città e percezione del passato

“De li mastri lavoranti vascelli nei cantieri di Molfetta”
di Alina Gadaleta Caldarola

L’Archeoclub di Molfetta, con il Comune di Molfetta e la collaborazione degli “artigiani del mare”, inaugura e apre al pubblico, l’11 settembre 2005, la mostra etnografica permanente De li mastri lavoranti vascelli nei cantieri di Molfetta.
Lo spirito e l’impegno che hanno animato i soci dell’Archeoclub, insieme con i maestri d’ascia, il retiere, il pescatore, il marinaio, il padrone di barche, hanno una radice comune: la convinzione che si stia andando incontro ad una perdita della memoria, ad un’irrimediabile scomparsa del valore del passato. L’assenza di memoria, di spirito civile, di solidarietà incalzano questa società. Le città, sempre più grandi ed affollate, sono spesso un insieme di case anonime e quartieri fantasma, in cui non è facile riconoscere il senso dell’identità collettiva. C’è un diffuso bisogno di ritrovarsi, di sentirsi “comunità. Per questo acquista valore e suscita entusiasmo ogni azione volta a recuperare la “percezione del passato”, senza la quale viene meno il senso delle proprie radici e quindi della propria appartenenza.
La mostra De li mastri lavoranti vascelli nei cantieri di Molfetta raccoglie le testimonianze materiali della cantieristica navale tradizionale e parla del lavoro del maestro d’ascia, artigiano del legno e delle barche. Nella memoria collettiva i cantieri navali sono un pezzo importante della città, si proiettano sullo specchio di mare antistante il porto e ne costituiscono da sempre il segno distintivo. Il mestiere più antico, infatti, accanto a quello del contadino e del pescatore, è il costruttore di imbarcazioni in legno. Nella documentazione d’archivio a Molfetta si registra la presenza di mastri lavoranti vascelli già nel XIV secolo. La cantieristica navale, poi, a fasi alterne di fortuna e ricchezze, si rafforza nei secoli successivi e dal Settecento acquista importanza nell’economia molfettese. I maestri d’ascia o calafati diventano numerosi nel secondo Ottocento, che è il secolo d’oro della cantieristica, configurandosi come una categoria di abili artigiani e intraprendenti imprenditori, riconosciuti nell’intera regione. Nel Novecento l’impresa cantieristica, adeguandosi alle trasformazioni indotte dall’introduzione della navigazione a motore, si consolida e si modernizza in base alle nuove committenze: scompaiono i velieri e si affermano i motopesca. Le maestranze molfettesi si specializzano nella costruzione di imbarcazioni in legno per la pesca.
La mostra cerca di rappresentare parte di questa storia. È un’esposizione museale nuova per la nostra città e unica nel suo genere in tutta la regione. Ha sede nelle antiche sale della Fabbrica di S. Domenico, ex convento domenicano del XVII secolo. L’itinerario espositivo parte dalla sede dell’Archeoclub, Deposito Comunale dei Beni Culturali dove è presentato un inedito nucleo di progetti di imbarcazioni antiche. Si tratta di progetti di imbarcazioni da pesca e da diporto realizzati, fra il 1929 e il 1943, dal maestro d’ascia Vincenzo Estere Uva, vissuto tra Molfetta e la terra d’Africa. Di particolare valore è il progetto della motonave “Urania”, realizzato nel cantiere navale molfettese “Palumbo e Giovine”, dove Vincenzo Uva operò come abile maestro d’ascia e responsabile della progettazione.
L’idea della mostra ha preso avvio proprio da questa preziosa raccolta, significativa per la ricostruzione di un mondo che può andare perduto e che rinasce, se ritrovato.
Dalla sede dell’Archeoclub, l’itinerario prosegue nelle suggestive sale della Neviera. Nella zona d’ingresso la particolare disposizione degli spazi in piccole nicchie ha permesso di esporre ed organizzare le sezioni relative alla produzione del retiere, del fabbro e del funaio, che costituiscono l’indotto della cantieristica navale. Di particolare valore sono le antiche reti di cotone ormai scomparse e i modelli in scala di reti tradizionali. Rappresentano una raccolta unica nel suo genere. Note storiche e una ricca documentazione fotografica ricostruiscono il legame di questi materiali con la storia della città e del suo rapporto con il mare.
