L'ordine mondiale

Una grande illusione
di Antonio Balsamo

È quella inscenata dalle “potenze” industriali adunate in Edimburgo, per ponzare sulle magnificenze della globalizzazione e sul bene dell’Africa, alla quale promettevano la remissione dei debiti insolubili. Così avanzavano il proprio diritto alle benedizioni dell’umanità ed in particolare degli addetti alle benedizioni, che sopiscono le coscienze e procurano consensi.
Un capitalismo filantropico dopo New Armony (sec. XIX), fallita appunto per la sua filantropia, non s’è mai visto. La legge ferrea del capitalismo, disse qualcuno, è che il capitale investito debba produrre profitti, non riconoscenza e benedizioni.
Basta l’intelligenza per capire che i capitali, paternostramente “rimessi”, si tramuteranno in controvalori esorbitanti. Se all’intelligenza s’aggiunge la memoria storica, la riunione d’Edimburgo appare nella sua evidenza di marcia sul mondo, di continuazione d’una marcia, che la fine dell’Urss ha agevolato. Se prima lo spauracchio, agitato da Casa Bianca e Pentagono, era l’Urss, per estorcere il consenso alle politiche di potenza, ora è Bin Laden. Insomma gli abitanti degli USA non devono sentire sicurezza, per garantire ai potenti il massimo di potere.
Chi legge la storia, chi l’ha compresa, ha in sé l’imperativo etico di rigettare l’illusione dell’offerta di libertà da parte di governi, stati e potenze. Eppure, alla vigilia dell’aggressione all’Iraq, udimmo i radicali Pannella e Bonino, che dovrebbero conoscere la storia e capire la politica (e la guerra), credere alla guerra per la democrazia. Il nostro ex-giacobino Vincenzo Cuoco, all’inizio del 1800, mostrò senza ombra di dubbio che le rivoluzioni e le democrazie un popolo se le fa da sé e durativamente, quando esso è maturo per quelle. Diversamente le repubbliche e le democrazie, importate, non hanno la forza di reggersi e resistono finché hanno il sostegno delle armi degli importatori.
Non ostante ciò, nel 2003 si volle credere alla democrazia portata con le armi, mentre in quello scontro di opinioni, in cui Epifani disse “né con Saddam né con Bush”, a me sembrava che si dovesse dire: “con Saddam” nella protesta contro la violazione della sovranità e “contro Bush”, il tiranno più pericoloso per potere militare, economico e politico, verace detentore d’armi di distruzione di massa, esplosive e chimiche.
E poi, la storia risorgimentale non ci ha educati ad esecrare la Santa Alleanza prima, poi il generale Oudinot, mandato dalla Francia a soffocare la Repubblica Romana (quella dei “Fratelli d’Italia”) e a rimontare il trono al papa, per il quale quella Repubblica mazziniana, per cui morirono (eroicamente, crediamo) Mameli e compagni, era il male?
Se una forza espansionistica avesse avuto (non l’aveva) Saddam, essa non avrebbe superato i limiti del medio Oriente (petrolifero). La minaccia americana incombe su tutto il mondo, anche sull’amica e riconoscente Europa.
Se persone “competenti” credono alla favola della guerra per la democrazia, come potranno gli “umili”, legati alle greppie, distinguere il vero dal falso e capire che il soccorso e l’attacco ad un popolo sono due volti dell’imperialismo? L’imperialismo ha una sola vocazione, l’impero, e, quando si costituisce una potenza (o due o tre), la logica dei rapporti è sempre quella imperialistica sotto ogni cielo ed in ogni storia (dall’ateniese in poi, per citare gl’imperialismi più documentati).
