Lo studio della cultura locale barese non può che partire direttamente sul campo, anche attraverso l’analisi del ruolo della televisione nella formazione e trasformazione della cultura stessa tra i baresi. Si inserisce pienamente nel dibattito teorico a cavallo tra gli studi sociali, culturali e relativi ai media, in primo luogo quelli riguardanti l’identità e l’etnicità nel contesto delle attuali tendenze verso le simultanee “globalizzazione” e “localizzazione” della cultura.
I cittadini baresi – la popolazione barese, o si potrebbe dire il popolo barese, sottintendendo l’idea di etnicità, come si vedrà - costituiscono i soggetti attraverso cui rendere conto dell’impatto che il mercato e la cultura globali hanno localmente sulla città di Bari e delle trasformazioni prodotte su quel preciso nucleo identificativo comune – che è poi la tradizione, che pure è un’invenzione, come ci ricorda Giddens - legato al territorio, alla storia e politica, al linguaggio e cultura che connotano i baresi come tali. Ma attraverso i loro consumi materiali e culturali e le produzioni, essi partecipano alle costruzioni di nuove forme d’identità, essendo modellati ma contemporaneamente ri-modellando le immagini e i significati circolanti nella loro vita quotidiana.
In tutte le sfere, economica, politica, culturale, il mondo appare sempre più interdipendente ed interconnesso a livello mondiale: l’intensificazione dei flussi migratori così come il considerevole aumento del flusso di immagini, storie e informazioni veicolate dai mass-media attraversano le frontiere nazionali e culturali definite, e le identità, costituendo una minaccia in termini di stabilità e certezze. Si configurano così opposte quanto simultanee tendenze nei riguardi della cultura: l’omologazione da una parte, la frammentazione, pluralizzazione e diversificazione dall’altra.
Di fronte ad una sempre più massiccia presenza di immigrati di varie etnie a Bari e ad un aumento di produzioni televisive e, quindi, dei relativi consumi che pure non lasciano indifferente la città, la questione è se e come mutano le percezioni locali di una identità condivisa. In altri termini, la cultura barese sopravvive al suo passato o si profila un nuovo localismo rivitalizzato come reazione all’erosione delle radici che la globalizzazione comporta?
Rispondendo a questo interrogativo, sarà possibile contribuire a fornire una qualche evidenza empirica ai dibattiti teorici circa la natura, la portata e l’andatura del cambiamento oggi, tanto necessaria quanto scarno si presenta il panorama di ricerche ampie ed attendibili.
Processo culturale e cambiamento
Relazioni sociali e forme culturali non possono più essere legate esclusivamente a territori e popolazioni particolari. Assistiamo ad una “disaggregazione dei sistemi sociali”, all’“enuclearsi dei rapporti sociali dai contesti locali di interazione e il loro ristrutturarsi attraverso archi di spazio-tempo indefiniti” [Giddens,1990]. Le forme culturali sono trasmesse a grandi distanze dagli ambiti della loro produzione, sia in termini spaziali che temporali. Il cambiamento è nella direzione della deterritorializzazione e simultaneità di forme e relazioni nelle società e nelle culture.
La “accelerazione, o crescente intensità, di compressione tempo-spazio - uno dei modi con cui si suole descrivere la globalizzazione - ha profondi effetti sui processi sociali, economici e culturali. Ci siamo abituati ad una andatura costantemente più rapida del cambiamento” [Harvey, 1989]. Del resto, “più la situazione è mobile e aperta, più la società si muove in un ambiente mutevole ed è sollecitata a cambiare […]. La stessa differenziazione che caratterizza i processi di cambiamento accelerato moltiplica le sfaccettature della realtà, rende inadeguate le soluzioni già sperimentate in contesti precedenti e richiede risposte nuove” [Melucci, 1994].