Nella grande sala della Neviera sono illustrate fasi dei tradizionali processi di costruzione. Le tecniche basilari, pur con alcune variazioni, sono rimaste sostanzialmente invariate nel tempo. Quello del maestro d’ascia è, infatti, un mestiere antico che ha le caratteristiche di un’arte che si tramanda di padre in figlio. “Poco conta – secondo il maestro d’ascia Giuseppe Salvemini, artigiano delle barche in legno, noto per la precisione tecnica delle sue costruzioni – avere la patente di maestro d’ascia rilasciata dalle competenti autorità marittime. Quello che vale è la naturale abilità, l’intuito nella progettazione e nella costruzione ad occhio”. Un bravo maestro d’ascia, un tempo, riconosceva la corretta esecuzione del lavoro, ascoltando il suono emesso dalla mazzola dell’operaio addetto al calafataggio. In questo contesto, di particolare valore etnografico è la raccolta degli attrezzi del maestro d’ascia e del calafato risalenti alla prima metà del Novecento. Si tratta di utensili fatti a mano con legno che “cantava”, come dicono i maestri d’ascia. Oggi sono scomparsi e sostituiti dalle strumentazioni meccaniche e sono stati gli utensili metallici.
Le nuove tecnologie, però, pur facilitando il lavoro nei cantieri, non possono sostituire il lungo tirocinio sul campo. Costruire barche in legno, secondo i nostri maestri d’ascia, non è la stessa cosa che lavorare con materiali come il ferro o la vetroresina. C’è l’idea della barca che nasce e si sviluppa come un corpo umano con il suo scheletro di legno, le costole, il rivestimento di fasciame. Studiare la linea di galleggiamento, comporre l’ordinata, chiudere bene il fasciame fanno parte di un progetto prima pensato e poi eseguito, tenendo presente l’idea della barca nel suo insieme. Un lavoro affascinante ma duro, eseguito all’aperto, in ogni stagione.
L’itinerario espositivo della mostra confluisce poi su un oggetto singolare, unico esemplare della carrucola o pettinessa, carro per il trasporto dei tronchi di cui i molfettesi conservano, ancora oggi, memoria. Attraversava la città dalla stazione fino ai cantieri navali vicino al porto. Trainato da un gruppo nutrito di operai del cantiere, il carro solitamente trasportava tronchi molto grandi e pesanti. Spingere la carrucola era faticoso e al passaggio del carro le strade sconnesse rimbombavano al fragore prodotto dalle ruote sovraccariche.
Parte del percorso espositivo è dedicata alle testimonianze della gente di mare. I documenti in esposizione sono pezzi importanti della memoria collettiva della città e della sua identità: patente di sanità, atto di nazionalità per la navigazione, libretti di immatricolazione. Molte memorie individuali ci rivelano lo spaccato di vite interamente spese sul mare: lunghi viaggi per rotte lontane, intraprese quando si era ancora bambini, come il piccolo mozzo, immatricolato e imbarcatosi a 12 anni, il cui libretto di navigazione è in mostra. Le storie della gente di mare sono storie di ricchezza, povertà, coraggio, superstizione, fatica. Credenze e superstizioni si mescolano poi con gesti ed espressioni di fede cristiana. Testimonianza di profonda religiosità è l’uso, ancor oggi praticato durante la costruzione di imbarcazioni, di inglobare nella struttura della prua, prima che sia coperta dalle assi di legno, le immagini della Madonna dei Martiri e di S. Corrado per invocare la protezione celeste. “A vele gonfie naviga la nave che ha Cristo a poppa e la Madonna a prora” è un detto molfettese noto anche fuori dell’ambiente marinaro.
La mostra si configura, dunque, come un percorso attraverso la storia di ieri e di oggi e ci richiama al senso dell’identità collettiva. Ricca, ma non conclusa, è uno spazio espositivo in divenire che potrebbe arricchirsi di altre donazioni. È un atto dovuto alla città e ai suoi cittadini che portano in sé la consapevolezza che le radici della propria città e, in qualche modo le proprie, sono indissolubilmente legate al mare.

settembre 2005