cose è meglio non saperle, meglio accontentarsi delle concessioni fatte, costruite, dei piccoli possessi quotidiani. Sembra, a guardarci, d'essere capaci di assorbire di tutto; spugne; malati d'abitudine. Ci “vendono” e fanno “comprare” di tutto, compresa la libertà, la sicurezza, la democrazia, i diritti, i doveri, i sentimenti, gli effetti collaterali, le bombe intelligenti e anche quelle illuminanti … tutto spettacolarizzato, monetarizzato, influenzato da poteri e contropoteri, dominazioni più forti o più favorevoli e vantaggiose di altre sia nei micro che nei macro-rapporti, il tutto condito da un inverosimile silenzio o da sporadici tentativi di dire. Chi oggi si batterebbe per abbattere il padrone senza diventare quel padrone? Quanti altri nemici si sarebbe fatto Pasolini con i suoi “IO SO”? Quanti sanno, ma preferiscono tacere? Probabilmente di nemici Pasolini se ne sarebbe procurati tanti altri, o chissà magari anche lui si sarebbe fatto trascinare nel vortice, perché alla fine ciascuno resta uomo del suo tempo e le proiezioni sono sempre falsate. E comunque, egli stesso fu vittima del suo vivere fino in fondo le sue contraddizioni: pur cercando nelle borgate il vivere e amare non contaminato, non alienato viveva invece rapporti mercificati, da oppressore a oppresso entrando lui stesso in un meccanismo di alienazione. Non sapremo mai cosa avrebbe pensato dell'oggi, cosa avrebbe detto Pasolini; certo è che attraverso lui, attraversando la sua vita e le sue opere scopriamo e abbiamo scoperto - perché anche questo era lo scopo dell'iniziativa promossa nella sede della Casa dei Popoli di Molfetta, iniziativa che speriamo possa aver stimolato a leggere, guardare, approfondire Pasolini e il suo approcciarsi e dire della realtà - un intellettuale, anche se preferisco dire un poeta non silenzioso, scomodo, lucido, ancora vivo, interrogante, irritante, attuale. |
gennaio 2006 (inserto) |