Ed il momento attuale è quello in cui una sola potenza dominante fa tutte le prove e tutte le mosse d’una partita a scacchi, per piazzare i suoi pezzi ed annullare via via ogni avversario che sieda sull’altro lato della scacchiera, per occupare tutto l’occupabile e garantire alla propria economia le posizioni più vantaggiose lì, dove siano ricchezze. Si diceva in questi anni che Bush (capo d’un insieme di stati nati dallo sterminio dell’ethnos indoamericano) guardava al vicino e medio Oriente, ricco di petrolio, e non all’Africa senza petrolio, dove le tirannie proliferavano e i genocidi erano non meno violenti di quelli anticurdi (mussulmani contro mussulmani) ed antibosniaci (cristiani contro mussulmani), ed ecco che Washington ha inteso rimuovere il biasimo con un progetto apparentemente afrofilo.
S’è detto che l’evento del settembre 2001 nel World Trade Center è stato provvidenziale, per mascherare la logica imperialistica. Chi sia Bin Laden, sia uomo od ombra, che sia Al Quaeda, ombra o cosa, a chi obbedisca, se è cosa, chi o che cosa li abbiano creati, non abbiamo i mezzi per capirlo, perché è impossibile sceverare le menzogne dal vero, se c’è; certo è che le Twin Towers sono cadute a beneficio dell’egemonia mondiale di Bush II. Gli americani sono balzati dal gradino di martirizzatori (Vietnam per esempio) a quello di martirizzati (Twin Towers) e al loro fianco i lacchè europei contro le bandiere policrome dei pacifisti (sconfitti in tutto il mondo) hanno spiegato le bandiere crociate della civiltà occidentale, hanno preteso d’inchiodare la fede cristiana nella costituzione europea.
Perché tanta furia d’affermazione di cristianità, se non vi fosse un nascosto intento antimussulmano (e perché d’ogni attentato si tiene a ribadire l’islamicità)? Se la croce non è entrata nel testo, lo si deve ad un’insuperata diffidenza anglicana e luterana verso Roma e la sua religione “katholikè” (cioè totalitaria) e “oikoumenikè” (cioè imperante sull’Urbe/Italia e sull’orbe).
E si sono sprecate le parole benedicenti l’altruismo degli statunitesi, che svenarono i loro uomini e i loro giovani per la liberazione dell’Europa dalla tirannia di Hitler. Qui è l’origine del mito americano della guerra contro i tiranni del mondo. E sotto la riconoscenza alla liberazione viaggia l’aggregazione agli affari delle ricostruzioni dopo le guerre volute dagli USA. E, dove si può ricostruire, se non dove s’è distrutto? Distruggere quindi è un imperativo economico.
Fin dalla seconda guerra mondiale, è questo il fine delle guerre di liberazione nelle terre altrui, che ha complicato l’imperante menzogna altruistica.
Ma questa non è stata inventata dagli statunitesi. Ogni esercito liberatore, che si muova verso un’altra terra, non lo fa (non l’ha mai fatto) a favore del popolo che l’abita, ma contro il potere (“tiranno” interno o stato esterno) che la domina, per sostituirsi a questo o, quanto meno, per arginarlo. Napoleone non invase l’Italia, per liberare i lombardi dalla soggezione all’Austria né per fare dei giacobini gli apostoli della libertà, ma per arginare la potenza dell’Austria ed avere in Italia una dépendance politica, che proteggesse la Francia su quel lato. Napoleone non restituì ai polacchi la Polonia smembrata da Austria, Prussia e Russia, ma impose loro un suo stato francofilo. Se l’Inghilterra affiancò con la sua flotta la spedizione terrestre di Garibaldi, non amava l’unità d’Italia in sé e per sé, ma mirava a togliere dalle mani di Napoleone III il centro (stato pontificio) e il sud (regno borbonico) d’Italia, che Cavour gli aveva promesso a Plombières. Nel Mediterraneo il debole Savoia avrebbe nociuto agli affari inglesi molto meno dell’agguerrita Francia.
Non aver inventato una politica non limita la responsabilità di chi l’attua ed oggi questi sono gli Stati Uniti. Questi si mossero così verso l’Europa, quasi tutta occupata dai tedeschi. A muoverli non furono la fuga degli ebrei e degli intellettuali europei né il cinema di Chaplin, tanto meno la libertà degli europei. In quella guerra furono spesso i prevaricatori ad infondere le prevaricazioni in contrapposti prevaricatori o ad ispirare un’operazione mentale deduttiva. Se Churchill non avesse invaso la Norvegia per impedire con una mal condotta guerra il rifornimento di materie prime e combustibili alla Germania, Hitler non avrebbe concepito il piano d’occupazione della Norvegia.
