Non luoghi

Solitudini condivise
di Ilia Binetti

Nella città la storia si intreccia al presente non come traccia ma come trama. Il moderno si affaccia con prepotenza, sfonda muri consolidati dal tempo, materiali solcati dal vento, ma solidi. Non entra in punta di piedi, si impone, per poi quasi scomparire, perché dialetticamente incorporato. Un corpo sociale si modella su nuove superfici e si fa realtà, quasi fosse sempre la stessa, per prepararsi ad altro, non si sa cosa precisamente, ma si sa che dell’altro verrà e bisognerà tenerne conto. L’immagine del ponte che offre un attraversamento nei due sensi, sia per entrare che per uscire dalla città, esprime concretamente il flusso informativo che si organizza intorno ad un agglomerato urbano con l’apertura reticolare che ne può scaturire. In contrapposizione si erge la struttura a torre che simboleggia la potenza, la staticità senza aperture. È innegabile che ogni città reca con sé tracce di storia; questa eredità si esprime attraverso un ordine ‘contraddittorio’ che va salvaguardato non in quanto unità, ma in quanto apertura su di un divenire che è una promessa, un progetto di cui non si conoscono tutte le variabili, ma di cui è indispensabile individuare i limiti oltre i quali si spezzano i delicati equilibri ambientali.
“Una città è un insieme che deve restare indefinito, strutturalmente non saturabile, aperta alla propria trasformazione, alle aggiunte che alterano o spostano il meno possibile la memoria del suo patrimonio. Una città deve restare aperta all’ignoranza sul proprio avvenire: bisogna inscrivere, come un tema, il rispetto di questo ‘non-sapere nella scienza e nella competenza architettonica o urbanistica.” (Derrida)
L’organizzazione dello spazio, la costituzione di luoghi di un gruppo sociale rappresentano una delle modalità della vita collettiva e individuale. L’identità condivisa di una collettività è espressione di identità e relazioni che riguardano gli individui nella loro diversità. I luoghi allora esprimono un senso sia per coloro che li abitano sia per chi li incontra: sono identitari, relazionali e storici. “La mappa della casa, le regole di residenza, i quartieri del villaggio, gli altari, i posti pubblici, la divisione del territorio corrispondono per ciascuno ad un insieme di possibilità, di prescrizioni e di interdetti il cui contenuto è allo stesso tempo spaziale e sociale.” (Augé) All’interno di un territorio le relazioni si articolano, si aprono le strade dell’interazione e dell’integrazione in un colloquio continuo con l’“altro”.
Un luogo è storico in quanto habitat che vive nella storia, non la fa; coloro che vi vivono vi riconoscono dei riferimenti che non si riferiscono alla storia come scienza, come insieme di oggetti di conoscenza. Un luogo è storico perché gli itinerari, le strade che consentono di andare da un luogo ad un altro sono stati tracciati dagli uomini per soddisfare le loro esigenze di scambi e di relazioni. Esigenze che si intersecano e armonizzano nel tempo: sono spazi che definiscono lo spazio comune e lo spazio domestico, spazi politici e economici.