La globalizzazione, d’altro canto, mostra dinamiche dialettiche e multiformi esperite attraverso il tempo e lo spazio. L’esito dei suoi processi è tutt’altro che scontato. L’intensificazione dei contatti culturali sembra produrre forme culturali ibride, sistemi sincretici, incroci e mescolanze, quella che, con una metafora, è stata chiamata “creolizzazione” della cultura [Hannerz, 1996]. Comprimendo tempo e spazio, la globalizzazione catalizza la giustapposizione di pratiche culturali e sociali molto diverse, differenti stili di vita, che sia rafforza i confini culturali e sociali sia crea spazi culturali condivisi in cui le idee, i valori, la conoscenza e le istituzioni sono sottoposti a processi di “ibridazione” [McGrew, 1992]. Non dobbiamo cadere in errore pensando che il termine, oggi così ricorrente, indichi un fenomeno recente: in realtà, il contatto tra culture risale agli albori del mondo e, con le traversate oceaniche del XV secolo e poi le espansioni coloniali, esso si è fatto sistematico e duraturo.
Perciò, non è propriamente una novità. Tutte le culture dacché esistono sono ibride o impure. La cultura non è qualcosa di fisso, dato, ma è vissuta e quindi sempre in divenire, mutabile. “La cultura, per sua propria natura, sta cambiando negli incontri con gli altri, sebbene essa sia anche comunemente reificata come possesso condiviso” [Bauman, 1990], come precipitato di storia o eredità sociale. “La cultura non è solo consuetudine, ossia abitudini trasmesse da generazione a generazione in maniera fondamentalmente passiva, ma è innovazione e implica un ruolo attivo delle idee” [Sciolla, 2002].
Alla luce degli stimoli accennati circa la natura del cambiamento in atto, nascono una serie di interrogativi: che cosa significa essere baresi oggi? Che cosa implica la Baresità come cultura? Quanto dello specifico patrimonio tradizionale sopravvive e quanto - per quel processo vitale insito in ogni cultura per via di fattori endogeni come esogeni – è perso e sostituito da nuovi elementi o, al più, è ridefinito in un mix di forme peculiari? E, ad un livello più generale, verrebbe da chiedere: la Baresità si dirige verso l’omologazione secondo concezioni e modelli di vita globali, universalistici oppure muove verso la riscoperta, il riconoscimento e valorizzazione delle proprie specificità culturali (anche come reazione alla spinta verso l’erosione delle radici, ma non solo)?
Tali domande intendono cogliere e tracciare il passo e la natura del cambiamento che coinvolge la città di Bari: conoscere la dimensione culturale e sociale del vivere dei suoi abitanti, in un’ottica che non si appiattisce sul presente ma che, con il riferimento implicito alle tradizioni locali, guarda indietro al suo passato, in un legame temporale capace di restituire meglio il senso di una propria, particolare identità culturale.
Televisione e cultura identitaria
Le sofisticate tecnologie dei mass-media e le evidenti trasformazioni del sistema delle telecomunicazioni, concausa ma anche esito della globalizzazione, conducono a riscontrare una tendenza verso l’imperialismo culturale, incontrato peraltro in epoca passata, da una parte, come pure un’altra tendenza verso “geografie audiovisive che paiono separarsi non solo dai confini territoriali dei singoli paesi, ma anche dagli spazi simbolici della cultura nazionale” [Bettetini, 1998].
Pur essendo questo lo scenario che si presenta ai nostri occhi, non va trascurato il legame che, in particolare, la televisione ha con l’identità nazionale.
Il mezzo televisivo ha contribuito notevolmente allo sviluppo di una coscienza nazionale: la pervasività dello strumento gli ha ottenuto di esercitare un’influenza ed un peso maggiori di quanto non avesse fatto la stampa, che aveva dato l’avvio ai processi di unificazione ed omogeneizzazione culturali nazionali.
A questo punto una precisazione si rende necessaria: il discorso svolto intorno alla identità in termini nazionali mi sembra possa ben adattarsi - almeno fino a questo momento, nelle sue considerazioni generali -, secondo un livello ridotto per raggruppamenti più ristretti relativi alle singole città, alle identità su scala locale. Pertanto, il riferimento alla nazione che permarrà, in quanto le considerazioni qui citate ruotano intorno ad esso, sarà sostituito con il riferimento alla città.