Per gli USA entrare nella guerra d’Europa fu un’ovvia deduzione dall’imperialismo tedesco: il senso pratico indicava la sostituzione della Germania nel dominio politico ed economico sull’Europa. E vi si giunse nel modo che sarebbe stato consacrato per sempre: distruggere (o aiutare a distruggere) per ricostruire. Indurre l’opinione americana ad accettare l’ingresso nella guerra non era facile. Gli americani dopo la prima guerra mondiale erano orientati all’isolamento, vista fallire la politica interventistica di Wilson e sentita la delusione nell’intento di dominare l’economia europea con l’ideale “democratico” da infondere nella Società delle Nazioni, finita poi nell’influenza franco-inglese.
A complicare la situazione intervennero il crollo di Wall Street e la recessione economica. Ma provvidenziale fu l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Analogia storica delle Towers.
Allearsi con Hitler, se mai l’avessero pensato, e dividersi l’Europa, come dopo avrebbero fatto con l’Urss, non conveniva agli USA, perché solo l’Inghilterra non era occupata. Ma, dopo Pearl Harbour, il fronte dell’intervento fu chiaro, sebbene già indicassero quella direzione fattori preesistenti: la politica antisemitica di Hitler, offensiva nei confronti delle potenti comunità ebraica nordamericana, che i presidenti degli Usa dovevano tenere in buon conto se non in culto; l’attrazione dell’Inghilterra non tanto per la somiglianza linguistica e culturale, quanto per la sua titolarità d’un vasto impero commerciale e politico denominato Commonwealth e la speranza di penetrare in questo impero per le difficoltà inglesi e gli aiuti da concedere. Hitler aveva occupato con le armi l’Europa, per dare spazio vitale alla forte ripresa economica della Germania (più vasta e devastante era la guerra, più si produceva; più si produceva, più vasta e devastante diveniva la guerra), gli Usa per lo stesso motivo l’avrebbero occupata con la pace dei prestiti e degl’investimenti (dopo la guerra) e la “democrazia” aiutata o imposta (e, per esempio in Italia, conservata con il terrorismo nero, le deviazioni dei servizi segreti, le stragi di stato, i piani di golpe).
Non si trattò d’altro che d’estendere al globo intero l’ottocentesca dottrina di Monroe: l’America agli americani (e sappiamo a quali americani l’America centro-meridionale appartenga).
Toccò proprio all’Italia la prima distruzione anglo-americana, previa alla ricostruzione in un’Europa devastata e da devastare ancora, compresa la Germania.
A Washington pensavano di gettare un pugno d’uomini nella guerra europea, per prendere pacificamente il posto dei tedeschi? Oggi si grida che gli USA avrebbero dovuto dopo la Germania attaccare l’Urss. Essi invece avevano accettato la collaborazione con l’Urss, per tenere aperto il fronte orientale della Germania e perché un dominio al di là di Berlino appariva pieno d’incognite e fuori dell’opinione di poter abbattere due colossi (Germania ed Urss), specie dopo la resistenza di Stalingrado. Inoltre attaccare i russi sarebbe significato non aggredirli alle frontiere, non varcarle per distruggere il territorio, ma combatterli in piena Europa. O attaccarli in Asia. Ma qui la guerra con il Giappone costitutiva già un secondo fronte per gli americani.
La logica di quella guerra fu quella d’una conquista per volta e la guerra intrapresa riguardava l’Europa. A Yalta infatti si divise l’Europa, non ancora il mondo, in due zone d’influenza. Washington sperava che, battuto il Giappone, potesse comprimere l’Unione Sovietica dal Pacifico, fungendo il Giappone da ponte per l’Asia, e dall’Atlantico, insediandosi nella Germania sconfitta.