“Senza l’illusione monumentale, nei confronti dei viventi, la storia non sarebbe che un’astrazione. Lo spazio sociale è irto di monumenti non direttamente funzionali, imponenti costruzioni di pietra o modesti altari di terra, da cui ciascun individuo può ricevere la legittima sensazione che nella maggior parte dei casi gli preesistono e gli sopravvivranno. Stranamente, è una serie di rotture e di discontinuità nello spazio ad illustrare la continuità del tempo.” (Augé)
Nella tradizionale città di provincia, il centro è un luogo attivo dove è concentrata la maggior parte dei servizi, dei luoghi di commercio, dei luoghi di incontro. Periodicamente il centro si anima per rispettare determinate scadenze. L’ampliarsi della città deve rispettare queste esigenze e definire zone in cui, pur mancando luoghi derivanti da una lunga tradizione, dalla storia, si possano attivare dinamiche che consentano l’integrazione di luoghi “ove gli itinerari singoli si incrociano e si mescolano, ove le parole si scambiano e le solitudini si dimenticano per un istante, sulla soglia della chiesa, del municipio, al bancone del bar, sulla porta della panetteria”. (Augé)
La storia ha avuto un’accelerazione sconosciuta finora, per cui basta poco perché la nostra esperienza passata divenga storia. Gli avvenimenti si moltiplicano velocemente e contemporaneamente e cresce la necessità di dare un senso a questo eccesso, di collocare all’interno di un significato il presente e il passato prossimo, nel quale l’allungamento delle aspettative di vita e la compresenza di più generazioni provoca cambiamenti sociali che non sono assorbiti con la durata necessaria a creare senso. È proprio l’eccesso di avvenimenti nel presente che provoca difficoltà di pensare il tempo e di comprendere la contemporaneità.
Il tempo che scorre lentamente e si sostanzia di esperienze dal sapore forte e coinvolgente, che impegnano i sensi e l’emozione con indomita inclusione, tesse nelle individualità collettive un tessuto che parla la lingua del luogo con tutte le sfumature e i cambiamenti che le interazioni producono. Fluendo inesorabilmente non consente a nessuno il ritorno sui propri passi per cancellarli, secondo l’idea eraclitea per cui non ci si immerge due volte nella stessa acqua. Ogni attimo è vita che non si ripete, ogni decisione è tale con tutte le conseguenze che l’accompagnano, ogni scelta è modificabile, ma non annullabile. Le ore sono scandite da un’organizzazione sociale che si integra coi punti salienti del paesaggio. “Il luogo si compie con le parole, con lo scambio allusivo di qualche parola d’ordine, nella convivenza e nell’intimità complice dei locatori”. (Augé)
Quando tutto diventa senza soluzioni di continuità, senza ‘ritornello’ perché privo di ‘territorializzazioni’, quando si ritiene che tutto possa essere smentito perché niente ha il carattere del punto fermo da cui ripartire, e ogni scelta è ritenuta reversibile, il senso di responsabilità non ha più valore, l’azione perde il connotato del ‘farÈ e diventa simile a un agire fuori dal tempo, quindi privo di conseguenze e ‘concatenamenti’. Ci si abitua a questo, vivendo il tempo e lo spazio in maniera anonima, passiva e senza passione, quando non esiste altro futuro che l’incessante superamento del presente.
Al restringimento del pianeta fa da contrappeso l’eccesso di spazio: distanze percepite diversamente, mezzi di trasporto veloci, immagini di luoghi lontani che ci bombardano costantemente.
Una cultura, localizzata nel tempo e nello spazio, si amplia in una realtà che ha in sé cambiamenti fisici di grande portata: concentrazioni urbane, trasferimenti di popolazione, proliferazione di ‘nonluoghi’ (strade a scorrimento veloce, svincoli, aeroporti, i mezzi stessi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi).
Nasce la necessità di ripensare lo spazio che abitiamo.
Nel centro delle nostre città i monumenti sono illuminati e messi in mostra in settori riservati e isole pedonali, quasi fossero in un museo. Le periferie sono anonime senza alcuna intenzione programmatica di renderle vivibili. Il luogo aggregativo rimane ancora il centro della città, ma la necessità di razionalizzare gli spazi, espandendo i luoghi deputati al consumo e allo svago, induce ad allestire ampie zone del territorio in cui convogliare grandi masse di popolazione con l’attrattiva delle novità, dell’esaustività dell’offerta di prodotti e del risparmio di denaro e di tempo. Manca la sintesi, l’ntegrazione, c’è solo un percorso, declinato al presente, di individualità distinte, simili e indifferenti le une alle altre; è come se gli individui fossero isolati dal loro contesto e racchiusi in una immensa parentesi.