“La televisione rappresenta la diversità (anche etnica) che costituisce il tessuto della nazione [città] e cerca nel contempo di offrire le risorse per immaginare una comunità unitaria, suturando le differenze [anche interne alle città] attraverso un racconto comune” [Giaccardi, 1988].
All’incira una quindicina di anni fa, un format televisivo specifico - la sitcom - dal titolo “Filomena coza depurada”, andato in onda su un’emittente locale, ha avuto il merito, almeno dal successo di publico riscosso, di riaccendere nei baresi il senso di appartenenza alla propria città in un comune sentire. Pertanto, il programma ha costituito e costituisce un ottimo esempio di quanto si diceva appena sopra. Questa sitcom, antesignana di tutto un filone particolare e di produzioni tutt’oggi in onda, ha avuto il merito di stimolare un certo senso di comunità: parodia della vita quotidiana barese, attraverso una sorta di rispecchiamento, tanto arguto quanto popolare, ha riportato al centro dell’attenzione quei baresi tipo in cui tutti, chi più chi meno, chi in certi aspetti chi in altri, si riconoscono; o quanto meno vi ritrovano, pur non appartenendo loro atteggiamenti e modi di fare, una tipicità comportamentale nella media dei concittadini, in parte frutto di un patrimonio consolidato di “rappresentazioni” e in parte riscontrabile ancora oggi nella ordinarietà della vita cittadina.
Dunque, “il mezzo televisivo nel complesso [in alcuni programmi particolarmente] si offre nella sua duplice veste di “specchio” della identità della nazione [città], nel tentativo di rivolgersi a tutte le sue componenti e a rappresentarne la complessità e ricchezza, dall’altro diventa potente “costruttore” di identità, nel momento in cui costruisce un’esperienza di simultaneità per tutti i membri e offre loro risorse simboliche per l’integrazione delle differenze in un’unica comunità immaginaria” [Giaccardi, 1998].
Insomma, quel senso di comunità che è sembrato essere risuscitato o, per lo meno, è stato esternato grazie alla brillante idea di Toti e Tata – i due autori nonché attori protagonisti della sitcom sopra citata – è una questione di immagine che si ha del sé e della città: il singolo individuo come cittadino si pensa come elemento all’interno di un unico gruppo solidale, al di là delle effettive disuguaglianze sociali e diversità, in una coscienza che si attesta sul presente così come percorre il passato e si proietta verso il futuro: ciò perché la dimensione temporale riveste un ruolo centrale nel pensare la città - o nazione, che dir si voglia - come comunità.
Del resto, se per dirla con Anderson [1983], le comunità si distinguono proprio “per lo stile con cui sono immaginate”, risulta immediatamente chiaro come si sia pensato e voluto ricorrere anche al genere delle fiction baresi. Il termine “fiction” per la verità non è appropriato per definire correttamente il materiale televisivo qui analizzato: si tratta esattamente di “sitcom”, che esauriscono, con qualche eccezione, il complesso della produzione televisiva locale, piuttosto povera in mezzi finanziari (alla luce della ricognizione effettuata presso le varie emittenti cittadine). Tuttavia, qui si parlerà di “fiction” perché più usuale e facilmente comprensibile a chi legge. In qualità di prodotto creazionale locale e materiale narrativo visivo, si offre come idoneo supporto strumentale nella ricerca volta ad identificare quali siano gli elementi connotativi della cultura barese.
Lo scopo di comprendere e spiegare che cosa è la Baresità può essere raggiunto attraverso un doppio livello di analisi: non solo sostanziale ma anche formale, considerato che ogni elemento stilistico, discorsivo ed estetico rientra in modo sostanziale nella definizione e connotazione specifica di una comunità - come fa presente Anderson - e della sua cultura.
Allora gli interrogativi emergenti risultano i seguenti: attraverso quale linguaggio e quale stile viene rappresentata la Baresità sui nostri teleschermi? Quali aspetti della Baresità affiorano nei contenuti e nei personaggi rappresentati?
