nelle nostre città

Cecilia, Leonia, Trude, Diomira, Isidora, Dorotea, Andria
di Vito Copertino

Una difficile elaborazione politica e programmatica sta impegnando la coalizione dell’Unione a tutti i livelli, nell’intero paese e nelle città da amministrare. È in discussione il modello di città per il futuro.
Può essere utile, dunque, accogliere qui il tema della ‘città senza abitanti’, a cui nello scorso luglio “Carta etc” ha dedicato il suo primo numero mensile, e riprendere a distanza il pensiero di Calvino, Latouche, Bauman1, le analisi di Revelli, Sullo, Salzano, le sollecitazioni di Abruzzese, Berdini, Pizzo ed altri2. Per tentare, così, di restituire un’anima alle nostre città.
Le città italiane, le città mediterranee, le città pugliesi, quasi tutte attraversano da diversi anni una fase di preoccupante effervescenza costruttiva e di intense dinamiche espansive. E non solo le grandi città, le metropoli. Ristrutturazioni di aree industriali dismesse, realizzazioni di numerose nuove localizzazioni residenziali, espansioni urbane nel territorio comunale, rifacimenti di parti della città costruita: non c’è città di media grandezza che non conosca il suo momento d’oro del mercato edilizio. Si è costruito e si continua a costruire molto in questo periodo. L’aumento dell’offerta è molto spesso vertiginoso2.
La guerra, il terrorismo, e poi la crescita dell’insicurezza dopo l’11 settembre 2001, il crollo dei valori dei titoli quotati in borsa, i tanti e diversi processi economici della globalizzazione, il rientro dei capitali che giacevano nei paradisi fiscali, sono tutti fenomeni che hanno concorso a favorire l’afflusso di capitali da investire nel mercato immobiliare. È stato il più spettacolare spostamento di ricchezza verso la rendita speculativa che la recente storia italiana ricordi3.
Se la necessità di alloggi non cresce, la domanda viene comunque mantenuta artificialmente elevata. In molte parti, la popolazione non cresce più. Succede da molti anni anche nella nostra città, in molti paesi del sud. Continua a crescere, ormai leggermente, solo il numero delle famiglie, perché i nuclei famigliari sono sempre più piccoli. Per motivi diversi e non nella stessa misura dovunque, l’offerta di abitazioni è oggi superiore alla domanda.
Il ridotto bisogno di abitazioni porterebbe a ipotizzare una diminuzione del prezzo dei valori immobiliari: invece, non solo questa diminuzione non c’è stata, ma c’è un consistente aumento negli ultimi anni, con incrementi a volte impressionanti. Adesso sappiamo che oscuri, o noti, immobiliaristi ne hanno tratto vantaggio e, forti di una condizione economica e finanziaria di grande rilevanza, hanno tentato di dare l’assalto ai grandi pilastri, le banche e i media, del potere italiano.
Chi ha soldi specula sul mattone, non come bene-rifugio tradizionale degli italiani, ma proprio come operazione volta a creare dei rendimenti, possibilmente a breve-medio termine. È la logica della Borsa, applicata in particolare alle abitazioni2.
Un intenso processo di edificazione, dunque, ma anche un inedito processo di arricchimento di operatori di mercato, e, tanto per cambiare, un ulteriore processo di marginalizzazione della condizione abitativa dei ceti popolari: tutto ciò è stato e tutto ciò è in atto, insieme alla costante espulsione di centinaia, migliaia, di abitanti dalle grandi e medie città, costretti a trasferirsi in suburbi senza storia né memoria. Un grande deserto sociale.
È un’enorme frattura spaziale, cui corrisponde una parallela e conseguente rottura antropologica2. L’emergere tumultuoso di nuovi tipi umani, nuovi attori sociali, caratterizzati da assenza di memoria, di storia, di gusto, di sapienza, di spirito civile, di solidarietà: è il pubblico dei consumi senza qualità, sono i piccoli e grandi liberisti selvaggi, gli ideologi del qualunquismo2.
Si ripete in edilizia e urbanistica quel che accade particolarmente nell’economia occidentale: aumentano i profitti senza produrre né sviluppo né lavoro, si continua ad accumulare patrimoni immobiliari e finanziari, mentre masse sempre più numerose di persone non trovano più senso e identità se non nel desiderare, comprare, possedere, usare, gettare merci.