Accanto ad uno spazio che può definirsi identitario, relazionale, storico, interagiscono allora spazi che Marc Augé definisce nonluoghi. Questi luoghi non inglobano i luoghi antichi, ben individuabili in posti specifici e circoscritti; al contrario se ne distanziano sufficientemente per definirsi il più marcatamente possibile luoghi senza tempo e senza localizzazione, fruibili da chiunque nell’anonimato più sconfortante.
Che cos’è una città che vuole inserirsi nel processo produttivo e adotta come strategia quello di annullarsi nell’anonimato del mercato? La logica del mercato, assolutamente cieca di fronte agli equilibri delicatissimi di un ambiente sociale radicato nel territorio, travolge anonimamente l’anima, il respiro del luogo sociale; lo fa suo espropriando la vita che gli è propria e tritura ogni forma che sia fuori dall’immediato vantaggio economico.
Questo processo si può modificare? Si può restare estranei a un movimento che coinvolge tutti i settori della vita umana, fosse anche solo attraverso le immagini televisive? Esiste ancora la possibilità di inventare una dimensione diversa del nostro ‘essere al mondo’, isole felici di consapevolezza? Sembrerebbe che escludersi significherebbe soccombere, al contrario bisognerebbe dare un segnale di discontinuità col processo in atto e provare a pensare uno sviluppo che, pur non escludendo le comunità da opportunità che ai più sembrano inevitabilmente vantaggiose, attivino strategie che migliorino il bene comune, attraverso un valore aggiunto che contempli l’aspetto conservativo accanto a quello innovativo.
Quando si costruiscono luoghi commerciali in cui si ripropone una finta città con strutture a torre, il pensiero corre all’immagine del ponte e rimane sgomento. Un centro commerciale collocato fuori dal centro urbano è davvero l’elemento che apporterà valore aggiunto ad un ambiente? Arriveranno gli acquirenti da ogni parte e non altereranno nulla? O porteranno esigenze collegate alla loro presenza, probabilmente devastanti? Bisogna intervenire sull’ambiente con la consapevolezza che intaccare un organismo che vive dei suoi equilibri attraverso i quali respira, potrebbe significare ‘ammutolirlo’ o peggio ‘soffocarlo’ per sempre. A vantaggio di quale prospettiva di senso?
Creare ex novo un surrogato di città edulcorata e per definizione associata al tempo libero, allo svago e all’acquisto, a scapito della vita cittadina che ne risulta sminuita, avvilita, annichilita nel suo tessuto sociale e associativo, possiamo considerarla un’opportunità di crescita? Gli anziani, coloro che non possono o non vogliono partecipare a questa bolgia di ‘godimento forzato’ risultano penalizzati o salvi? La città perde la sua ‘anima’, diventa una città fantasma: è possibile attivare brandelli di consapevolezza o siamo presi in un vortice inarrestabile nel quale non ci è dato di pensare? Un intervento che rischia di ridurre la città a città museo, o peggio a città dormitorio potrebbe essere disaggregante e diseducativo.
Domandiamoci che cosa intendiamo per sviluppo. Interroghiamoci sull’interesse che tributiamo alle scelte qualitativamente accettabili per conservare nel futuro ciò che ci è dato di godere e utilizzare, senza alcun diritto di proprietà. Domande angoscianti alle quali, data la complessità della realtà, non corrisponde un’unica risposta, ma una costruzione di idee, strategie, progetti, intenzionalità, speranze, illusioni, creatività che nascono dalla voglia di cambiamento.
La storia collettiva mai ha coinvolto le storie individuali come oggi, ma contemporaneamente mai i riferimenti dell’identificazione collettiva sono stati così fluttuanti.
Nella dinamica del controllo totale della nostra esistenza da parte del potere, l’unica esigenza diventa quella di vivere ‘operando’, non secondo una vita desiderata e partecipata, ma nell’inerzia del ‘fare pilotato’.