Non era nata la Nato, non c’erano ancora basi d’USAF e USNavy e Nato nel Mediterraneo, per pensare d’estendere il mercato e il controllo militare nell’area oltre i Balcani. Nel vicino e medio Oriente c’erano interessi economici e militari francesi ed inglesi per via della complessa rete di occupazioni e protettorati. Inoltre il Mediterraneo era nell’interesse della Gran Bretagna anche in virtù delle colonie africane.
Piegato il Giappone, questo sarebbe diventato mercato americano (prestiti ed investimenti per ricostruire dove s’era distrutto) e base nel Pacifico della penetrazione americana in Asia, più efficaci delle Hawai (Pearl Harbour).
Non era prevedibile la lunga marcia di Mao: la nuova Cina avrebbe posto più urgenti problemi d’enclaves americane nel continente asiatico fino agli anni 70 (politica del ping-pong tra Nixon e Chu-En-Lai).
Finita la guerra con Hitler, cominciò la colonizzazione economica dell’Europa. Al fatiscente controllo franco-inglese delle terre del petrolio (vicino e medio Oriente) fu, con l’uso strumentale del sionismo ebraico e con i soldi degli ebrei d’America, sostituita la fondazione d’uno stato permanente, Israele, che avrebbe funto da gendarme del petrolio.
Iniziò la doppia tragedia palestinese: degli ebrei, gettati in una precarietà diversa, perché armata, da quella dei ghetti; e dei palestinesi, privati della loro terra e delle sue risorse e confinati in ghetti più o meno ampi.
Gli americani stessi si fecero poi gendarmi in altre zone dell’Asia, sia al confine della Cina (in Corea) sia dove il dominio europeo barcollava e la presenza d’Urss e Cina richiamava il controllo della situazione e un’azione di contenimento. Fu così che l’Indocina passò dai francesi agli americani, che vi andarono con le convinzioni d’una guerra in un’altra Corea, ma proprio in virtù della Cina e dell’Urss avrebbero conosciuto lo smacco d’un’occupazione impossibile.
Dopo il Vietnam gli Usa hanno pensato di non combattere più soli per il dominio planetario e di non rischiare l’isolamento, se non politico, certamente morale. Hanno obbligato l’Europa occidentale, la cui economia era più o meno succube di quella americana, e gli altri “potenti” della terra, a prendere atto che le riserve di petrolio, senza la libera disponibilità per mezzo d’amicizie con tiranni e governi corrotti o di forzata democratizzazione, sono interesse comune per la produzione industriale e lo sviluppo tecnico e quindi bisogna concorrere alla “difesa” di esse; a prendere atto che dalla ribellione dell’Iran a Reza Palevi e all’America era chiaro che il nemico fosse mussulmano. Il pretesto del Kuwait offrì la copertura per la politica occidentale di controllo del petrolio. E Bush I riuscì a trascinare l’Onu, cioè, almeno nominalmente, il mondo intero, nella guerra per il petrolio filoccidentale, quindi nella guerra preventiva antimussulmana.
Ma Clinton non ebbe successo nel coinvolgere l’intero mondo nella guerra contro i serbi (slavi) di Milosevic, perché la Russia (slava) non poteva accettare una guerra antislava. Allora Washington e il Pentagono usarono la Nato e trascinarono D’Alema nell’impresa. La Iugoslavia era nata dalla disgregazione dell’Impero ottomano dopo la prima guerra mondiale ed è stata l’ennesima prova che non produce effetti duraturi il maneggio di popoli, fatto, senza consultare i popoli, dai potenti (allora Inghilterra e Francia) per i loro calcoli di potere: in quel caso creare uno stato iugoslavo (in cui erano accozzati popoli, lingue e religioni diverse), per arginare l’Austria e l’Italia.