I risultati di un tale lavoro di analisi potranno quindi essere messi a confronto con quelli ricavati da un’indagine sulla popolazione barese volta a conoscere direttamente gli atteggiamenti, i valori nonché le rappresentazioni dei cittadini relativamente alla propria realtà locale: il paragone dei due quadri conoscitivi così ottenuti permetterà di valutarne la distanza/vicinananza di “immagini” risultanti. Il risultato atteso è che i due piani considerati – quello dell’audiovisivo, finzionale, e quello del sociale, reale, - coincidano o siano molto simili, se è vero, come è vero, che entrambi partecipano, con rimandi continui tra di loro, di quella coscienza comune e condivisa che è la Baresità.
E sorgono ancora altri interrogativi: quale incidenza ha la rappresentazione televisiva nel processo di costruzione e nel dispiegarsi quotidiano di vita della Baresità? Queste fiction contribuiscono al mantenimento dei legami culturali, di tradizioni perpetuate o reinventate? Del resto, non è possibile tascurare gli effetti che l’immagine rappresentata, e quindi anche esportata, di una certa identità locale più o meno stereotipata – e nella fattispecie gli stereotipi hanno, ahinoi, soprattutto connotazione negativa – produce sul destino culturale della città stessa.
Della relazionalità e della comunicazione proprie di una “metropoli” che è ormai stile di vita e clima storico (con i suoi valori, disvalori, comportamenti di senso o di non senso, ecc.), la comunicazione televisiva è espressione organica: attraverso la sua formalizzazione, nelle potenzialità e nelle chiusure rispetto agli orizzonti del possibile (storico, sociale, politico, culturale), nel suo esserne chiacchiera, e così via per altri suoi caratteri.
La constatazione dell’affermarsi della comunicazione televisiva come linguaggio-emblema del vivere metropolitano (oltre che nazionale) e anche come componente essenziale di una relazionalità sociale nuova, mediata, tra l’altro, da una rete di canali e collegamenti, multiarticolata e fatta tutta di tecnica, ci riporta alla questione accennata prima circa il profilarsi della società complessa, su scala planetaria, e circa il processo culturale in atto. Allora, lo scopo di tracciare ed identificare il passo e la natura del cambiamento di cultura a Bari deve necessariamente passare anche per il tramite della televisione, nelle e attraverso le sue fiction, ma non solo. Si dovrebbero anche esaminare i modelli culturali di consumo del mezzo televisivo in generale, delle emittenti locali e delle fiction qui trasmesse in particolare: e giungere alla conoscenza dello stile di vita della popolazione barese, per quello che attiene alla fruizione della Tv (dotazione televisiva famigliare, tempi e modi d’uso del mezzo, consumo delle reti locali, gusti e preferenze circa i programmi, identikit dei telespettatori, e altro ancora).
La televisione, infatti, con la sua possibilità di raggiungere la totalità della popolazione, tagliandola trasversalmente per fasce d’età e per status sociale, ha generato abitudini di consumo “che ne fanno un mezzo che accompagna la quotidianità dei membri della nazione [città] con un flusso che scandisce i ritmi” [Giaccardi, 1998].
In conclusione, la rilevanza fondamentale della funzione svolta dal mezzo televisivo in relazione ad una cultura identitaria, delineata sin qui riferendo di qualche aspetto, sembra essere racchiusa molto bene nelle parole di Bettetini [1998]: “La televisione è riflesso e insieme strumento di una comune appartenenza, […]: sfruttando e valorizzando topoi familiari alla nazione [città] (linguaggi, luoghi, personaggi, eventi… contribuisce ad imprimere un’immagine distintiva che fa leva sugli elementi specifici del Paese; allo stesso tempo, il complesso di rappresentazioni, ma anche i ritmi e le abitudini di ascolto condivisi dalla popolazione, favoriscono il riconoscersi in un orizzonte comune che unifica in un quadro unitario le diverse componenti del tessuto nazionale [cittadino]. Macchina narrativa e serbatoio di memoria, la televisione racconta la nazione [città] a se stessa, conserva e rivitalizza il patrimonio della tradizione. Risorsa simbolica e spazio di identificazione, rispecchia le specificità e i mutamenti che si verificano nell’assetto socio-culturale […]”, elementi questi ultimi che sarà opportuno indagare e cogliere nel riferimento specifico a Bari, attraverso uno studio specifico.