Ribellarsi, avere consapevolezza, partecipare attivamente sono gli strumenti che individualmente e collettivamente dobbiamo mettere in atto per essere protagonisti delle nostre esistenze.
Le città si svuotano, i giovani sono costretti ad andare altrove per poter trovare un lavoro, il territorio viene saccheggiato per impiantare strutture che non recano benefici duraturi, ma provvedono a soddisfare interessi economici di ‘esterni’ che rimangono tali, offrendo le briciole ai locali. Quello che si perde non è solo il territorio nel senso spaziale, si perde l’identità, si perde l’occasione di esprimere la capacità progettuale alternativa della comunità.
Per progettare un’altra idea di spazialità, si deve intervenire nel tessuto sociale di una comunità, insinuandosi nello spazio pianificato della città e introducendo gli elementi del presente, funzionali alla vita della comunità.
“Pianificare la città significa a un tempo pensare la pluralità stessa del reale e rendere effettivo questo pensiero del reale; significa sapere e potere articolare.” (Augé)
In città i corpi si muovono tra i pieni e i vuoti di un ‘testo’ urbano che essi stessi scrivono. Gli individui si muovono in spazi di cui hanno una conoscenza cieca e quando si avvicinano tra loro, socializzano e organizzano dei luoghi. “L’incrocio dei loro cammini, poesie insapute di cui ciascun corpo è un elemento firmato da molti altri, sfugge alla leggibilità”. (De Certeau)
Drammaticamente il nonluogo non suggerisce alcuna utopia capace di coltivare una società organica.
Oggi tutto il sistema precipita nell’indeterminazione. La simulazione sostituisce la realtà: non perseguiamo finalità, seguiamo modelli. (Baudrillard)
Non siamo in presenza di una modernità dove l’antico e il nuovo convivono. Nella ‘surmodernità’ l’antico (della storia) è una particolarità che riveste interesse come le peculiarità locali legate alla tradizione e gli esotismi.
“Nella realtà concreta del mondo di oggi, i luoghi e gli spazi, i luoghi e i non luoghi si incastrano, si compenetrano reciprocamente. La possibilità del nonluogo non è mai assente da un qualsiasi luogo; il ritorno al luogo è il rimedio cui ricorre il frequentatore di non luoghi”. (Augé)
All’interno dei nonluoghi i clienti si aggirano silenziosi, osservano i prodotti, leggono le etichette o si fidano delle pubblicità, si servono da soli, si avviano alla cassa e, attraverso la carta di credito, pagano ad una ragazza silenziosa che non può perdere tempo, la quale passa l’articolo su di una macchina decodificatrice, verifica la validità della carta; in un clima che è organizzato per costruire l’uomo medio, definito come cliente (del sistema stradale, ferroviario, commerciale o bancario). Al luogo antropologico costituito dall’identità dei singoli, il riferimento del paesaggio, le regole non formulate del saper vivere, il nonluogo sostituisce l’identità condivisa dei passeggeri, dei guidatori, della clientela tutti sottoposti agli stessi meccanismi di controllo e di irregimentazione anonimi che per un gioco di immagini e di messaggi sembrano rivolti al singolo.