Il suo sfaldamento, seguito alla morte di Tito, in repubbliche piccole e grandi, libere od orbitanti intorno a questa o quella nazione, era preferibile ad un superstato serbo, dominato cioè da slavi e sempre orientabile dalla slava Russia (che l’Europa ha amato sempre tenere lontana dal Mediterraneo). E’ la stessa politica di sottrazione all’influenza russa di regioni e stati già sovietici o comunisti disobbedienti, che s’è vista applicata prima in Polonia, poi in Ucraina.
Per la guerra in Iraq Bush II non poté servirsi dell’Onu ed agì contro le sue risoluzioni. Essendo avvenuti i crolli delle Twin Towers, si procurò o gli venne procurato un pretesto, il terrorismo islamico, che ha potuto esibire dopo il pretesto, miseramente smentito, delle armi irachene di sterminio. E campeggia su quella guerra l’ “ideale” della democrazia coatta. E, quanto più funzionerà il terrore seminato da Bush e dai governanti cinici al pari di lui, tanto più è assicurata la copertura morale d’ogni guerra che i “potenti” vorranno fare per il petrolio (altrui).
Finché è in questione il petrolio, è inevitabile andare allo scontro armato tra i detentori delle terre petrolifere e i titolari delle compagnie petrolearie e i loro stati. E questo scontro troverà lievito nel fatto che siano mussulmani i detentori delle terre ricche di petrolio. Non ci confondano le pie espressioni interreligiose, le capziose assicurazioni dei governanti nostri circa il rispetto della religione islamica nelle terre dell’islamismo e nelle nostre.
La televisione mostra chiaro il doppio volto del momento attuale: è essa che ci beatifica con ore di collegamenti diretti con Colonia, la città santa della ventesima giornata mondiale della gioventù (in realtà g.m. per la gioventù, perché i giovani vi fanno niente, non organizzano alcunché, non pronunciano discorsi, non elaborano progetti, ma ascoltano, applaudono o co-applaudono e, quando un’intervistatrice, esortata dal pio Bruno Vespa, interroga due-tre dei giovani intorno a lei, pre-designati e pre-parati, questi dicono poche conformi parole di felicità d’essere lì), con l’esaltazione dell’incontro olocristiano, ebraico e mussulmano (e nel contempo Ratzinger ribadisce che solo la religione cristiana, più esattamente la sua, romana, è la vera: a confusione degli altri cristiani e dei non cristiani); è essa, dicevo, la televisione, che c’illude della distensione ecumenica etico-religiosa in nome della pace; ma è essa stessa che inizia i telegiornali con la notizia del nuovo aumento del prezzo del petrolio (petrolio caro? Colpa dell’islam petroliero!), è essa che propaga il terrorismo di Bush-Blair-Berlusconi, annunciando aumenti delle bollette elettriche e gasarie, spaventando le trepide (tiepide) coscienze, sollecite del benessere personale e familiare, che non contemplano una riduzione dei consumi, ma la stabilità di spesa e godimento); quindi rinfocolando i rancori anti-arabi, blanditi dai messaggi interreligiosi, interculturali e, in ultimo ora, coloniali (nel senso di propagLa teoria della Lega del Nord, secondo cui ogni mussulmano è un attentatore, prevarrà e sarà ossessivamente propagata, quando non sarà più tempo di finzioni e d’illusioni.
Lo scontro sarà ed è per volontà occidentale tra Occidente cristiano ed Oriente mussulmano. E non lasciamoci illudere. Ora è utile tener buoni i mussulmani, che negli stati cristiani servono alle economie nazionali, per pagarli poco e perché funzionino i settori “umili”, dimessi dai cristiani, e soprattutto per tenerli lontani dai loro fratelli attentatori. Anzi si promette loro un premio, se danno indicazioni sui cospiratori.
Intanto, come dopo il crollo delle Twin Towers agenti americani s’ingerirono nei trasporti aerei dei paesi “liberi” ed amici, oggi Blair dopo i fatti di Londra non ha paura di sospendere la libertà di parola, che ha fatto della Gran Bretagna l’emblema della civiltà.