Cultura ed identità: i termini del discorso
L’ambito generale qui focalizzato fa parte dell’ampio tema del ruolo dei media nella costruzione sociale della realtà. Il consumo dei media e culturale - la produzione, “lettura” e uso di rappresentazioni - gioca un ruolo chiave nel costruire e definire, contestualizzare ed oggi anche ricontestualizzare, evidentemente, le identità, nazionale, etnica o altre culturali.
Declinando nuovi tipi di relazioni spaziali e temporali, le tecnologie comunicative finiscono con l’offrire una pluralità di fonti di identificazione e col trasformare i modi proprii di questo processo disponibili all’interno della società. Le implicazioni di questi sviluppi per la cultura e l’identità sono correntemente discussi in termini di globalizzazione e postmodernismo. Parecchia documentazione letteraria è rinvenibile soprattutto nell’ambito dei Cultural Studies, i quali tematizzano il più ampio rapporto tra modernità e postmodernità incentrandolo, tra gli altri aspetti, attorno ai profondi mutamenti introdotti dalle innovazioni tecnologiche nel panorama comunicativo.
Scorrendo la letteratura, si osserva come un tale discorso sia declinato soprattutto con riferimento alla identità e all’“identità culturale” - tra le altre -, mentre qui si parla di “cultura identitaria”.
Il semplice gioco di posizioni tra parole - cultura ed identità -, per cui l’uno o l’altro si fanno alternativamente attributi dell’altro termine, fermo restando una qualche relazione in ogni caso, non risulta indifferente e, pertanto, vale la pena di soffermarsi su alcune questioni definitorie che chiariscano il senso delle espressioni implicate.
La tematica dell’identità, sviluppata nella riflessione sociologica e massmediologica, si presenta vasta e articolata, con sfaccettature diverse.
L’identità viene connotata come “nazionale” (ma anche “locale” o “sovranazionale”), “etnica”, “di gruppo”, a seconda che l’accento cada sulle dimensioni rispettivamente di una medesima storia e politica che legano la comunità, del nucleo di elementi simbolici visibili e condivisi, oppure di un qualsiasi elemento condiviso da una comunità, ad esempio le coordinate topologiche.
Così definite, è facile verificare come tutte le dimensioni citate presentino una qualche attinenza ed un motivo di interesse: del resto, ciò è confermato dal fatto che proprio dal loro complesso risulti configurata l’identità culturale.
Nel riferimento a Bari e, dunque, al concetto di città, l’accento è posto sulla dimensione simbolica, intesa come “comunità di cultura e stile di vita, potenzialmente aperta a tutti coloro che ne accettino e condividano i valori indipendentemente dall’origine etnica” [Ferrarotti, 1997].
E Bari è considerata anche come una imagined community, costruita dagli apparati simbolici culturali, in testa la televisione: Bari che produce un proprio sistema di rappresentazione culturale, in cui la gente, al di là dell’“imprinting” di cittadino, partecipa all’idea della città come viene rappresentata nella sua cultura cittadina. Una città “è una comunità simbolica e questo fatto spiega il suo potere di generare un senso di identità e fedeltà” [Hall, 1992].
La cultura, quindi, non è puramente espressiva ma è formativa della città. Tuttavia non bisogna credere che quell’unità culturale così prodotta e a cui si fa riferimento col termine “citta” o con l’attributo “locale”, designando implicitamente i suoi confini e differenziandola da altre culture, sia omogenea al suo interno. Il “noi” di una cultura locale richiama alla identità e, in essa e attraverso essa, all’unità come pure alle differenze: potendo render conto sia dell’una sia delle altre, si giustifica l’espressione “cultura identitaria” barese.