Basta avere gli occhi per vedere. È urbanistica, economia, sociologia urbana, antropologia. Ma, tutto questo non l’abbiamo già visto, molti anni fa?
Tra le città invisibili di Calvino4, Leonia ci fa pensare all’irreprimibile vocazione di molte nostre città a disfare continuamente se stesse, gettando ogni mattina nella spazzatura il proprio ieri. Nell’economia odierna, ricca non è la città che fabbrica e produce, non più la città del fordismo. Ricca e opulenta è la città che ogni giorno consuma e butta via cose, le espelle per far posto alle nuove.
E poi c’è Trude, che divora spazio e ci rinvia alle nostre periferie urbane, riprodotte sempre uguali in un’infinità di repliche. Stessi sobborghi, stesse case, stessi colori, stesse aiuole delle stesse piazze. La sua amministrazione cittadina è celebrata per i cantieri e le mille gru che svettano. Si costruiscono e replicano quartieri inumani, moduli urbani sempre identici, in tutte le aree della zona di espansione.
Infine Cecilia, l’agghiacciante città da cui non si riesce più ad uscire perché è ormai ovunque, raffigura la città che invade e consuma il suo territorio. Prima c’erano il Prato tra le Rocce, il Pendio Verde, l’Erba in Ombra. Ora le erbe del Prato della Salvia Bassa vengono usate per fare da spartitraffico. Da noi, il territorio era un’immensa distesa di ulivi e mandorli, aveva una campagna bella e fiorente, ora possiede una vastissima area industriale, per un’attività manifatturiera di incerto mercato.
Città infelici, come tante altre ancora. Tutte esprimono il carattere fluido della nostra società1, la sua assenza di consistenza, il carattere effimero, incapace di durata, non solo delle nostre cose, ma soprattutto delle nostre relazioni umane, dei nostri legami territoriali. Un vuoto di relazioni, di legami, di socialità, caratterizza questo modello di città. Città senza luoghi e senza società. Città private dei vecchi spazi del riconoscimento e dell’identità. Città in cui la di-sgregazione dei tradizionali soggetti collettivi, dei consolidati protagonisti sociali dell’esperienza urbana, ha privato di senso le loro sedi di aggregazione e di partecipazione: le fabbriche, le piazze, i quartieri2.
Da almeno vent’anni siamo stati gettati in questo tipo di città, il cui territorio, urbano e non solo rurale, è manipolato come una qualunque risorsa economica, assumendo gli abitanti come variabile dipendente. Qui, lo spazio urbano viene plasmato, disegnato e ridisegnato ad libitum, secondo le mutevoli esigenze delle dinamiche affaristiche. Con o senza piani regolatori, con o senza norme attuative, con o senza piani particolareggiati, con o senza piani di comparto.
Accade oggi quel che già accadeva cinquant’anni fa, quando Calvino ironizzava sulla mancanza di senso degli affari dei ‘cattivi proprietari’ che non sanno far fruttare i loro averi e, in un’epoca di avventurosi movimenti di capitali, millantati crediti e giri di cambiali, se ne stanno mani in mano, lasciando svalutare i propri terreni. Il suo racconto, in “La speculazione edilizia”5 del 1958, è affollato di impresari edili, avvocati, notai, operatori di borsa, proprietari terrieri, ingegneri che, nei modi di intendere la vita, hanno scartato in partenza l’arte, la scienza, gli ideali politici ed hanno costruito la morale d’uomo che bada solo al sodo, a far soldi. Comprare un’area, tirare su una casa alta quanto permettono i regolamenti del Comune e anche di più, con dentro quanti più appartamenti ci possono stare, venderli mentre sono ancora in costruzione, finirli alla bell’e meglio e comprare subito altre aree da costruire.
Quale speranza? Ci sarà pure una via d’uscita?
La città continua va coprendo il mondo: non c’è grande differenza tra il modello di città concentrata e quello di città dispersa nel territorio. Come la città antica e quella moderna, la città contemporanea6 non ha connotati identici in ogni parte del continente europeo e neppure in ogni parte del nostro paese e tuttavia propone temi che, in diversa combinazione, si ritrovano ovunque e che possono pertanto divenire oggetto di riflessioni generali. Ma non serve profetizzare catastrofi e apocalissi4. Serve invece scoprire le ragioni segrete che hanno portato gli uomini a vivere in tali città. Serve dare una risposta utile alle attuali esigenze dell’uomo contemporaneo. Costruire “la qualità del territorio”, con riferimento ai valori naturali e ambientali7.
Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.
Non facciamoci dominare più dal fatalismo e dalla sufficienza, che ci prende quando accettiamo che tutto si può chiedere ad una futura costruzione tranne d’essere bella5, quando ci auguriamo solo che sia anonima e squallida, tanto da confondersi con i più anonimi edifici intorno.
Invece, facciamo in modo che prendano forma immagini di città felici, Diomira, Isidora, Dorotea, e non svaniscano, nascoste nelle città infelici.
Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se stessi e la prudenza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme della città e dei mondi4.
E allora?
Si, l’abbiamo già detto altre volte, la politica non può ridursi a una mera funzione di accompagnamento delle tendenze dettate dai poteri degli affari e della finanza.
Immaginiamo e costruiamo un ruolo attivo e autonomo dello Stato, non più attore passivo in quanto fattore di accelerazione e razionalizzazione di dinamiche territoriali eterodirette, ma al contrario come produttore di un loro superamento e custode dell’equilibrio spazio-temporale2. Lo Stato, il governo locale, la dimensione municipale diventino produttori di rallentamento, perché la velocità e l’urgenza sono crudeli verso i più poveri e indifesi e favoriscono la superficialità e gli effetti di moda. Al contrario, le amministrazioni cittadine, i comitati di quartiere, la democrazia partecipata preservino e sviluppino gli effetti di coerenza necessari alle prestazioni globali, salvaguardino lo spazio per i processi di fondo, quelli che esigono la durata. Curino i luoghi di sperimentazione di ritmi diversi da quelli che divorano il territorio, moltiplichino gli ambiti in cui praticare l’incontro e il riconoscimento.
Del pensiero di Keynes, delle sue datate analisi economiche e della bontà dell’accumulazione capitalistica per fare uscire l’umanità dal tunnel della ‘necessità economica’, assumiamo la parte moderna: quella che invita a ridurre allo stretto necessario gli ‘impegni di ordine pratico’, al fine di ‘coltivare l’arte della vita’. Questa era nelle ‘prospettive per i nostri nipoti’8.
In tutto il novecento, fino ad oggi, il processo di accumulazione delle classi ricche ha continuato il suo cammino ininterrotto. E, tuttavia, sono moltissime le persone e i popoli che nemmeno intravedono l’uscita dal tunnel della povertà più disperata, i senza-lavoro nel mondo sono un miliardo e mezzo e la fetta più grossa del reddito prodotto continua ad andare ad accrescere la ricchezza dei già ricchi, mentre i poveri diventano sempre più numerosi e più poveri 9.
È il momento di comprendere che la coesione sociale, nel senso più ampio del termine, è la condizione stessa dell’efficacia politica ed amministrativa. Il cuore dell’azione pubblica deve essere reinventare e mantenere la solidarietà: e ciò nel senso industriale del termine, dunque fare manutenzione2. Quel che occorre è un piano industriale di manutenzione e sviluppo della solidarietà. Perché ci sia ancora chi crede nel nuovo municipio.


(1) Zygmunt Bauman, “Amore liquido”, Laterza, 2005.
(2) Almanacco, “La città senza abitanti”, Carta etc. N. 1, 2005.
(3) Paolo Berdini, “Voglia di deregulation”, il manifesto, 30 agosto 2005.
(4) Italo Calvino, “Le città invisibili”, Mondatori, 1993.
(5) Italo Calvino, “La speculazione edilizia”, Einaudi, 1958.
(6) Vito Copertino, Bernardo Secchi et al., “Linee guida della politica dell’ambiente e del territorio, Ministero dell’Ambiente, 2001.
(7) Edo Ronchi, Vito Copertino et al., “La qualità del territorio”, Istituto Sviluppo Sostenibile Italia, 2005.
(8) John Maynard Keynes,”Economic possibilities for our grandchildren”, 1930, trad. In “Esortazioni e profezie”, Il Saggiatore, 1983.
(9) Carla Ravaioli, “Lord Keynes e l’arte della vita”, il manifesto, 14 luglio 2005.

settembre 2005