Si stringono le maglie intorno ai dissenzienti, a coloro che vogliono esaminare le accuse antiarabe ed informare i popoli. Così nel momento in cui i poteri costituiti avranno deciso, a dire le “brutture” dei mussulmani saranno solo essi, i poteri; i tolleranti, gl’interculturali, gl’interreligiosi inorridiranno alle rivelazioni dei poteri e avverranno i pogrom antimussulmani, sarà caccia al mussulmano, anche a colui che ti lava la scala per qualche euro.
Ora si gioca alla tolleranza e alla pari dignità e si persuade i mussulmani nostri della nostra bontà e simpatia (ma già il Regno Unito addita come traditori i mussulmani nati nel suo territorio), affinché non siano trasmettitori della voglia di riscatto del mondo mussulmano contro i “crociati” d’Europa e d’America. Ma è chiaro che, essendo gli Usa e gli stati satelliti mossi dalla voglia di dominio planetario del petrolio e del mercato, poiché la produzione vuole un consumo alto e, se la domanda non chiama l’offerta, le economie occidentali saranno statiche, involveranno e crolleranno, la soluzione finale sarà lo scontro armato con tutto il mondo arabo od arabizzato.
Allora sauditi, kuwaitiani, siriani, iracheni, iraniani, giordani, palestinesi, pachistani ecc, saranno un’unica massa, non più divisa dalle false relazioni (“divide et impera”), ma offesa e reagente, e la croce sarà l’emblema dell’Occidente, la luna dell’Oriente.
Le incognite sono l’India, la Cina, la Corea nucleare (si riuniranno le Coree?), il Giappone. Per questo l’attacco cristiano ai mussulmani possessori o no del petrolio non è imminente e si prende tempo, dividendo gli stati indocili dai remissivi, i bravi, poco pagati, mussulmani dai cattivi che tramano nell’ombra. Ma temporeggiare non è una tattica sicura, perché la Cina, la Corea (o le due Coree in una), l’Iran e l’India possono nel frattempo armarsi meglio.
Intanto si lavora sul certo: l’Africa. Coloro, che in Africa operano per il bene degli africani, dicono che le promesse afrofile delle “potenze” stanno invecchiando senza effetti. Ma, detto che più credibile era il piano d’integrazione afro-europea dei tempi di Craxi (l’Europa “granaio e frutteto” dei due mondi, l’Africa industria d’essi; e ci sarebbero state speranze della durabilità, perché un mondo non sarebbe esistito senza l’altro), forse questa è la volta buona per l’intervento delle “potenze”, perché si va profilando con certezza lo scontro finale tra i pretendenti al petrolio e i detentori di questo e bisogna attuare il dominio politico ed economico del “continente nero”, almeno per impedire l’attrazione della grande area subsahariana e sopracalahariana nell’area magrebina e mediterranea, che è mussulmana.
Non è credibile che quest’ultima Africa dimentichi la comunione linguistica e culturale con gli Arabi e i mussulmani asiatici. Tutta l’Africa, fatta forse qualche eccezione, ha risentimenti (eredità del colonialismo e dei massacri connessi) contro inglesi, francesi, belgi, spagnoli, portoghesi ed italiani, ma l’Africa settentrionale è culturalmente ed omogeneamente mussulmana. I cristiani copti d’Etiopia sono un’infima minoranza. L’Africa centrale e centro-meridionale sono state coltivate dai missionari cristiani ed è possibile che sentano l’attrazione delle “potenze” cristiane, sebbene queste siano armate e bellicose in contrasto con la pace di Cristo. Anche a loro si dirà che l’Islam è bieco ed assassino e che l’Africa settentrionale li vesserà con gli attentati?
Ai ben o mal governati il potere può far credere ciò che vuole. Dopo gli orrori e gli stermini della seconda guerra mondiale, non s’era detto: mai più guerre? E gli S.U. d’America in nome dell’anticomunismo non trascinarono le simpatie verso la loro guerra coreana già all’inizio degli anni ’50? Non fu la guerra di Corea presentata come una guerra santa contro il comunismo?