In ogni caso, alla luce delle considerazioni espresse, qui l’identità andrebbe vista come il risultato di una produzione che non è mai completa, sempre in divenire, e sempre costituita all’interno di rappresentazioni, di contro ad una vecchia concezione “naturalistica” dell’identità che la vuole come essenza. Oggi, appunto, gran parte della letteratura evidenzia del processo di identificazione il carattere non determinato, nel senso che può sempre essere “vinto” o “perso”, “sostenuto o abbandonato” [Hall, 1996], ed il carattere negoziale “che deve saper mediare tra i condizionamenti strutturali cui il soggetto è inevitabilmente sottoposto e che ne limitano e predefiniscono in maniera pesante la gamma delle opportunità di scelta e la capacità di assumere consapevolmente e liberamente delle identità” [Giaccardi, 1998].
Strettamente connessi alla cultura e alla identità, impliciti, risultano i concetti di etnicità e di appartenenza.
Se, per dirla con Hobsbawm [1992], l’etnicità è ciò “che lega i membri del noi, perché enfatizza la differenza con loro, si comprende come essa, pur rientrando a pieno titolo in tutte le forme di identità culturale, non esaurisce l’identità stessa. Stando a Hall [1988], “noi siamo tutti etnicamente collocati e le nostre identità etniche sono cruciali per il nostro senso soggettivo di chi siamo. […]. Il termine etnicità riconosce il posto alla storia, alla lingua e cultura nella costruzione di soggettività ed identità, come il fatto che l’intero discorso è collocato, posizionato, situato, e tutta la conoscenza è contestualizzata” […]. Sempre Hall, qualche anno più tardi, esprimerà il concetto richiamandosi all’idea di un popolo o di un gruppo originario, ma solo come uno dei cinque elementi che concorrono alla edificazione di una comunità immaginaria, gli altri essendo: il racconto della città, trasmesso dalla letteratura, storia, cultura popolare e dai media, che provvede una base condivisa di esperienza; l’accento sull’origine, la tradizione nonostante i mutamenti esterni; l’invenzione della tradizione in cui “rito cerimonia e ripetizione hanno un’importante funzione sociale” [Giddens, 2000] di socializzazione al presente coerentemente con il proprio passato; il mito della fondazione della città [Giaccardi, 1998].
L’appartenenza è un ulteriore aspetto incluso nell’identità culturale, che ne sottolinea quel “noi” internamente differenziato. Delle due dimensioni dell’identità, la locativa e l’integrativa, l’appartenenza è legata alla seconda, che esprime “il radicamento in un orizzonte collettivo” [Manzato, 1998], dopo una prima fase di astrazione da esso in cui poter compiere processi di esclusione/inclusione con effetti, a livello di collettività, di molteplicità e frammentazione delle varie esperienze.
La diffusione crescente di fenomeni di ricerca di identificazione ed identità attraverso l’appartenenza a gruppi si è riflessa nell’ambito delle scienze sociali con la questione dell’identità individuale quale elemento costitutivo delle identità collettive. In particolare, autori come Berger, Luckmann, Gallino riferiscono dell’identità collettiva come multiplo o aggregato di identità singole che la condividono.
Gli argomenti fin qui esposti, seppur brevemente, rimarcano l’ampiezza e l’eterogeneità del tema dell’identità di cui rappresentano altrettanti aspetti, fermo restando che una delle fonti principali di identità culturale sia proprio la cultura cittadina. Di qui parte l’indagine sul tema della cultura barese, nei suoi elementi connotativi e quale risorsa nella dinamica di costruzione incessante della dimensione identitaria tra la popolazione barese: “non chi siamo o da dove veniamo, quanto ciò che potremmo diventare, come siamo stati rappresentati e come ciò porti a come potremmo rappresentare noi stessi” [Hall, 1996].
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– Ferrarotti F., 1997 L’Italia tra storia e memoria. Identità e appartenenza, Roma, Donzelli.
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settembre 2005 |