“Se i luoghi antropologici creano un sociale organico, i nonluoghi creano una contrattualità solitaria.” (Augé)
La relazione con il nonluogo è di tipo contrattuale ed è rivolta al singolo soltanto quando paga con la carta di credito, unico momento in cui esibisce la sua identità. In effetti il cliente segue le istruzioni che pare siano rivolte proprio a lui, ma il suo perfetto anonimato fa sì che l’unico volto a cui fa riferimento, l’unica voce che sente realmente è solo la sua. Volto e voce di una solitudine tra tante. Escluso il momento in cui l’identità si manifesta, cioè alla cassa dove a pagare è proprio lui, per tutto il tempo i codici, i messaggi, le sollecitazioni sono stati quelli per tutti. “Lo spazio del nonluogo non crea né identità singola, né relazione, ma solitudine e similitudine”. (Augé)
Il tempo è solo quello presente, sono annullati i ritmi biologici, sono annullati i riferimenti al giorno e alla notte, ai giorni lavorativi e ai giorni di riposo, tutto si può fare hic et nunc, niente ci richiama al nostro vissuto, viviamo in un tempo rarefatto che ci avvolge in uno spazio che indifferentemente può essere ubicato ovunque, si può essere in una città o in un’altra, senza percepire elementi di caratterizzazione; le notizie, le pubblicità che ci raggiungono incessantemente, sono dappertutto le stesse. Le immagini che vengono proposte in ogni dove, disegnano un mondo del consumo che ognuno può far proprio perché si sente interpellato: fare come gli altri per essere se stessi.
Veniamo al mondo in una camera di ospedale, ci spostiamo utilizzando mezzi di trasporto, strade a scorrimento veloce, aeroporti, ferrovie, utilizziamo centri commerciali, banche, catene alberghiere, centri vacanze, distributori automatici, carte di credito che mettono in relazione una serie di operazioni che rispondono a un commercio muto nel quale la solitudine, il provvisorio, il passaggio, la dislocazione regnano sovrani. Sono i nonluoghi che rappresentano l’epoca presente.
Nella coesistenza dei luoghi e dei nonluoghi, lo scoglio sarà sempre di carattere politico. La proliferazione dei nonluoghi, che sono quantificabili e analizzabili secondo una definizione in primo luogo economica, ha già superato la riflessione dei politici, i quali sopraffatti da esigenze economiche, hanno smesso di articolare progettualità giustificandone il senso, e non percependo la loro collocazione, non si chiedono più dove vanno.
Oggi la frequentazione di nonluoghi costituisce un’esperienza, senza precedenti storici, di individualità solitarie e di mediazione non umana fra l’individuo e la potenza collettiva. Sono sufficienti infatti manifesti o schermi per suggerire percorsi e atteggiamenti a colui che De Certeau chiama l’uomo comune: “il flusso continuo della folla, tessuto fitto come una stoffa senza strappi né rammendi, composto da una moltitudine di eroi quantificati che perdono nome e volto divenendo il linguaggio mobile di calcoli e di razionalità che non appartengono a nessuno.”
L’inganno risiede nel concetto di valorizzazione del territorio, poiché si spaccia per ‘rivitalizzazionÈ e opportunità occupazionali ciò che appartiene all’appropriazione indebita, da parte del capitale, di luoghi e di esistenze.
Ciò che è sorprendente nell’esperienza del nonluogo è la sua forza di attrazione, che risulta inversamente proporzionale all’interesse del luogo e della tradizione e alla espressione territoriale, con i suoi connotati sociali.
L’esperienza del nonluogo è oggi componente essenziale di ogni esistenza sociale. Come sottolinea Augé “è nell’anonimato del nonluogo che si prova in solitudine la comunanza dei destini umani.”
L’accettazione passiva di logiche di dissoluzione del tessuto sociale va ostacolata con forza e passione. La collettività, con la sua forza, deve spingere affinché la progettazione e l’amministrazione della vita delle città sia il risultato di spinte inglobanti scelte razionali e vissuti desideranti, in una prospettiva condivisa di valorizzazione della comunità e del territorio.


Augé, Marc Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità. Milano, Elèuthera, 2005
Baudrillard, Jean – Lo scambio simbolico e la morte. Milano, Feltrinelli, 2002
De Certeau, Michel – L’invenzione del quotidiano. Roma, Edizioni Lavoro, 2001
Derrida, Jacques – Générations d’une ville. Mémoire, prophétie, responsabilité. Liminaire, Lettre internationale, 34, été 1992.

settembre 2005