E dopo Hiroshima e Nagasaki non s’era fatto altro giuramento? Ma la guerra in Vietnam fece ricorso al napalm e alle bombe sterilizzanti il suolo. Che equivalsero a distruzione e fame per le generazioni attuali e le future. Non solo è corta, è incostante la memoria storica, ma la s’inganna con guerre “giuste” e sante (come quelle d’export di democrazia).
In questo agosto, ho udito onorare una sorta di giorno della memoria per Hiroshima (che in sessant’anni non avrebbe dovuto mai mancare, non come solo un “accadde oggi”), ma so già che i giorni della memoria saranno celebrati, finché piaccia e convenga a chi detiene il bastone imperiale, e il giorno della memoria dell’olocausto ebraico avrà (lunga) vita in coincidenza con l’interesse occidentale (lungo) al petrolio del vicino e medio Oriente.
Che stupore che contro forze soverchianti si ricorra all’attentato? Ma, se l’attentato è moralmente sempre un gesto vile, perché colpisce ignari, colpevoli o innocenti, che non possono difendersi, quello dei resistenti al neocolonialismo occidentale ha un aspetto raramente presente nella memoria (storica o mitica) del passato (Sansone nella biblica, Micca nell’italiana). La viltà degli attentati sembra sopraffatta dallo sprezzo della propria vita, che si registra tra i nuovi attentatori, e ciò ti fa oscillare e la coscienza etica assoluta ha bisogno d’uno sforzo, per prevalere.
E’ certo tuttavia che, quando si combatte per una causa o per la patria avvilita, gli attentatori diventano eroi per i compagni di causa e di patria. Erano e sono eroi (non per gli americani che ne subivano le imprese) i kamikaze giapponesi. I kamikaze mussulmani sono eroi per tutti i mussulmani nelle loro patrie e, via via che crescerà l’aggressione occidentale, anche per i mussulmani nelle nostre patrie. Nei pacifici ed integrati tra questi certo vive già oggi un ininvestigabile conflitto tra le parole e la coscienza o vige una taciuta ammirazione per gli attentatori-suicidi. Che diventerà a gradi manifesta, quanto più all’oppressione occidentale cadranno i veli delle parole. E’ normale l’epopea dei martiri e non dobbiamo disgustarcene noi, popoli “cristiani”.
Il martirio è tema prediletto per i cristiani. Non è stato papa Wojtyla ad esortare al martirio i giovani del giubileo? Il martirio è proclamato o reclamato, anche quando non c’è (ricordate le persecuzioni anticristiane invocate per Timor Est negli ultimi anni 90?). Tutto in omaggio al martirio delle origini. Se i cristiani siano stati perseguitati dal tollerante stato romano (intollerante solo in politica estera), è questione da discutere.
Ma, supposti storici le persecuzioni romane e i martìri, se dei cristiani si diceva che il sangue dei màrtiri era seme di cristianesimo, bisogna comprendere che la stessa opinione è del sangue mussulmano. E non s’insulti (anche se non si accetta la cecità dell’attentato) i “martiri” mussulmani con l’accusa di fanatismo. Credevano i cristiani, credono i mussulmani.
E poi non uccidono in modo simile gl’ignari i cristiani dell’IRA e dell’ETA?

Il progetto dei G8 è togliere l’Africa agli africani, in particolare ai mussulmani. La remissione dei debiti è il pretesto per la cattura del continente subsahariano per due fini: impadronirsi delle sue distinte ricchezze ed economie; estraniarlo all’Africa mussulmana ed averlo a fianco nello scontro finale, minacciando dal sud l’Africa soprastante.
Allora le illusioni e le coperture del dialogo cadranno per necessità, perché Maometto diventerà persecutore di Cristo, l’Anticristo per eccellenza (e i governi occidentali dopo la libertà di parola e di circolazione internazionale aboliranno la libertà di stampa e sottoporranno gli scritti all’imprimatur; Blair non ha ritegno nell’avvilire la civiltà madre dell’Europa moderna) e tornerà ad assumere come nel medioevo un ghigno diabolico.
Quello che dobbiamo chiarire è la nostra, di coloro che credono e non fingono di credere, attesa dello sviluppo sostenibile e solidale e della libertà planetaria.
Se noi vogliamo i lussi e gli sperperi della società del benessere, siamo intrinsecamente sostenitori dello sviluppo incontrollato della produzione e della politica dei G8, quindi dello sfruttamento planetario sempre più violento e dello scontro finale tra Occidente ed Oriente.
Dobbiamo stabilire il rapporto tra il principio del lavoro per tutti, perché schiere di giovani premono alle frontiere del lavoro, ed il consumo d’ogni genere prodotto, anche l’inutile e il nocivo (per noi e per l’ambiente).
Dobbiamo dire a noi stessi se vogliamo per ciascuno di noi tutto il lavoro che ognuno sa procurarsi e nello stesso tempo che tutti gli uomini e donne lavorino (sostenendo la produzione di cose non solo ineducanti ed inutili, ma anche nocive, perfino letali, come le armi per ogni distruzione: d’individui, di gruppi e di massa) o un altro tipo d’organizzazione del lavoro: a ciascuno tanto quanto basta all’indipendenza personale e allo sviluppo etico e solidale dell’economia mondiale. Dobbiamo infine sapere sin d’ora se, qualora si manifesti la necessità d’una diminuzione delle occupazioni, noi sosterremo la pretesa (prevedibile) del potere economico di rimandare le donne a casa (dopo averle illuse introducendole nei ruoli sempre gestiti dai maschi, il che significa maschilizzazione delle donne; ma questo è discorso da fare separatamente) e di rispristinare la loro storica condizione di sottomissione ed esclusione economica, o combatteremo per l’equa divisione delle occupazioni esistenti.
Se Bush II trascina la sua gente, riesce a farlo, perché la convoca sulla difesa del benessere. Perché ci siano benessere e ricchezza per tutti, perché ci siano lavoro e week end, la produzione deve essere preservata e crescere. Cresce, se si fabbrica per usare e gettare il prodotto, se si distrugge e riproduce: in casa e all’esterno. Gli americani, la massa che ha votato Bush II per la seconda volta, generalmente credono in un solo valore, che è il proprio benessere materiale, di qualunque manto morale e culturale l’abbia vestito Bush, per battere Kerry.
Che il supremo valore degli abitanti degli Stati Uniti sia il proprio benessere è chiaro nella ricusazione di Bush (e dei suoi sostenitori, ma certo anche della maggioranza degli oppositori) delle regole stabilite a Kyoto in favore dell’ambiente. Non importa loro se la terra bruci o geli, ma produrre, avvelenando l’aria, e godere del benessere.
Gli americani sono sicuri che, quando l’America sarà minacciata da un qualsivoglia pericolo (come nei film nazionali da asteroidi, extraterrestri, cataclismi d’ogni genere ecc), i suoi scienziati e il suo esercito sapranno vincere.
E noi, avversatori della politica di potenza, siamo capaci di rinunciare ai consumi superflui, ai farmaci inutili, alle bibite dannose, scegliamo la via naturale alla sanità, cioè la prevenzione attraverso la nutrizione scelta e ragionata e la qualità di vita fisica; preferiamo il turismo culturale e naturale a quello sfruttatore e stupratore; ripudiamo le play stations contro tutte le fole della crescita dell’intelligenza e doniamo ai nostri bambini e ragazzi ciò con cui possano costruire, modellare, creare, immaginare, acuendo veramente l’intelligenza? Accettiamo dalla tecnologia solo ciò che serve a vivere e comunicare?
E siamo in estremo capaci di combattere apertamente, per difendere la nostra libertà ed opporci in uno scontro diretto ai cinici sostenitori della ricchezza nostra a costo della libertà e della vita dei popoli, che non possono difendersi da una potenza, tanto meno da più potenze coalizzate? Siamo pronti ad una nuova resistenza, ad un’alleanza di popoli giusti contro governi ingiusti?

settembre 2005